Cizre (foto Bianet)

Cizre (foto Bianet )

A Cizre, capoluogo della provincia sudorientale di Şırnak, a maggioranza curda, dallo scorso dicembre vige il coprifuoco e sono intensi gli scontri tra le forze di sicurezza di Ankara e i militanti del PKK. La vicenda di un gruppo di persone intrappolato in un seminterrato da giorni. Alcuni di loro sarebbero morti

05/02/2016 -  Fazıla Mat Istanbul

Ancora nessuna notizia delle ventiquattro persone rimaste intrappolate nello scantinato di un edificio a Cizre. Sette sono già morte e la vita di altri feriti (15) potrebbe essere in grave pericolo, ammesso che non sia già troppo tardi. È l’allarme lanciato da Faysal Sarıyıldız, deputato del filo-curdo Partito democratico dei popoli (HDP) della provincia sudorientale di Şırnak, di cui capoluogo è appunto Cizre.

Lo “scantinato dell'orrore”

Nella cittadina a maggioranza curda, martoriata da spari e bombardamenti e dove vige il coprifuoco dallo scorso 14 dicembre, il gruppo si sarebbe rifugiato nel seminterrato per sfuggire agli scontri tra le forze di sicurezza di Ankara e i militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) lo scorso 23 gennaio. Alla loro situazione drammatica non è stata trovata ancora soluzione. Nemmeno un'ingiunzione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) a prestare soccorso ad uno dei feriti non è stata ascoltata e il ferito è morto. Nello “scantinato dell’orrore” – così l’ha chiamato Sarıyıldız – che le ambulanze non riescono a raggiungere, morti e feriti continuavano a condividere lo stesso spazio angusto. Questa è la situazione sino a sabato scorso, ultimo giorno in cui membri dell’HDP e alcuni giornalisti sono riusciti a contattare telefonicamente il gruppo. Da allora non vi sono più notizie.

L’interruzione del contatto, secondo un’ultima registrazione telefonica trasmessa in parlamento dalla deputata HDP Meral Danış Beştaş, coinciderebbe con l’irruzione delle forze di sicurezza nell’edificio, proprio mentre i parlamentari dell’HDP si trovavano in riunione con il ministro dell’Interno Efkan Ala. Durante il colloquio telefonico si sente la voce di Beştaş che dice: “Abbiamo parlato con il ministero, hanno dato il via libera. Quando vi chiameremo dovete uscire”. La chiamata si interrompe con un forte boato seguito da strilli. Si ha poi un ultimo breve contatto con una persona del gruppo. L’edificio sarebbe crollato e lui, ferito, diceva di non sapere dove fossero gli altri.

Scontro politico

Mentre i parlamentari dell’HDP proseguono a turno uno sciopero della fame fino a quando i feriti non verranno soccorsi e alcuni gruppi della società civile si sono mobilitati chiedendo che il governo intervenga per porre fine a questa drammatica situazione, l’esecutivo esclude che ci sia un qualsiasi motivo di allarmismo, accusando l’HDP di cercare di deragliare l’attenzione dell’opinione pubblica.

“È tutta una menzogna”, ha affermato il presidente Recep Tayyip Erdoğan, negando che le forze dell’ordine impediscano il soccorso delle ambulanze. “Ci sono costantemente delle ambulanze lì. Nonostante gli si dica [ai reclusi] di prendere i feriti e portarli alle ambulanze non lo fanno. Le ambulanze non possono entrare nella zona di sicurezza". “Tutto ciò è ideologico” ha poi detto Erdoğan per il quale “forse [quelle persone] non sono ferite”.

Ma mentre i feriti – secondo quanto riportava Sarıyıldız finché era in comunicazione con i reclusi – dissanguati e disidratati, non avevano la forza di uscire da soli, la polizia li chiamava ad “arrendersi”. E se il premier Ahmet Davutoğlu, ha affermato che “non è stato possibile raggiungere quella zona con le ambulanze perché i terroristi [il PKK] vi sparano contro”, secondo le testimonianze dei curdi sarebbero invece le forze di sicurezza a sparare su chiunque si muova.

Anche le Nazioni Unite hanno avuto da ridire su questo punto, dopo che una registrazione video - in cui si vedono le forze di sicurezza turche sparare su civili disarmati a Cizre - ha fatto il giro dei media internazionali. Zeid Raad Al Hussein, Alto commissario dell’ONU per i diritti umani, ha definito il video “scioccante” chiamando la Turchia ad indagare su quanto accaduto alle persone rimaste ferite.

Ma tra le tesi del governo c’è anche quella che vuole che nel gruppo intrappolato ci siano membri del PKK. E tuttavia, Davutoğlu ha ribadito che la questione del seminterrato è un pretesto “per macchiare la reputazione della Turchia”. Negando le accuse rivolte ad Ankara sulla sospensione dello stato di diritto a Cizre, come nelle altre località interessate dal coprifuoco, il premier ha affermato che “noi combattiamo il terrorismo, ma se ci sono feriti prendiamo ogni precauzione per portarli in ospedale. Nessuno può accusare la Turchia di prevaricare lo stato di diritto mentre lottiamo contro il terrorismo”. Davutoğlu, riecheggiando poi le parole del presidente, ha aggiunto che nel seminterrato “forse non ci sono nemmeno feriti”.

Eppure lunedì della settimana scorsa, 11 donne – tra cui alcune madri dei reclusi – esponendo bandiera bianca hanno tentato di entrare nell’edificio – demolito in gran parte – ma sono state fermate dalla polizia. E nella stessa giornata nemmeno i tentativi della squadra composta dai membri dell’Unione nazionale dei medici e dai volontari del sindacato dei medici hanno sortito alcun risultato. I dottori che volevano raggiungere la palazzina sono stati fermati dalla gendarmeria già sull’autostrada che porta a Cizre.

“Forse le informazioni che abbiamo sono sbagliate, ma fate qualcosa per dimostrarlo”, ha affermato invece Sarıyıldız che dopo aver rivolto un appello disperato – inascoltato – alla Federazione della Croce rossa, giovedì ha chiesto l’intervento delle Nazioni Unite sulla questione. “Dicono che nell’edificio ci sono persone armate”, ha proseguito Sarıyıldız, “ammesso che ci siano dei rivoltosi feriti, questo giustifica moralmente che l’ambulanza non si rechi a prestare soccorsi ai feriti? Qui siamo di fronte ad un dramma umano”.

Sentenze

Intanto la Corte costituzionale turca ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati delle 14 persone intrappolate nel seminterrato di Cizre, in cui si chiedeva una sentenza in merito alla violazione del diritto alla vita e al mancato soccorso sanitario alle persone coinvolte. La decisione è motivata dal fatto che la parte ricorrente non sarebbe “disposta a collaborare con le autorità pubbliche” e avrebbe “comunicato indirizzi diversi e date diverse”. Respinto anche un altro analogo ricorso presentato alla CEDU, che ha indicato le autorità giuridiche nazionali turche come più adatte a trattare la questione, invitando tuttavia il governo a informare la Corte sugli sviluppi riguardanti la salute dei ricorrenti, chiamati a loro volta a presentare notizie più precise riguardo alla propria posizione e al proprio stato di salute.

Intanto, anche la società civile cerca di far sentire la propria voce sul “seminterrato dell’orrore”. Oltre 130 nomi del mondo del cinema, della letteratura e del giornalismo hanno firmato una dichiarazione congiunta affermando di essere “pronti a salvare quelle persone” se non lo farà il governo. Un gruppo di giornalisti volontari ha invece cominciato “la guardia dell’informazione” (lanciato su Twitter con l’hashtg #HaberNöbeti): sono reporter che a turno andranno nelle regioni del sud-est per informare su quanto accade nelle zone interessate dallo stato di guerra, sostenendo così i giornalisti locali, molti dei quali nell’ultimo periodo sono stati arrestati dalla polizia per presunta affiliazione al PKK.

Centinaia di vittime

Tra le zone da monitorare anche Sur, centro storico di Diyarbakır, ormai quasi completamente disastrato, dove il coprifuoco in atto da oltre 60 giorni si è spostato in nove nuovi quartieri. Il coprifuoco, va ricordato, è stato imposto qui come altrove per contrastare, tra l’altro, le richieste autonomiste curde. È anche per questo che qualche giorno fa, le affermazioni di Davutoğlu con cui ha promesso che Sur diventerà come Toledo, capoluogo spagnolo di una comunità autonoma, ha creato tragica ilarità.

E mentre il numero delle vittime degli scontri continua a crescere di giorno in giorno (negli ultimi 6 mesi: almeno 200 civili, almeno 243 poliziotti/soldati, almeno 257 membri PKK uccisi) Ankara non sembra affatto intenzionata a deviare dalla politica condotta negli ultimi sei mesi e preannuncia “una nuova struttura di sicurezza” nelle città di scontro con il PKK, con “nuovi comandi di polizia” dove prenderanno servizio “solo forze speciali”.


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