Da una trattoria di Bari ad un piccolo ristorante di Tirana, per finire in un refettorio nella Penisola Calcidica. Un'esperienza di palato e seduta, attraversando l'Adriatico. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

02/01/2014 -  Gianni Belluscio

A Bari, di fronte al Porto, i tavoli del "Gambero" sono quelli quadrati, occidentali e con le sedie impagliate: sono la nostra abitudine quotidiana.

Oltrepassi l'Adriatico e ti ritrovi in un appartamentino d'antan a piano terra, ora piccolo locale di Tirana, timido e nascosto al traffico. Nella saletta i tavoli sono bassi, rotondi. Non ti arrivano nemmeno al ginocchio le sofra turche che hanno invaso i Balcani. Un tempo le si accostava seduti per terra, con le gambe incrociate, poi le resero più comode affiancate da scanni e panche coperte di pelli di capra. E per gustare il cibo lo devi riverire: ad ogni boccone sei obbligato a chinarti!

La signora serve i piatti a raffica, tutto è esposto alla gioia degli occhi e dei nasi non abituati a quei profumi. Ronzano attorno alle fërgesat (ferghésat) e alle tàvat le forchette come le api tra i fiori, senza ordine alcuno e senza misura.

Carni di capretto zgare-grigliate e turshì-peperoni ripieni di Oriente, mentre le bottiglie di rakì ti osservano attonite dal muretto di fronte: scegli tra il gelso, l'uva, le more selvatiche, l'albicocca... Il rakì è un ritorno di fiamma che ti sale dall'esofago verso il palato quando lo cali në fund-di botto.

Basta un salto a sud-est nell'Athos Calcidico - dove il genere femminile non è ammesso - e nelle tràpezai-mense delle monì-monasteri le tavole diventano stadi da refettorio, di legno chiaro e bordate da cornici alte alcuni centimetri sulle quali posare gli avambracci.

Nei monasteri ortodossi i pasti non hanno nome, si pranza, si cena e si fa colazione sempre alla stessa ora, e allo stesso modo, seduti in silenzio mentre la voce del monaco-lettore, da un pulpito emana nella sala storie di Santi.

I piatti e i bicchieri sono ovunque di acciaio e lo struscio delle posate trasmette brividi di freddo. I tavoli in marmo di Vatopèdi, non so perché, ricordano trogoli scheggiati dai quali l'abbondanza delle pietanze, durante il pasto domenicale, deborda e raggiunge vette imprevedibili. Pasti santi, accompagnati dai vinelli cenobitici che è permesso bere solo dopo il colpo secco scoccato dall'Abate con la forchetta sul bicchiere vuoto.


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!

I commenti, nel limite del possibile, vengono vagliati dal nostro staff prima di essere resi pubblici. Il tempo necessario per questa operazione può essere variabile. Vai alla nostra policy

blog comments powered by