Cipro dall'alto

Cipro dall'alto

Dagli anni '50 del secolo scorso fino ai giorni nostri. Un excursus storico che mette in rilievo il peso delle relazioni Cipro-Turchia sull'andamento degli attuali negoziati tra Ankara e Bruxelles

17/03/2016 -  Francesco Grisolia

Dalla sua comparsa, negli anni Cinquanta del secolo scorso, la questione cipriota (Kıbrıs Sorunu) ha rappresentato per Ankara un problema di rilevanza primaria. In ottica nazionalista Cipro è la «patria-bambina» (Yavruvatan), estensione insulare della madrepatria (Anavatan) turca. Dopo esser stata possedimento ottomano e colonia britannica, nel 1960 divenne uno stato indipendente e bi-comunitario, la Repubblica di Cipro.

Dopo soli tre anni, però, la Repubblica cipriota giunse al collasso; nuovi scontri inter-etnici, dopo quelli del decennio precedente, contrapposero greco e turco-ciprioti, culminando nel 1974 con l'intervento militare diretto turco e la divisione dell’isola. La «Linea verde», che già divideva in due parti la capitale Nicosia, fu estesa all’intera Cipro.

Nella perdurante divisione dell’isola, la Turchia gioca un ruolo innanzitutto in qualità di Paese-garante, insieme a Grecia e Gran Bretagna, in base alla costituzione del 1960. La sola entità legittima e riconosciuta dalla comunità internazionale è la Repubblica di Cipro, divenuta però dal 1963 espressione della sola comunità greco-cipriota.

Nel 1983 viene fondata la Repubblica Turca di Cipro Nord (Rtcn), riconosciuta soltanto da Ankara e sovrana de facto sulla parte settentrionale dell’isola. Pur non essendo un confine, ma una linea del cessate-il-fuoco, per quasi trent’anni la Linea verde ha materialmente separato le due maggiori comunità dell’isola; dal 2003 la possibilità del suo attraversamento non ha comunque annullato le distanze fra greco e turco-ciprioti.

Oltre che da legami storici e ideologici, il valore di Cipro per la Turchia deriva da considerazioni diplomatiche, in particolare dal peso che l’isola ha esercitato nel percorso di Ankara verso l’Europa, a partire dalla domanda d’associazione alla Cee nel 1959.

Senza la normalizzazione dei rapporti con Cipro è inverosimile che la Turchia possa mai entrare nell’Unione europea. D’altra parte, per ragioni economiche, militari, socio-culturali e di convenienza politica, nessun governo o maggioranza turca ha finora potuto  sacrificare Cipro Nord e i turco-ciprioti in nome di ambizioni europeiste.

L’avvio dei negoziati per la soluzione della questione cipriota risale al 1977-79; in quegli anni è stata definita la cornice politica che l’eventuale stato cipriota avrebbe assunto: una federazione bi-zonale e bi-comunitaria, composta da due stati costituenti. Dopo decenni improduttivi, il «Piano Annan» – un accordo complessivo per la riunificazione dell’isola, promosso dall’ex Segretario generale delle Nazioni Unite – è stato sottoposto il 24 aprile 2004 a duplice referendum simultaneo. Se approvato da greco e turco-ciprioti, il Piano avrebbe consentito l’ingresso di una Cipro unita nell’Unione, già programmato il 1o maggio dello stesso anno. Tuttavia, al sì turco-cipriota (65%), si è accompagnato il no greco-cipriota (76%); la Repubblica di Cipro è entrata nell’Ue rimanendo divisa de facto e l’applicazione dell’acquis comunitario è stata sospesa nella parte settentrionale dell’isola.

La percezione della Rtcn come «pseudo-Stato», «regime fantoccio» – espressioni utilizzate nei documenti ufficiali della Repubblica di Cipro – e dei turco-ciprioti quale comunità soggetta ai condizionamenti turchi, è inevitabilmente connessa alla condizione di Cipro Nord come stato de jure inesistente, sospeso nel non-riconoscimento della comunità internazionale. Secondo alcuni analisti, tali dinamiche si sarebbero attivate nel periodo che ha preceduto il referendum sul Piano Annan, tra la fine del 2002 e i primi mesi del 2004. Se la divisione dell’isola ha tradizionalmente rappresentato un ostacolo ai progetti europei di Ankara, l’impegno per la riunificazione avrebbe potuto consentire alla Turchia di rafforzare la sua posizione nei negoziati per l’accesso all’Unione.

L’Akp di Erdoğan (Partito per la giustizia e lo sviluppo), divenuto partito di governo alla fine del 2002, ha manifestato sin dal principio la consapevolezza che una nuova politica di dialogo e aperture verso i greco-ciprioti sarebbe stata utile al percorso di avvicinamento a Bruxelles. Il sì al Piano Annan sarebbe stato quindi più il prodotto di esigenze di politica estera turche, che un’autentica scelta dell’opinione pubblica turco-cipriota.

Nel periodo post-2004 la presidenza Eroğlu, leader turco-cipriota nazionalista e poco incline a concessioni, combinata al raffreddamento degli entusiasmi europeisti turchi, hanno prevedibilmente contribuito allo stallo dei negoziati a Cipro. Una svolta si è avuta fra il 2013 e lo scorso anno con l’elezione dei nuovi presidenti greco e turco-cipriota, Nikos Anastasiadis e Mustafa Akıncı, noti per ragionevolezza e capacità di compromesso. I segnali incoraggianti quindi non mancano, ma ancor più interessanti per Ankara sembrano le recenti prospettive di riapertura dei negoziati con l’Unione europea.

Come si è visto, la qualità delle relazioni Cipro-Turchia può avere dirette implicazioni sull’andamento dei negoziati fra Turchia e Unione europea. Dopo la battuta d’arresto registrata nel 2006, per il rallentamento delle riforme in Turchia e il nulla di fatto nell’isola, nel dicembre 2009 la Repubblica di Cipro ha direttamente bloccato sei capitoli negoziali, sostenendo che per poter procedere Ankara avrebbe dovuto prima normalizzare i suoi rapporti con Nicosia.

Da allora, nessun nuovo capitolo è stato aperto. L’avvio della «Positive Agenda» nel maggio 2012 è stato seguito da una nuova interruzione fra luglio e dicembre dello stesso anno, per la decisione di Ankara di congelare le relazioni con l’Unione europea durante la presidenza a rotazione del Consiglio Ue da parte della Repubblica di Cipro.

Negli ultimi mesi il dialogo è stato riattivato dalla gravità della crisi dei migranti e richiedenti asilo, in fuga dalla Siria o da altri Paesi, che l’Unione europea si trova a dover affrontare. Nel summit Ue-Turchia del 7 marzo 2016, l’accordo di massima raggiunto prevede in sostanza uno scambio fra un inasprimento dei controlli turchi sui migranti irregolari (riportare in territorio turco coloro che passano da esso in area Ue) e una serie di ricompense europee (raddoppiare i fondi per far rimanere in Turchia i profughi siriani; anticipare da dicembre a giugno la liberalizzazione dei visti per i viaggiatori turchi in territorio Ue; accelerare la riapertura dei negoziati d’accesso all’Unione, aprendo cinque nuovi capitoli).

In occasione del summit il presidente Anastasiadis ha reiterato la contrarietà greco-cipriota alla riapertura di capitoli connessi al mancato riconoscimento della sovranità della Repubblica di Cipro da parte di Ankara. Tale riaffermazione potrebbe far slittare di qualche mese la ripresa dei negoziati, ma non l’impedirà. Come osservato da alcuni commentatori, non c’è alcuna possibilità che un piccolo paese membro possa bloccare un accordo – «cinico, irrealistico e inumano», secondo Medici senza frontiere – sulla crisi umanitaria che ha messo a nudo la fragilità e la mancanza di solidarietà nell’Unione europea.


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