
Luka Zanoni - © Buka
Un’intervista a tutto tondo con Luka Zanoni, direttore responsabile della testata OBCT, raccolta dal portale bosniaco Buka: dagli sviluppi politici in Bosnia Erzegovina all'ipocrisia della politica dell'UE verso l'Europa sud-orientale, passando per le proteste studentesche in Serbia come possibile punto di svolta
(Originariamente pubblicato dal portale Buka )
Qual è la missione di OBCT come mezzo di informazione che si occupa dei Balcani occidentali? Qual è il vostro obiettivo principale?
Il ruolo di OBCT è quello di informare al meglio l’opinione pubblica, non solo italiana, ma europea in generale, su quanto accade nei Balcani occidentali e nel Caucaso.
OBCT è nato venticinque anni fa con l’obiettivo di aiutare i volontari e i cooperanti presenti sul campo nei paesi dei Balcani occidentali. La guerra in Kosovo e i bombardamenti sulla Serbia erano appena finiti. Sin dall’inizio avevamo corrispondenti nella regione, ma nei primi anni poche persone erano disposte a condividere con noi informazioni su quanto stava accadendo. Col tempo ci siamo specializzati, abbiamo cerato una rete e abbiamo esteso la nostra attività, quindi oggi seguiamo l’intera regione dei Balcani, il Caucaso, la Turchia, l’Ucraina, ecc.
Il nostro obiettivo rimane quello di informare l’opinione pubblica in particolare su quelle vicende dei Balcani e del Caucaso poco seguite dai media mainstream in Italia e nel resto d’Europa. In Italia, siamo praticamente l’unica testata specializzata su queste aree. Oltre che in italiano, pubblichiamo testi anche in inglese e in bosniaco/montenegrino/croato/serbo (BCHS), cercando così di raggiungere il più ampio pubblico possibile.
L’idea non è di parlare solo di quello che non funziona nei Balcani, ma anche di cose positive che meritano di essere conosciute, quindi anche notizie su cultura, arte, cinema, letteratura.
La nostra missione è sempre stata quella di costruire una sorta di ponte tra le due sponde dell’Adriatico, per permettere alle persone di conoscere i loro vicini d’oltremare, per capire chi sono, cosa fanno e quanto siamo effettivamente vicini gli uni agli altri. L’idea è di abbattere i pregiudizi che ancora oggi persistono, ad esempio quando si pensa che i Balcani siano il cortile d’Europa, o che le società dei Balcani non siano ancora pienamente sviluppate. Credo che una certa forma di colonialismo sia tuttora presente.
Secondo lei, quali sono oggi le principale minacce per la stabilità nei Balcani occidentali?
Ritengo che le maggiori minacce, purtroppo, arrivino dall’interno, non dall’esterno.
È vero che ci sono anche influenze esterne, esercitate da grandi potenze, come Cina, Russia e Turchia, solitamente considerate come paesi molto influenti, capaci di destabilizzare i Balcani occidentali. Non credo però che queste siano le uniche minacce alla stabilità della regione.
A mio avviso, anche gli Stati Uniti, a volte perfino l’Unione europea, possono rappresentare una minaccia. Anche l’Occidente può destabilizzare i Balcani. Non considererei certo Trump un fattore di stabilità, così come ritengo che la tendenza dell’UE a ignorare le proteste in Serbia possa essere vista come un fattore di instabilità.
Ad ogni modo, credo che una delle principali minacce sia il comportamento dei leader di alcuni paesi, come la Serbia, l’Albania e soprattutto la Bosnia Erzegovina. Alcuni leader si comportano come autocrati, manipolano il popolo, le elezioni non sono eque e libere, non c’è alcuno sforzo per costruire rapporti di buon vicinato.
Il principale fattore di destabilizzazione resta probabilmente il nazionalismo che, purtroppo, non solo non è stato sconfitto, ma sembra diffondersi anche nei paesi membri dell’UE.
Infine, tra i fattori di instabilità sottolineerei il declino demografico nella regione. Sappiamo che ormai da dieci anni, se non di più, le persone se ne vanno in massa dai Balcani, ovviamente per vari motivi. Però chiunque decida di emigrare, soprattutto i giovani e istruiti, evidentemente pensa che la regione non stia cambiando e che non offra alcuna prospettiva. A mio avviso, questo è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo della regione nel suo complesso.
Come commenta l’attuale situazione politica in Bosnia Erzegovina, soprattutto alla luce dell’acuirsi delle tensioni e delle sfide poste all’ordine costituzionale del paese?
L'attuale situazione politica in Bosnia Erzegovina è disastrosa. Purtroppo, non è una novità. La Bosnia Erzegovina è ostaggio dell’etnopolitica e della corruzione. Il paese non sta progredendo. Non so come riuscirà ad uscire da questa situazione.
Più di dieci anni fa, speravamo che la cosiddetta bebolucija, e i plenum che ne sono seguiti, potesse rappresentare un punto di svolta. Purtroppo, questa svolta non si è mai concretizzata appieno. In Republika Srpska, abbiamo assistito a manifestazioni di protesta per la morte di David Dragičević, che hanno avuto un’eco anche nella Federazione. I cittadini sembravano pronti ad alzare la voce, ma credo che il paese sia troppo diviso in quelle che definiamo “etnopoli” per essere funzionale.
Gli accordi di Dayton andavano bene trent’anni fa. Questi accordi, come ben noto, contengono anche la Costituzione della Bosnia Erzegovina, originariamente scritta in inglese. Credo sia giunto il momento di riformare il sistema di Dayton, ovviamente non verso la secessione e la dissoluzione, ma per consolidare lo stato, a prescindere dai gruppi etnici. I cittadini sono cittadini indipendentemente dall’appartenenza etnica. Devono essere rispettati, avere accesso al lavoro e all’istruzione come cittadine e cittadini di questo paese, e in questo senso devono godere di tutti i diritti.
La guerra è finita trent’anni fa. Non è il momento di far tintinnare le armi, ma di chiudere quel capitolo e andare avanti. Tra i gruppi etnici in Bosnia Erzegovina (e ce ne sono più di tre) ci sono più somiglianze che differenze.
Ritiene che l’UE sia ancora un attore credibile nella regione? Si può ancora parlare di una prospettiva europea per i Balcani occidentali?
L’UE può essere un attore credibile nella regione, però deve assumere un atteggiamento più trasparente, abbandonare la stabilocrazia e opporsi ad uno sviluppo che sfrutta le risorse locali ed evitare la politica dei doppi standard.
Fino a pochi anni fa, si credeva che il denaro bastasse per garantire la democrazia nei Balcani occidentali, ma la realtà si è rivelata ben diversa. Si è insistito a lungo anche sul processo di riconciliazione, poi però è diventato chiaro che la riconciliazione post-conflitto non può essere imposta dall’esterno.
Per un certo periodo, l’allargamento ad Est sembrava essere all’ordine del giorno, ma oggi siamo ben lontani da quell’entusiasmo che si respirava al vertice di Salonicco del 2003.
Dopo l’adesione della Croazia all’UE, il processo di allargamento in un certo senso si è arenato, fino all’invasione russa dell’Ucraina. Solo a quel punto l’UE si è svegliata concedendo lo status di paese candidato all’Ucraina, alla Moldavia e alla Georgia, ma non ha potuto lasciare da parte la Bosnia Erzegovina. Quindi, si è deciso di dare anche alla BiH lo status di paese candidato. Questo però non significa molto, è un gesto puramente simbolico. Per come stanno le cose oggi, è poco probabile che la Bosnia Erzegovina diventi membro a pieno titolo dell’Unione. La strada verso l’UE è ancora molto lunga.
Allo stesso tempo, l’UE deve tornare ai suoi principi fondamentali: i diritti umani, lo stato di diritto, la lotta alla corruzione, ecc. Perché anche la stessa UE sembra un po’ smarrita. Quando diciamo UE, dobbiamo precisare a cosa ci riferiamo, perché ci sono diversi livelli di governo. Parliamo dei ventisette stati membri, della Commissione europea o del Parlamento europeo? Anche Ursula von der Leyen è finita in tribunale a causa del cosiddetto Pfizergate, proprio perché il suo comportamento come presidente della Commissione europea non è stato trasparente.
Quando l’UE non ascolta i cittadini serbi che scendono in piazza in massa per protestare, quando non si rende conto o ignora il fatto che il presidente serbo tiene in ostaggio l’intero paese, quando non reagisce a situazioni analoghe per certi affari (penso soprattutto al litio) o quando vede nei leader come Vučić un fattore di stabilità (ecco la stabilocrazia), in questi casi l'UE ha poca credibilità, proprio a causa dei suoi doppi standard.
Allo stesso modo, quando stipula accordi solo per ridurre la pressione dei migranti ai suoi confini, l’UE perde credibilità. Quando un socialdemocratico come Borrell, ex commissario europeo per la politica estera e la sicurezza, afferma che fuori c’è una giungla mentre l'UE è un giardino, e che dobbiamo proteggere quel giardino, questa dichiarazione puzza di colonialismo... è qui che l'UE perde credibilità.
Quindi, in linea di principio, l’UE ha ancora una certa credibilità, però deve stare attenta a come si comporta. Per quanto riguarda la prospettiva europea dei Balcani occidentali, non vedo alternative.
Come vede il ruolo di Russia, Cina e Turchia nei Balcani occidentali? Si tratta di partner strettamente pragmatici o possono esercitare un'influenza geopolitica più profonda?
Non credo che oggi si possa parlare di partner puramente pragmatici. Certo, i paesi da lei menzionati si comportano anche come partner pragmatici, quindi costruiscono infrastrutture, forniscono aiuti, ma nulla è gratis. Tutti questi paesi esercitano anche un’influenza geopolitica. Ognuno ha i propri interessi nella regione balcanica. Ecco perché l’UE deve stare attenta a come si comporta e mantenere la credibilità nei Balcani occidentali, perché ha dei concorrenti, se così possiamo definirli.
Naturalmente, il posto dei Balcani occidentali è all'interno dell'UE, ma se l'allargamento rimane solo sulla carta, allora si dà più spazio ad altri paesi per influenzare anche la politica locale.
Come valuta lo stato della libertà dei media nei paesi dei Balcani occidentali? Ci sono segnali di deterioramento?
Da quando realizziamo progetti dedicati alla libertà dei media, non ho notato alcun miglioramento significativo della situazione, anzi. La libertà dei media in Serbia e Bosnia Erzegovina è in continuo deterioramento. I media indipendenti lottano per la sopravvivenza, subendo costantemente processi giudiziari e tentativi di metterli a tacere. Le querele temerarie (SLAPP) sono diventate uno strumento per zittire le giornaliste e i giornalisti.
Allo stesso tempo, l’élite al potere controlla la maggior parte dei media mainstream e dei tabloid. I giornalisti sono sottoposti a pressioni costanti – per non parlare delle minacce di morte – e lottano per poter svolgere il loro lavoro. Essere un giornalista onesto in questa regione, soprattutto se si fa giornalismo investigativo, non è facile, considerando i numerosi rischi che il nostro mestiere comporta.
State seguendo le proteste studentesche in Serbia? Qual è la vostra linea editoriale su questo argomento?
Sì, certo che seguiamo le proteste. Si tratta di uno degli eventi sociali e politici più significativi degli ultimi anni. Credo che oggi in Serbia stia accadendo qualcosa di serio e importante, qualcosa che può servire da esempio per gli altri paesi, non solo nei Balcani.
Rispettando la regola dell’oggettività giornalistica, abbiamo seguito le proteste in Serbia sin dall'inizio, in collaborazione con i nostri corrispondenti. Abbiamo dato ampio spazio a blocchi e manifestazioni, soprattutto perché inizialmente nei media europei se ne parlava poco.
La Serbia ha protestato per decenni, dal 1991 al 1996-97, poi il 5 ottobre 2000, poi Savamala, Belgrado sull'acqua, la strage nella scuola “Ribnikar”, Rio Tinto... C’è una lunga tradizione di proteste contro il potere. In passato però nessuna di queste mobilitazioni è riuscita a inficiare in modo significativo il regime.
Ora sembra diverso. Un aspetto curioso, e positivo, è che gli studenti chiedono la stessa cosa che l'UE chiede alla Serbia. Quindi, penso che non abbia senso che l'UE non ascolti ciò che gli studenti vogliono dire. Ultimamente sembra che l’UE si sia risvegliata dal torpore, anche sulla questione palestinese. Finalmente, diciassette paesi membri – tra i quali però non c’è l’Italia – hanno chiesto di rivedere gli accordi con Israele. Ma sono dovuti passare quasi due anni – anni in cui oltre cinquantamila persone hanno perso la vita – perché qualcuno alzasse la voce e facesse qualcosa.
Quanto è presente il tema dei Balcani occidentali nei media italiani e quanto è interessante e rilevante per il vostro pubblico?
Il tema è presente solo quando accade qualcosa di importante, come solitamente succede nei media mainstream. In Italia ci sono ancora giornalisti che parlano dei Balcani come di una polveriera e hanno molti pregiudizi. Tuttavia, credo che il pubblico percepisca i Balcani occidentali come un tema rilevante, soprattutto i giovani, persone che non erano ancora nate ai tempi delle guerre jugoslave, però vogliono sapere cosa pensano i loro coetanei dall’altra parte dell’Adriatico. Ci sono tante esperienze da condividere e scambiare.
Naturalmente, tra i nostri lettori ci sono molti membri della diaspora, persone che hanno lasciato il territorio dell'ex Jugoslavia durante o dopo la guerra. OBCT è in realtà l’unico portale web che si occupa costantemente e professionalmente di questi territori e il pubblico continua a seguirci.
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