I fratelli Prenga - Ivo Danchev

I fratelli Prenga (al centro della foto) - Ivo Danchev

Dopo anni in Italia, i fratelli Prenga sono tornati in Albania per lanciare un'idea nuova e rivoluzionaria di ristorazione, fatta di produzione locale, attaccamento alla terra e orgoglio delle proprie tradizioni

24/12/2015 -  Francesco Martino Fishta

Orgoglio di sé e un'idea forte, semplice e coraggiosa. Talvolta gli ingredienti più importanti non si trovano nelle pagine dei menù: per scovarli bisogna sondare gli occhi e le mani di chi accosta sapori, in sottile equilibrio tra tradizione e freschezza.

Sono le mani e gli occhi di Altin e Anton Prenga, chiarissimi e sempre in movimento, che danno il benvenuto a chi arriva a “Mrizi i Zanave” (“L'ombra”, o meglio “il ristoro delle fate”) nel villaggio di Fishta, poche case aggrappate al paesaggio, brullo e fascinoso, dell'Albania nord-occidentale, sospesa tra il tepore argenteo dell'Adriatico e il profilo accigliato e scuro delle Alpi albanesi.

In pochi anni, a piccoli passi, “Mrizi i Zanave” - ristorante e convivium Slow Food - è diventato un punto di riferimento per chi, in Albania, guarda al futuro senza rinnegare i legami con una traduzione culinaria e culturale profondissima.

“Bisogna contaminare idee e suggestioni, ma conservare i prodotti e i saperi della nostra terra”. Coi due fratelli Prenga, rientrati dopo una lunga esperienza lavorativa in Italia e protagonisti di quella che è stata definita “una vera rinascita della ristorazione albanese”, attraversiamo le giovani vigne di “Kallmet” - antico vitigno locale - che circondano il ristorante.

“L'idea di fondo è qui, intorno a noi, fin dove può spaziare lo sguardo. Quanto proponiamo in tavola, dall'acqua al sorbetto di melograno selvatico, dai formaggi alla carne di capretto e agnello, viene dalla nostra terra”.

In un territorio segnato da ristrettezze ed emigrazione, l'intuizione e il lavoro di Altin e Anton hanno creato un sistema integrato, fatto di decine di piccoli produttori, venticinque dipendenti, un punto vendita per i prodotti locali, clienti che arrivano non solo dal tutta l'Albania, ma anche dai vicini Kosovo e Montenegro.

Il tutto tenuto insieme da una cucina in grado di essere insieme nuova ed antica. E di restituire orgoglio e senso di appartenenza. “L'ho scritto anche su una maglietta 'Krenar qe jam fshatar', 'Sono orgoglioso di essere contadino'”, dice sorridendo Altin. Una frase quasi rivoluzionaria in Albania, dove il legame con la terra viene oggi vissuto con malcelata vergogna. Un orgoglio che si ravviva all'idea di “servire agli stessi tavoli primi ministri e gente di paese”. “Perché”, sottolinea Anton, “promuovere il locale significa poter offrire a prezzi più bassi. E l'esperienza della nostra cucina deve essere accessibile a tutti”.

L'ho scritto anche su una maglietta

'Krenar qe jam fshatar'

'Sono orgoglioso di essere contadino

Altin Prenga

La visione dei fratelli Prenga arriva a ribaltare, simbolicamente, il legame col difficile passato del regime comunista albanese, il più claustrofobico di tutta l'Europa orientale. In fondo alla vigna si alzano alcuni edifici di mattoni rossi e sbrecciati. “Questo, al tempo di Hoxha, era un campo di confino e lavoro forzato. Oggi vogliamo portare qui nuova linfa creando un caseificio, una macelleria, uno spazio per lavorare i melograni selvatici. Conservare, trasformando però le ferite del passato in qualcosa di gioioso e vitale”.

Puntare sul locale, però, non vuol dire arroccarsi nel localismo. Ecco perché i fratelli Prenga sono tra i primi sostenitori dell'Alleanza tra i cuochi e Slow Food, iniziativa che dovrebbe sbarcare presto in Albania e coinvolgere numerosi cuochi, che si impegnano ad utilizzare nei propri menù prodotti dei presìdi Slow food e dell'Arca del gusto. Un modo consapevole di creare legami e contaminazioni tra locale e globale. Anche in tavola.

Un'iniziativa che arriva fino al cuore di Tirana. Tra gli chef coinvolti c'è Bledar Kola, giovane talento della “nuova ristorazione albanese”, stagista al prestigioso Noma di Copenaghen e ora lanciato in una nuova avventura al “Bacchus”, aperto da pochi mesi nel centro della capitale albanese. Mentre mescola con sapienza elementi tradizionali, come le sfoglie del “burek”, con delicate insalate, più vicine al gusto occidentale, Bledar parla con visibile ammirazione del lavoro dei fratelli Prenga.

“Qui, in città, però le sfide aperte sono tante e diverse”, dice Bledar, mentre inforna bistecche d'agnello, “il re della cucina albanese”, accompagnato da una mousse a base di panna acida, uova e melanzana.

“Credo che, nella nuova realtà di Tirana, che si apre al mondo pur volendo restare sé stessa, la parola chiave sia 'equilibrio': tra tradizione e novità, tra locale e internazionale, tra aspettative e capacità di proporre un cambiamento”. Un equilibrio sottile, per nulla scontato, ma carico di prospettive e potenzialità, su cui cammina il futuro del rapporto tra cucina, identità, trasformazione, ricchezza culturale e sostenibilità economica. Anche in Albania.


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