Un'immagine tratta da “The Lobster – L’aragosta” di Yorgos Lanthimos

L'anno scorso aveva vinto la Turchia, quest'anno sembra invece ci sarà poca gloria per l'Europa del sud-est a Cannes. La rassegna francese si inaugura domani

12/05/2015 -  Nicola Falcinella

Un anno fa la Palma d’oro premiò la Turchia con “Il regno d’inverno – Winter Sleep” di Nuri Bilge Ceylan. Quest’anno le chance realistiche di un premio importante per l’Europa del sud-est dal Festival di Cannes, in programma dal 13 al 24 maggio, non sono moltissime.

Maggiori quelle italiane con ben tre film in competizione: “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone, “Mia madre” di Nanni Moretti e “Youth” di Paolo Sorrentino.

Tra i 19 titoli in concorso (cinque sono francesi e quattro americani), c’è il greco Yorgos Lanthimos con “The Lobster – L’aragosta”. Il cineasta di “Kinetta, “Kynodontas” e “Alpeis” (premiato alla Mostra di Venezia per la sceneggiatura) è un esponente di quell “weird cinema” fatto di metafore troppo evidenti e forzature che o lo si incensa o lo si detesta. Stavolta Lanthimos si cimenta con una produzione internazionale con un cast di nomi noti (Colin Farrell. Léa Seydoux, Rachel Weisz, Ben Whishaw, John C. Reilly e Olivia Colman) oltre all’attrice francese Ariane Labed diventata ormai icona del nuovo cinema ellenico. La trama, ambientata nel futuro, prevede che i single siano costretti a trovare un partner entro 45 giorni, pena l’essere trasformati in animali e abbandonati nei boschi.

Tre sono i film balcanici nell’altra sezione ufficiale “Un certain regard”, nella quale è stato incluso “Louisiana - The Other Side” di Roberto Minevini, italiano che lavora negli Usa noto soprattutto per “Stop the Pounding Heart”. Ci sono il croato Dalibor Matanić con “Zvizdan – The High Sun” (coproduzione slovena) e i due romeni Radu Muntean con “Un etaj mai jos – L’etage du dessous” e Corneliu Porumboiu con “Comoara – Le tresor”.

Se gli ultimi due sono tra gli esponenti di punta del cinema romeno, Muntean noto per “The Paper Will Be Blue” e Porumboiu soprattutto per “A est di Bucarest”, merita attenzione Matanić. Quarantenne, con una discreta filmografia alle spalle (“Ragazze belle e morte”, “Volim te” e “Kino Lika” soprattutto), è alla prima volta in una manifestazione di tale livello. Anche per il cinema croato non è frequente la presenza nelle selezioni ufficiali dei grandi festival, anche se un segnale incoraggiante era arrivato dalla presenza di “Takva su pravila – These Are The Rules” di Ognjen Svilicić nella selezione di Orizzonti all’ultima Mostra di Venezia. Stavolta Matanić racconta tre storie d’amore, in tre decenni diversi, in due villaggi dei Balcani separati da lunghe vicende di odio che costringono ad amori segreti o contrastati.

Nella giuria della sezione, che ha come presidente Isabella Rossellini, ci saranno anche il regista greco Panos H. Koutras (“Pazza idea – Xenia”) e l’attore francese Tahar Rahim, recente protagonista de “Il padre” di Fatih Akin.

Tra le “Proiezioni speciali”, insieme al ritorno di Souleymane Cisse con “Oka”, l’esordio registico di Natalie Portman con “Sipur al ahava ve choshech – Une histoire d’amour et de tenebres” e “Amnesia” di Barbet Schroeder, c’è l’esordiente serbo Pavle Vucković con “Panama”. Un lungometraggio che arriva molti anni dopo il premio ricevuto sempre a Cannes nel 2003 per il corto “Run Rabbit Run”.

Nel concorso cortometraggi c’è invece la produzione turco-francese “Sali – Tuesday” di Ziya Demirel. Un altro corto, il romeno “Ramona” di Andrei Cretulescu, è incluso nella selezione della Semaine de la critique. Balcani e Caucaso (e anche l’Italia) sono invece assenti nell’altra sezione parallela, la Quinzaine des realisateurs che quest’anno vanta titoli attesi come i nuovi lavori di Arnaud Desplechin e Miguel Gomes.

Nella sezione parallela Quinzaine des realisateurs c’è “Mustang” della turca Deniz Gamze Ergüven, produzione maggioritaria francese con Germania e Turchia. Il film, scritto da Ergüven con la regista francese Alice Winocour (che in Un certain regard presenta il suo “Maryland”), è un dramma su cinque ragazze adolescenti in un villaggio di provincia in lotta contro le tradizioni e il destino.

Un primo la Turchia l’ha ottenuto nell’appena concluso 63° Trento Film Festival, con la meritata Genziana d’argento di miglior cortometraggio a “Houses with Small Windows” del turco Bülent Öztürk. Il festival si è chiuso assegnando il premio principale a un film dal Lesotho, “Coming of Age” di Teboho Edkins su quattro adolescenti delle montagne sudafricane.

Öztürk parte da un episodio della giovinezza della propria madre per raccontare, in 16 minuti e con poche parole, storie di crudeltà e rapporto con le tradizioni in Kurdistan. Una riflessione, con pochi elementi ma di grande forza, sul ruolo della donna, in questo caso in una posizione subalterna, uccisa o costretta a subire le decisioni altrui e fuggire. Donne accusate di adulterio in una piccola comunità. Il regista spiega poco, ma sa creare una tensione e una drammaticità che dicono molto, con inquadrature esemplari, come l’uccisione fuori campo di una delle condannate in mezzo alle colline.


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