L'immagine di copertina tratta da "Il muggito di Sarajevo"

Una serie di insoliti personaggi, che si incontrano nella città assediata. Un racconto, tra grottesco ed orrore, molto vicino al reale. Una recensione

27/01/2017 -  Azra Nuhefendić

Nel 1993, sotto l’assedio, Sarajevo era considerata uno dei posti più pericolosi nel mondo. Eppure ho conosciuto molte persone che si ostinavano a voler tornare nella città. La signora Vinka, scappata da Sarajevo all’inizio della guerra, voleva ritornarci a ogni costo, con il figlioletto, perché le pareva che avrebbe potuto vivere meglio là che, da profuga, dai cugini in Vojvodina. Un certo americano di nome Terry, giocatore professionista di poker, non vedeva l’ora di rimettere piede a Sarajevo perché, mi diceva, durante l’assedio aveva giocato le partite migliori della sua vita. La scrittrice americana Susan Sontag tornava ripetutamente a Sarajevo, trovandovi all’epoca più vitalità che a New York.

Di questa gente e di molti episodi mi sono ricordata leggendo il libro “Il muggito di Sarajevo” della casa editrice Spartaco. I personaggi di Lorenzo Mazzoni sono creati dalla sua eccelsa immaginazione, le azioni sono talvolta illogiche, le circostanze e le storie sembrano improbabili, i destini e i personaggi esagerati per essere veri. Ma come accade nella vita (e nella morte) la realtà spesso supera ogni immaginazione.

“Il muggito di Sarajevo” è un intreccio di varie storie che sembrano, di primo acchito, scollegate tra di loro, dove Mazzoni introduce e segue i personaggi che, apparentemente, non hanno nessuna probabilità di incontrarsi.

L’autore porta o trova nella Sarajevo assediata una sfilza di personaggi, talvolta grotteschi, che sono sì il prodotto della sua fantasia, ma che per vicissitudini, stranezze, scherzi del destino, si avvicinano molto a certe persone che ho conosciuto nella realtà di allora.

La protagonista è una giovane ragazza, Amira, aspirante cantautrice, che scappa dalla città di Zenica e dalla prospettiva di finire, come musulmana, sotto il chador. L’ispirazione per la sua musica e per le canzoni la trova girando tra “gli abitanti di Sarajevo che lottano contro… e la sopraffazione dei potenti che ci vedono solo come le povere vittime sacrificabili.”

Jack, meglio conosciuto come Mozambik, di origine bosniaca–irlandese, si divide tra spacciatore, fixer per i giornalisti e contrabbandiere. Il contrabbando lo fa per aiutare la gente disperata a comprare i prodotti mancanti a un prezzo più basso rispetto a quello che pretendono i “veri” contrabbandieri. Ma non si spaccia né per buono né per patriota, e precisa senza scrupoli: “Mi piacciono le città assediate. Mi piacciono il disfacimento e l’agonia.”

Poi ci sono quelli come il veterano Ivan per il quale la guerra è il momento giusto per guadagnare e che non fa sconti a nessuno, a prescindere dalla religione, nazionalità o status sociale. E poi i giornalisti, indispensabili, che fanno parte di ogni guerra. Alcuni si trovano lì per guadagnare soldi o un po’ di notorietà (ne ho incontrati molti più di quanto ci si possa aspettare), altri per scelta o per sbaglio, oppure involontariamente. Nel libro sono rappresentati dai due italiani Oscar e Carlo.

I motivi per stare a Sarajevo durante la guerra sono diversi, ma quello che pronuncia uno dei giornalisti del libro è verissimo: “Spesso mi sento un avvoltoio, rischio la vita per fare il mio lavoro, ma quelli che vado a intervistare muoiono frequentemente… Questa continua moltitudine di immagini e di notizie che vengono mandate in onda in tutto il mondo servono solo per abituare le persone all’orrore altrui.”

I personaggi insoliti, una miscela di umorismo e violenza, la cronologia frammentata e la brutalità affrontata dai protagonisti con naturalezza, il grottesco che si sussegue con l’orrore, fanno pensare al film “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino. Ma sotto-sotto tutto si basa su una profonda e dettagliata conoscenza dei fatti, della storia, della recente guerra, della mentalità e dell’umorismo tipico dei bosniaci. E, con il talento di un bravo scrittore di gialli, Mazzoni riesce a tenere viva l’attenzione del lettore fino alla fine, e solo nelle ultime pagine ci svela il nesso che unisce i personaggi e le varie storie. Proprio un bel libro da leggere!


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