Gezi Park

I fatti di questi giorni dimostrano una cosa: c'è una certa fragilità in seno all'AKP, partito del premier Recep Tayyip Erdoğan. E il premier conservatore, dopo Gezi Park, probabilmente dovrà mettere da parte il progetto entusiasticamente caldeggiato di introdurre in Turchia un sistema presidenziale

13/06/2013 -  İhsan Yilmaz

(Articolo pubblicato originariamente dal quotidiano Today's Zaman, il 12 giugno 2013)

Permettetemi di ripetere quanto già avevo affermato la scorsa settimana: alcuni gruppi fortemente ideologici e marginali e Ergenekon hanno cercato di sabotare le proteste di Gezi Park. Alcuni attori internazionali sono stati contemporaneamente molto contenti e molto attivi su quanto sta accadendo, per tutta una serie di ragioni. Ciononostante, cosa c'è di nuovo in tutto questo? Se il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) si sta rendendo conto, per la prima volta, che non ci sono amici permanenti nella politica internazionale, ma solo interessi permanenti, è ora troppo tardi.

Allo stesso tempo mi chiedo: è utile dare la colpa alla “lobby degli interessi” che avrebbe beneficiato degli incidenti? La domanda è questa: perché questa volta tutti questi attori sarebbero stati in grado di inscenare proteste e scuotere allo stesso tempo AKP e Turchia mentre in passato no? Non sono infatti emersi improvvisamente dopo le proteste di Gezi Park, sono sempre stati lì.

Le perdite e le ferite inflitte alla Turchia come risultato di questi incidenti sono tremende. Il prestigio del paese è stato scosso. Le sue credenziali democratiche messe sempre più in discussione, anche dagli amici. L'economia ha subito un duro colpo e l'industria del turismo sarà quella colpita in modo ancora più negativo. Anche le “Proteste della Repubblica” inscenate da Ergenekon non sono state altrettanto dolorose di quelle di Gezi Park. Proprio per questo, l'AKP dovrebbe analizzare innanzitutto gli elementi nuovi, non quelli che ci sono sempre stati.

Io credo che uno di questi nuovi fattori sia la fragilità interna dell'AKP.

Quest'affermazione potrebbe essere una sorpresa per alcuni, perché stiamo parlando di un leader di partito molto potente. Il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan è così forte che è quasi impossibile, all'interno del suo partito, sentire voci dissenzienti. Inoltre, i membri del suo partito non possono neppure parlare con i giornalisti “off the record” di ciò che è stato discusso in incontri a porte chiuse.

E allora, di che fragilità sto parlando? Ritengo che Erdoğan abbia raggiunto i limiti del suo potere all'interno del proprio partito. Sarebbe innaturale se, ogni volta che parla e decide in merito ad ogni questione, che si vada dalle elezioni municipali agli affari ministeriali, chi è in fin dei conti responsabile diretto per tali questioni non si offendesse. Prendete ad esempio il sindaco di Istanbul Kadir Topbaş o il vice primo ministro Bülent Arınç. Non di rado quanto affermato pubblicamente da Arınç è stato poi pubblicamente contraddetto da Erdoğan. La scorsa settimana, quando Arınç ha svolto le funzioni di primo ministro [ Erdoğan era all'estero, ndr] ha giocato un ruolo conciliante nei confronti dei manifestanti e si è scusato per conto del governo per quanto accaduto. Con Erdoğan all'estero per alcuni giorni, la Turchia è stata tranquilla. Quando poi Erdoğan è rientrato, attraverso le sue decisioni, ha contraddetto ciò che Arınç aveva affermato e fatto ed ha assunto una posizione da combattimento.

Chi può affermare che ad Arınç non sia importato nulla? L'approccio del Presidente Abdullah Gül è stato simile a quello di Arınç e la stessa analisi fatta in precedenza può essere applicata anche a lui. Inoltre, sino ad ora, abbiamo avuto anche tre deputati dell'AKP, tra i quali anche l'ex ministro della Cultura, che hanno criticato apertamente le azioni e la retorica di Erdoğan in merito agli incidenti di Gezi Park. Non è un segreto che vi sono altri che la pensano come loro, ma rimangono in silenzio.

In merito alle fragilità interne e tensioni, dobbiamo menzionare l'editoriale a firma del consulente capo di Erdoğan, Alçın Akdoğan, sul quotidiano Star, giovedì scorso. Akdoğan ha usato toni furiosi, cosa per lui molto inusuale. Questo potrebbe significare che il leader AKP non sia attualmente in pieno controllo degli eventi. Inoltre Akdoğan ha nominato alcuni “interni” che avrebbero agito come avvoltoi facendo finta di essere democratici, etc...

Posso sbagliare, ma sono in molti ad aver pensato si facesse riferimento proprio al presidente Gül e al vice primo ministro Arınç. Apparentemente non scosso da questo attacco, Gül si è recato a Rize la mattina di mercoledì ed ha dichiarato che l'attacco brutale della polizia contro i manifestanti, alle 5 del mattino era sbagliato.

E' chiaro che sta sottolineando, in questo modo, la sua differenza rispetto ad Erdoğan sulla questione. Se ora vi sono tensioni tra Gül e Erdoğan - tenendo conto che Erdoğan ha tentato di far approvare al parlamento una legge che avrebbe impedito la candidatura di Gül alle elezioni presidenziali - non possiamo certo affermare che sia stato Gül ad avviarle.

Ora sembra che l'AKP non riuscirà a raccogliere in parlamento i 330 voti necessari per i cambiamenti costituzionali desiderati. A seconda della grandezza della frattura all'interno dell'AKP, nemmeno un'eventuale coalizione con il Partito della Democrazia e Pace (BDP) potrebbe garantire questo numero e questo significa che Erdoğan potrebbe essere obbligato a scordarsi del sistema presidenziale per la Turchia che ha così entusiasticamente desiderato.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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