Oskar Danon (Sarajevo, 1913 – Belgrado, 2009), ebreo sarajevese sopravvissuto all’Olocausto, era un direttore d’orchestra e compositore che credeva nella missione della musica. Partigiano e comunista, ha vissuto la dissoluzione della Jugoslavia e il crollo degli ideali della sua generazione
Quando nell’aprile del 1941 a Sarajevo, come nell’intera Bosnia Erzegovina, fu instaurato il regime ustascia, Oskar Danon rifiutò di portare la stella di David cucita sugli abiti, muovendosi clandestinamente nella propria città natale. All’inizio della guerra, i familiari di Oskar, così come la maggior parte degli ebrei bosniaci e jugoslavi, semplicemente non riuscivano a capire quale fosse la loro colpa e perché venissero spogliati dei loro beni. A Sarajevo, tutti gli esercizi commerciali di proprietà degli ebrei e dei serbi furono confiscati e dati in gestione ad amministratori nominati dal nuovo regime. Così uno dei più grandi negozi di proprietà del padre di Oskar venne consegnato alla famiglia Mešinović.
Rimasti anche senza casa, i genitori di Oskar vennero accolti da una famiglia musulmana, che dimostrò grande benevolenza nei loro confronti. Questa buona gente li aiutò a fuggire, vestiti di abiti tradizionali musulmani, a Spalato, da dove raggiunsero Mostar, e infine l’Italia. Così i genitori di Oskar si salvarono dalla persecuzione perpetrata dagli ustascia, che si fece particolarmente intensa nel 1942, quando persero la vita circa 7.500 ebrei sarajevesi, ovvero i tre quarti della popolazione sefardita e ashkenazita che prima della guerra rappresentava oltre il 20% della popolazione complessiva della città.
Tra le vittime dei lager ustascia c’erano anche molti membri della famiglia Danon. Il fratello di Oskar sopravvisse alle persecuzioni e, una volta finita la guerra, tornò a Sarajevo, mentre i loro genitori emigrarono negli Stati Uniti, a Detroit. Un tempo proprietari di manifatture e negozi (che furono loro definitivamente confiscati dal regime comunista), in esilio svolgevano mansioni modeste. Dopo la morte del marito, la madre di Oskar tornò a Sarajevo, dove morì nel 1972.
Oskar Danon conobbe l’antisemitismo ben prima dello scoppio della guerra. Dopo aver concluso gli studi liceali a Sarajevo, nel 1933 si recò a Praga, già intriso di idee comuniste. Si iscrisse all’Università Carolina, dove studiò filosofia, mentre al Conservatorio statale intraprese gli studi di composizione e direzione d’orchestra. Nello stesso anno, insieme ad altri colleghi jugoslavi, visitò Berlino. Furono accolti dall’ambasciatore del Regno di Jugoslavia in Germania Živojin Balugdžić, il quale, cercando di spiegare loro la situazione tedesca di allora, disse: “Vedete ragazzi, voi venite da un paese democratico, mentre questa qui è un’operetta”. Più tardi, quando Hitler diede inizio all’invasione dell’Europa, Danon si ricordò di quelle parole. Soprattutto nel 1938, quando fu testimone dell’ingresso delle truppe tedesche a Vienna.
Il 12 marzo 1938, durante il viaggio di ritorno a Sarajevo, decise di fermarsi a Vienna, con l’intento di vedere uno spettacolo teatrale. Trovò una città in preda all’euforia: tutte le finestre illuminate, grande entusiasmo per le strade… Due poliziotti dai volti esaltati spiegavano a un gruppo di cittadini come le aspirazioni del popolo austriaco si fossero finalmente realizzate: “Ein Volk, ein Staat – Anschluss!” (Un popolo, uno stato – Annessione!). Oskar colse il tono cerimoniale nelle parole con cui annunciarono che il giorno successivo l’esercito tedesco sarebbe entrato a Vienna.
L’esperienza partigiana
Lo scoppio della guerra coincise con un periodo ricordato nella storia di Sarajevo anche per la fervida attività della generazione di artisti a cui apparteneva Oskar Danon. Dopo aver concluso i suoi studi a Praga, conseguendo il titolo di dottore di ricerca in musicologia, nel 1938 Danon tornò a Sarajevo dove, oltre a dirigere l’Orchestra Filarmonica, collaborava con diverse compagnie di canto e, insieme ad altri giovani intellettuali tornati dagli studi all’estero, fondò il gruppo artistico Collegium Artisticum. Tra coloro che si impegnarono nella metamorfosi di un ambiente culturale, quello sarajevese, all’epoca piuttosto sonnolento, sono da annoverare la pianista Matusja Blum, le ballerine Ana Rajs e Ubavka Milanković, i pittori Vojo Dimitrijević, Ismet Mujezinović, Daniel Ozmo e Roman Petrović; gli ingegneri Jahiel Finci e Emerik Blum; gli scrittori Jovan Kršić e Bora Drašković, solo per citare alcuni dei più noti.
Resistenza
Danon giunse alla montagna Romanija da Sarajevo clandestinamente, con un taxi, nel luglio 1941, una decina di giorni prima dello scoppio dell’insurrezione popolare in Bosnia Erzegovina. Prima ancora che la resistenza cominciasse ad organizzarsi in maniera strutturata, Oskar e i suoi compagni (Grujo Novaković, Pero Kosorić e Pavle Goranin) agivano come sabotatori, per poi prendere parte alla formazione delle prime brigate partigiane. Danon fu prima aiutante del comandante del battaglione “Romanija” e poi comandante della divisione “Zvijezda”.
“Combattevamo sognando la libertà. Mi ricordo che in quel 1941, ai piedi della Romanija, il mio migliore amico del liceo Pavle Goranin ed io per caso sentimmo alla Radio Berlino un’esecuzione dell’Eroica diretta da Karajan. Una volta terminata, Pavle mi disse di essere certo che un giorno avrei diretto l’Eroica nella sala Kolarac di Belgrado, mentre lui sarebbe stato seduto tra il pubblico ad ascoltare. Purtroppo, non visse abbastanza a lungo. Perse la vita a Bijele Vode, sulla Romanija, nel gennaio 1944…”. Così Oskar ricordava il suo compagno di guerra ed eroe nazionale, il cui vero nome era Elijah Steiner.
Durante la guerra, Cigo (il nome di battaglia di Oskar, attribuitogli per la sua carnagione scura; nel gergo, il termine “cigo” indica una persona rom) fu attivo anche come operatore culturale e compositore. Compose, tra l’altro, numerose canzoni che i membri e simpatizzanti del movimento partigiano ben presto fecero proprie. Ancora oggi molti (tra coloro che non hanno cambiato idea sull’importanza del movimento di resistenza ai nazisti e ai loro collaborazionisti) credono che le canzoni Romanijo visokoga visa, Ide Tito preko Romanije, Pesma bosanskih proletera siano nate tra il popolo, spontaneamente. Su testi del poeta Vladimir Nazor, Danon compose le canzoni Drug Tito, Sve što j’ bilo pod pepelom, Pjesma o pesti. La versione originale di quest’ultima fu modificata nel 1943, a Jajce, in occasione della nascita della Jugoslavia socialista, diventando Uz maršala Tita, junačkoga sina. Danon assistette con grande entusiasmo a quell’evento: “Capimmo che dalla nostra dura lotta pluriennale, dai nostri sacrifici e sofferenze stava nascendo un nuovo stato…”.
Sarajevo, primavera 1945
“Tornai nella via della mia infanzia, ma questa volta con l'uniforme del vincitore. Non vedevo l’ora di vedere Vjera Bonačić, ragazza di cui ero innamorato da prima della guerra. Tuttavia, dovetti aspettare il rapporto del Comitato comunale sul comportamento tenuto dalla famiglia di Vjera durante il regime dell’NDH [lo Stato Indipendente della Croazia]… Vjera proveniva da una famiglia borghese. Suo padre, il dottor Mato Bonačić, fu direttore del Dipartimento delle finanze, nonché un membro dell’HSS (Partito croato dei contadini) di orientamento civico e democratico. Sua madre, Anka Obuljen, discendeva da una ricca famiglia di Dubrovnik e nutriva forti sentimenti cristiani, ovvero cattolici. La madre di Vjera non era entusiasmata dall’idea che sua figlia volesse sposare un tambour-major, ateo, di sinistra, e in più ebreo…”. Così Danon ricordava quel periodo e la partenza con Vjera per Belgrado, dove si sposarono.
Belgrado – Baška – Belgrado
Questo modesto omaggio al direttore d’orchestra, compositore, professore, operatore culturale e comunista dal volto umano, primo direttore del dopoguerra dell’Orchestra Filarmonica e del Teatro dell’Opera di Belgrado, a questo punto potrebbe facilmente trasformarsi in un elenco di riferimenti enciclopedici. Mi limiterò a ricordare al lettore che Danon fu anche direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Lubiana e dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Zagabria, mentre con l’ensemble dell’Opera di Belgrado realizzò spettacoli memorabili a Parigi, Vienna, Firenze, Wiesbaden, Roma, Berlino, Venezia… Come direttore ospite, si esibì nei principali teatri d’opera e sale da concerto d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, nell’Unione Sovietica e in Giappone. Si tratta di un numero impressionante di spettacoli, oltre duemila. Le registrazioni di esecuzioni delle opere di grandi compositori, dirette da Danon a Londra e Praga, ancora oggi sono presenti nei cataloghi delle principali etichette discografiche di musica classica. Va inoltre ricordato che nel primo dopoguerra, caratterizzato da una spiccata ideologizzazione dell’arte, Danon fu tra i difensori della libera espressione artistica, quindi un oppositore di Đilas e Zogović.
All’inizio di aprile 1992 Danon si recò a Sarajevo; fu invitato alla presentazione di una monografia dedicata a Collegium Artisticum… Era tra i partecipanti alla grande manifestazione contro la guerra quando i cecchini serbi spararono sulla folla. Si trattenne nella città, ormai sotto assedio, un paio di giorni. Assistette alla morte di una donna, e ne rimase sconvolto. Doveva tornare a Belgrado, Vjera era gravemente malata. Morì poco tempo dopo, profondamente afflitta per quello che stava accadendo nel paese in cui credevano entrambi. Dopo la morte della moglie Oskar lasciò Belgrado, tornandoci solo per l’inverno, mentre il resto dell’anno lo passava nella sua nuova dimora, a Baška sull’isola di Krk (Veglia), dove con Vjera amava trascorrere l’estate. Difficilmente sopportava i cosiddetti “cambiamenti”. Eppure non mancava di ironia quando raccontava come, all’inizio degli anni Novanta quando, passeggiando per via Knez Mihajlova, qualcuno gli chiedeva cosa avesse fatto dal 1941 al 1945, rispondeva: “Io, perdonate l’espressione, ero un partigiano”.
Morì nel dicembre 2009 a Belgrado, città che preferiva ricordare per la sua bontà e tolleranza. “Era un uomo tollerante. Probabilmente il più tollerante che io abbia mai conosciuto. Mostrava comprensione per tutti, e quando parlava del male, lo faceva cercando di non attribuire ad esso alcuna caratteristica nazionale o religiosa”, scrisse di lui Miljenko Jergović.
In una delle sue ultime interviste Danon dichiarò: ”Non so più né chi sono né cosa sono. Probabilmente anch’io soffro della cosiddetta jugonostalgia. Ho vissuto e lavorato in tutta la Jugoslavia. Quella era la mia patria. Oggi non c’è più!” In un’altra occasione, poco prima di morire, affermò che i paesi sorti dalle ceneri della società jugoslava erano privi di qualsiasi visione.
Fermiamoci qui, con la nota che Oskar lasciò dietro di sé anche un libro di ricordi, trascritti da Svjetlana Hribar, intitolato “Ritmovi nemira” [Ritmi dell’irrequietezza, 2005]. In un’epoca, quale quella attuale, in cui la parola delle persone creative, intelligenti e umane, schiacciata dall’egemonia della sottocultura, ci raggiunge perlopiù dai margini, sembra che le 600 pagine di riflessioni di questo grande artista riescano, malgrado tutto, a emanare una luce del tutto insolita.
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