Le nuove aperture internazionali all'Iran creano possibilità di collaborazione concrete, soprattutto in campo economico, tra Ankara e Teheran
La revoca delle sanzioni all’Iran da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, annunciata lo scorso fine settimana, segnala l’affermarsi di nuovi equilibri nella regione mediorientale da un punto di vista commerciale e politico, con un particolare riguardo alla situazione siriana.
La Turchia e l’Iran, storici rivali della regione, hanno posizioni opposte sulla risoluzione del conflitto in corso, una divergenza che si traduce anche nel differente sostegno fornito dai due paesi alle forze che combattono sul campo.
Mentre Ankara si adopera da tempo per il rovesciamento del regime di Bashar al Assad, Teheran, in linea con la Russia, preme in direzione contraria. La Turchia, d'altra parte, fa parte della coalizione anti-Stato islamico (IS) guidata dagli Stati Uniti, e dallo scorso luglio ha messo a disposizione di Washington la base militare di Incirlik per le sortite aeree contro l'IS. Ankara è però in contrasto con gli Stati Uniti per la collaborazione di Washington con i militanti del Partito democratico curdo (PYD) nella lotta allo Stato islamico.
Mentre la crisi con Mosca - scoppiata dopo l’abbattimento (lo scorso 24 novembre) di un jet russo da parte dell’aviazione turca - ha causato ad Ankara maggiore difficoltà di azione in Siria, nell’ultimo scontro emerso tra Iran ed Arabia Saudita per l’uccisione (lo scorso 2 gennaio) dello sceicco sciita Nimr al-Nimr da parte di Riyad, la Turchia ha cercato di mantenere una posizione di equilibrio tra le due potenze islamiche.
Una posizione marcata anche dalle parole pronunciate dal ministro degli Esteri Mevlut Çavuşoğlu la settimana scorsa. “La tensione che si registra nei rapporti tra l’Arabia Saudita e l’Iran ha la potenzialità di approfondire i problemi già presenti nella nostra regione. Per questo motivo è necessario agire con buon senso e lasciare aperti i canali diplomatici fino alla fine. La regione non ha bisogno di nuovi scontri, ma di accordo e collaborazione. La Turchia è pronta a mostrare ogni tipo di sforzo per ovviare ai problemi tra i due paesi”, ha affermato il ministro.
Ankara ostaggio della Siria
Fin dall’inizio della guerra civile siriana la linea politica adottata dal governo turco ha privilegiato la corrente musulmana sunnita. “La Turchia ha sostenuto un governo con una maggioranza formata dai Fratelli musulmani. Quando questo [intento] è fallito, è stata stabilita una tacita alleanza con l’Arabia Saudita e il Qatar”, scrive la giornalista Ceyda Karan.
“La politica mediorientale turca è divenuta ostaggio della Siria. Di conseguenza, la Turchia è divenuta amica di paesi le cui politiche combaciano con quelle di Ankara in Siria e nemica di tutti gli altri”, afferma invece Alptekin Dursunoğlu di Yakın Doğu Haber, portale specializzato sulla regione.
Tuttavia, per diversi osservatori, l'alleanza di Ankara con Riyad, proprio quando l’Iran sta entrando in una nuova fase economica e politica, rischia di trascinare la Turchia in acque pericolose e segnate dal settarismo religioso.
I rapporti “strategici” tra Turchia e Arabia Saudita
A partire dal gennaio 2015, con il cambio di leadership in Arabia Saudita, la configurazione del potere sunnita nella regione mediorientale ha subito un cambiamento. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha visitato re Salman bin Abdul-Aziz al Saud per tre volte nell’arco di un anno, annunciando il proprio sostegno alla campagna militare saudita nello Yemen. Alla fine dello scorso dicembre i due paesi, considerato “il periodo critico che sta attraversando la regione” e la loro “fratellanza, amicizia e partenariato strategico” hanno convenuto sulla formazione di un “consiglio superiore di cooperazione strategica”.
Un quadro di intesa che ha assunto dimensione più significativa quando Erdoğan, al ritorno da Riyad, ha dichiarato che la Turchia e Israele (storico nemico dell’Iran) “necessitano” l’uno dell’altro. Una comunicazione arrivata dopo che a metà dicembre era già stato annunciato il raggiungimento di un accordo preliminare – di cui si parlava da tempo – per ripristinare le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, interrotte dal 2010, dopo l’assalto militare israeliano alla nave turca Mavi Marmara, diretta a Gaza con aiuti umanitari.
Tuttavia, secondo l’analista Cengiz Çandar, “se l’avvicinamento di Erdoğan a re Salman era finalizzato ad aumentare la cooperazione sulle questioni regionali, in particolar modo in Siria, la crisi saudita-iraniana ha complicato i piani regionali della Turchia”.
I tentativi militari messi a punto da Riyad per mettere in difficoltà Teheran, peraltro, non sembrano aver sortito l’effetto sperato. Così come nemmeno il tentativo di isolare diplomaticamente l’Iran, dopo gli attacchi e le proteste rivolte alle rappresentanza saudite seguite alla condanna a morte dello sceicco Nimr al-Nimr.
“Il risultato ottenuto dai sauditi, che hanno esortato i propri alleati a interrompere le reazioni diplomatiche con l’Iran, è ben lontano dal causare danni a Teheran”, commenta il giornalista di Radikal Fehim Taştekin, esperto della regione. “Solo il Bahreyn, il Sudan, la Somalia e Gibuti hanno tagliato i ponti con l’Iran (…) La Turchia ha [solo] richiamato l’ambasciatore iraniano ad Ankara in segno di ammonimento”.
In questo contesto la posizione assunta da Washington risulta determinante. Per Taştekin “Gli Stati Uniti hanno capito che è servito collaborare in Iraq e in Afghanistan con l’Iran, e sono rimasti costretti a far partecipare Teheran agli incontri di Ginevra e Vienna per superare l’impasse in Siria”.
I rapporti tra la Turchia e l’Iran
Per quanto critici, i rapporti tra Ankara e Teheran sembrano riconoscere la necessità di mantenere intatte le relazioni reciproche. Si tratta soprattutto di necessità (ed interessi) di natura economica e commerciale. L’Iran è il secondo paese (dopo la Russia) da cui la Turchia acquista gas metano, arrivando a coprire quasi il 20% del proprio fabbisogno energetico. Dopo la crisi con la Russia, sebbene non sia all’ordine del giorno l’interruzione di fornitura del metano russo (il 64% del fabbisogno di Ankara), la Turchia sta esplorando nuove strade per diversificare i propri fornitori.
Secondo le previsioni più ottimistiche, l’effetto positivo della revoca delle sanzioni sull’economia iraniana si sentirà anche in Turchia. Si attende innanzitutto che aumenti il volume del commercio e la quantità di petrolio acquistata da Ankara, che copriva in passato quasi la metà del suo fabbisogno con quello iraniano, diminuita col tempo, a causa delle sanzioni, arrivando a costituire circa il 31% del petrolio importato dalla Turchia.
Ankara, che da qualche anno registra serie difficoltà in campo commerciale nella regione mediorientale, potrebbe beneficiare della nuova apertura all'Iran anche nel settore edile. Il rallentamento del settore in Libia, Iraq e Russia porterebbe gli imprenditori edili a rincorrere progetti iraniani. I primi contatti in tal senso, secondo quanto riferisce la stampa locale, sarebbero già stati presi quattro mesi fa. “La Turchia è stata vicino all’Iran durante il periodo delle sanzioni, circa 200 società turche hanno effettuato investimenti nel paese in quel periodo in diversi settori”, afferma Bilgin Aygül, presidente del Consiglio di lavoro turco-iraniano, prevedendo che il volume d’affari tra i due paesi potrebbe raggiungere 30 miliardi di dollari entro pochi anni.
L’accrescimento dell'influenza iraniana può però trasformarsi in uno svantaggio per la Turchia? Secondo Ahmet Kasım Han, del Centro di ricerche per l’economia e la politica estera (EDAM), questo dipende in gran misura dalla posizione che assumerà Ankara.
Han, che ritiene che la Turchia potrebbe diventare molto importante per Teheran per il trasferimento di metano via terra verso l’Europa, aggiunge “non c’è dubbio che l’Iran si comporterà in maniera più spavalda nella regione. In Siria, come nello Yemen […] la rivalità turco-iraniana sarà inevitabile, ma ritengo che sarà comunque una ‘tensione gestibile’ […] a meno che non si scelga di stare solo da una parte. Mantenere le posizioni in Siria, schierarsi contro l’Iran in Iraq, sostenere apertamente l’Arabia Saudita… dipende tutto dalle decisioni che verranno prese”, afferma l’analista.
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