In Turchia, a seguito dei recenti emendamenti alla legge elettorale sembra di essere già in campagna elettorale. Alle urne, però, si andrà solo nel novembre 2019. Un'analisi del nostro corrispondente
Il 16 aprile 2017, un referendum ha trasformato lo stato turco da democrazia parlamentare in sistema presidenziale. In passato una figura principalmente simbolica e strettamente bipartisan, il presidente ora assorbe il ruolo del primo ministro e controlla sia il parlamento che la burocrazia dello stato.
La riforma, spinta dal governo del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) dell'attuale capo dello stato Recep Tayyip Erdoğan, ha ottenuto il 51,4% delle preferenze ed è passata con lo stretto margine di appena 1,4 milioni di voti. Il risultato è stato fortemente contestato dalle opposizioni e dagli osservatori internazionali, soprattutto perché il Consiglio Elettorale Supremo (YSK) ha deciso di convalidare almeno 1,5 milioni di voti – con altre fonti che suggeriscono fino a 2,5 milioni – nonostante la mancanza del timbro ufficiale YSK.
Inoltre, il referendum è stato condotto sotto lo stato di emergenza, emanato dopo il fallito colpo di stato di luglio 2016 e ancora in vigore, che ha impedito, secondo l'OSCE, una consultazione libera e corretta. Da allora, il governo ha lavorato per armonizzare le leggi turche con le modifiche introdotte dal referendum.
Nuova legge elettorale
Negli ultimi mesi sono stati introdotti numerosi emendamenti alla legge elettorale turca. Mustafa Şentop, parlamentare AKP e ideatore della riforma, ha spiegato in un'intervista al quotidiano filo-governativo Sabah che questi cambiamenti sarebbero necessari per porre fine alla tutela della comunità internazionale, specialmente degli Stati Uniti, sul paese. Secondo quest'approccio, le costituzioni scritte dopo la Seconda guerra mondiale nei paesi del blocco atlantico sarebbero nate viziate dal patrocinio degli Stati Uniti come risultato della guerra fredda. I vincoli in esse contenuti non sarebbero quindi il prodotto di lotte sociali e del tentativo di bilanciamento dei poteri, ma legacci frutto del disegno neoimperialista occidentale, che si impone anche attraverso valori estranei alla cultura politica anatolica e che di fatto limita la libertà d'azione dei governi nazionali.
Per l'opposizione, però, il vero obiettivo delle modifiche nasconde in realtà il tentativo del governo di adeguare la legge elettorale ai propri interessi. Nonostante il fatto che le prossime consultazioni si terranno solo nel novembre 2019, quando saranno eletti sia il presidente che i membri del parlamento, il paese vive già ora in un clima di permanente campagna elettorale.
I sondaggi suggeriscono che il 50% + 1 dei voti, necessario per ottenere la presidenza, non sia scontato per l'attuale presidente Erdoğan: un rischio che l'interessato non sembra disposto a correre.
La nuova legge ha introdotto diverse modifiche, la più cospicua delle quali è il fatto che ora sono considerate valide le schede senza timbro o con più timbri, risolvendo quindi le polemiche sorte l'anno scorso durante il referendum.
Un altro emendamento consente ai partiti di formare alleanze per superare la soglia elettorale del 10%, la più alta del mondo. I partiti politici all'interno di un'alleanza possono guadagnare seggi in parlamento anche senza raggiungere il 10%: una modifica che consente al partito di governo di Erdoğan di allearsi con il partito nazionalista di estrema destra MHP.
Temendo di non superare la soglia elettorale, il leader MHP Devlet Bahçeli aveva inizialmente chiesto una riforma per abbassarlo. Ma abbassare la soglia non era nei piani dell'AKP, poiché avrebbe permesso ad altri partiti minori di diventare più rilevanti e probabilmente di drenare sostegno dall'AKP. La via d'uscita dal vicolo cieco è stata trovata nel recente emendamento, che garantisce la sopravvivenza del MHP e, poiché non sono previste altre alleanze significative fra gli altri partiti, finirà probabilmente per favorire solo la coalizione AKP-MHP. Per usare le parole di Şentop: "non riesco nemmeno a immaginare che l'Alleanza popolare composta da AKP e MHP possa perdere le elezioni".
Inoltre, altri emendamenti consentono all'YSK – per ragioni di sicurezza - di cambiare i distretti elettorali e spostare i seggi. I seggi saranno gestiti da personale scelto dall'YSK invece che dai capi di comitato eletti dai partiti politici. Infine, le forze di sicurezza saranno autorizzate a posizionarsi vicino alle cabine elettorali.
Questi cambiamenti, giustificati da presunti problemi di sicurezza legati alla situazione nel sud-est del paese, hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che il risultato elettorale potrebbe essere pesantemente influenzato dalle decisioni dei governatori locali e delle forze di sicurezza.
È utile notare che le modifiche alla legge elettorale non rispettano le raccomandazioni incluse nella relazione dell'OSCE dopo l'aprile 2017, che richiedeva una più ampia partecipazione dei partiti politici e della società civile in un ambiente più libero.
Conservatori
La nuova legge elettorale consolida ulteriormente un sistema bipartitico nel paese, una prospettiva accolta favorevolmente dall'AKP. Nell'area di destra, l'AKP mira ad assorbire gran parte dell'elettorato nazionalista. In quest'ottica gli interventi militari nella Siria settentrionale potrebbero essere una soluzione per trasferire centinaia di migliaia di rifugiati siriani attualmente ospitati in Turchia alleggerendo il malcontento tra gli elettori nazionalisti e i loro crescenti sentimenti anti-immigrazione.
Ceren Baysan, ricercatore dell'UC Berkeley, ha sottolineato in una recente intervista come gli elettori turchi siano effettivamente preoccupati da questioni quali il terrorismo e la sicurezza nazionale. E l'AKP sta accumulando consenso su questi temi in un momento in cui la linea di demarcazione tra preoccupazioni con fondamento reale e preoccupazioni dovute alle tattiche della paura messe in atto dalle istituzioni è sfocata, confusione favorita dallo stato attuale dei media turchi.
Allo stesso tempo, i partiti conservatori che non si allineano all'AKP vengono marginalizzati, non consentendo la creazione di alcuna alternativa. Questo anche se il neonato partito nazionalista IYI, guidato da Meral Aksener, è il risultato di una spaccatura all'interno del MHP voluta dalla fazione che non ha sostenuto la scelta di Bahçeli di schierarsi con Erdoğan. IYI potrebbe erodere parte del voto nazionalista e rivelarsi la vera sorpresa delle prossime elezioni.
Sempre nel campo conservatore il piccolo partito islamista Saadet (Felicità), guidato da Temel Karamollaoğlu, ha assunto una posizione critica nei confronti del governo e potrebbe raccogliere il favore degli elettori delusi dall'AKP per formare un'opposizione islamista. L'atteggiamento di Erdoğan nei confronti di Saadet ha alternato offerte di alleanza per la buona causa dell'unità dei credenti e sdegnate minacce. Sia IYI che Saadet sono considerati in grado di ottenere circa il 7% dei voti, forse superando la soglia di sbarramento.
Centro-sinistra
Diverso lo scenario nell'ala di centro-sinistra dello spettro politico turco, dove i due partiti principali, il partito liberale di sinistra HDP e il centrista CHP, stanno combattendo altre battaglie.
L'HDP, filocurdo e aperto alle minoranze, sta lottando contro una massiccia repressione sia nei confronti della sua leadership che degli affiliati. Iniziata nel 2015, dopo l'inversione di marcia del governo sul processo di pace tra lo stato e la comunità curda, questa repressione ha portato all'arresto di almeno 10mila suoi membri e il partito è stato etichettato come un'organizzazione amica dei terroristi. Ciò rende impossibile cercare alleati e ha portato l'HDP al massimo isolamento politico, poiché le altre organizzazioni temono di diventare a loro volta bersaglio delle sempreverdi accuse di terrorismo.
Allo stesso tempo, decine di sindaci HDP sono stati rimossi e sostituiti con altri nominati dal governatore dello stato, il che significa che milioni di cittadini sono ora governati da amministratori non eletti. Tutto questo impedisce all'HDP di fare campagna elettorale, nonostante il tentativo del partito di riorganizzarsi sotto la guida della deputata curda Pervin Buldan e dell'economista turco Sezai Temelli.
Il CHP, erede di Atatürk, è bloccato dalla propria incapacità di guadagnarsi la fiducia degli elettori oltre il proprio elettorato tradizionale, che si attesta sul 25%. Recentemente ha fallito di nuovo nello sforzo di rinnovare la propria leadership, con Kemal Kılıçdaroğlu confermato segretario nel febbraio scorso, nonostante otto anni di sconfitte consecutive alle urne. Il partito porta poi sulle spalle il peso della storica incapacità di trasformarsi da organizzazione elitaria, autoritaria e dipendente dall'esercito in un partito moderno con ampio consenso. È disprezzato sia dai conservatori religiosi, che lo biasimano per i decenni di isolamento politico e quindi difficilmente tradiranno la leadership di Erdoğan, che dal campo di sinistra e filo-curdo per le sue responsabilità nella repressione militare delle loro lotte politiche e civili.
La combinazione delle modifiche alla legge elettorale con il panorama politico attuale – stato di emergenza in corso, stato dei media, coinvolgimento nella guerra siriana, purghe dei dipendenti statali – sta spingendo una parte della popolazione a considerare di non recarsi al voto. Nonostante la richiesta di alcuni intellettuali e giornalisti di tenersi alla larga dall'idea, il semplice fatto che un boicottaggio sia ampiamente considerato rappresenta un preoccupante campanello d'allarme, che segnala una diffusa convinzione dell'impossibilità di avere elezioni libere e corrette.
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