(flickr/Enrico Manfredo)

"La polvere degli angeli" è un romanzo incentrato su un caso di pedofilia avvenuto in Slavonia cent'anni fa. Un'intervista all'autrice

15/12/2014 -  Diego Zandel

La pedofilìa è un fenomeno che in particolare negli ultimi anni è venuto alla luce a causa del gran numero di preti che se ne sono macchiati. Annalisa Fantini, giornalista e scrittrice di origine romagnola, ma che oggi vive e lavora in Puglia, ha scritto su questo tema un romanzo ambientato in un paese della Slavonia agli inizi del 1914, cioè cent’anni fa.

Il romanzo s’intitola “La polvere degli angeli” ed è edito dalla casa editrice Besa (pag. 199, €. 14,00), una tra le più attente al mondo dei Balcani, dei quali propone autori e storie che meritano particolare attenzione per la qualità delle proposte. Il libro di Annalisa Fantini né è un esempio. Anche qui c’è un prete pedofilo, il parroco padre Puhac, e dei bambini che giocano a sfidare le loro paure addentrandosi nel cimitero col calar della sera. Ma il pericolo non saranno le anime dei morti, ma un uomo in carne e ossa la cui chiesa sorge a lato del cimitero. Ci saranno, infatti, delle vittime, a cominciare dal piccolo Pasha, il cui corpicino verrà trovato vergognosamente violato, mentre i suoi amici, la cui innocenza verrà combattuta dal parroco allo scopo di difendersi, si troveranno a collaborare con un poliziotto arrivato appositamente da Zagabria: il disincantato Bjedov che ha alcuni conti da regolare anche con Dio per avergli portato via con la malattia l’amato figlioletto.

All’autrice abbiamo voluto fare qualche domanda, in ragione anche del fatto di non avere, per origine e quotidianità, alcun legame con il mondo balcanico.

Ecco, Annalisa Fantini, innanzitutto da cosa nasce questo suo interesse, almeno per questo romanzo?

L’interesse è nato molti anni fa, quando le immagini della guerra dei Balcani e l’assedio di Sarajevo sono entrate con prepotenza e dolore nelle nostre case. Come giornalista non potevo non esserne fortemente colpita e interessata. Inoltre, nella mia famiglia, vi sono alcune persone croate e bosniache, donne che hanno aggiunto i loro racconti di vita e hanno arricchito le nostre conoscenze con quelle delle loro tradizioni e delle loro aspettative personali ed etniche.

Ma una storia come la sua, di violenza sessuale sui minori poteva essere ambientata anche in Romagna o in Puglia. Quale valore aggiunto le ha avrebbe dato l’ambientazione balcanica o, comunque, slava? E tra le diverse regioni balcaniche, perché ha scelto di ambientare la sua storia proprio in Slavonia?

Il fatto di essere romagnola, o umbra di prima e pugliese di seconda adozione, non mi relega al racconto di fatti strettamente legati al territorio di origine. Sono cresciuta imparando a sentirmi cittadina del mondo e, anche nei lavori precedenti, ho narrato frammenti di vita di donne di diversa provenienza geografica, storie che non avevo raccontato in articoli e servizi giornalistici. Ne “L’Istinto del Pane” ho fatto conoscere la storia vera di un soldato del Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) che diventa un uomo di pace, un nonviolento. Il romanzo è l’unica opera di narrativa italiana che tratti delle soldate camioniste polacche al seguito dell’VIII Armata Britannica nella II Guerra Mondiale. Il mondo slavo m’interessa e, per rispondere del tutto alla sua domanda, aggiungo che la storia di Jelena, Pasha, Fitja, Bjedov e degli altri, mi è stata sollecitata dal racconto di una mia amica che abita in un villaggio della Slavonia croata. Il resto è venuto da sé.

Nel suo romanzo non mancano accenni ai difficili rapporti tra croati e serbi, ma hanno una funzione più di dettaglio che di significato politico. Lei personalmente, comunque, come inquadra la situazione al momento?

“La Polvere degli Angeli” è una lunga favola per adulti che, a sua volta, contiene una breve favola per bambini mutuata su quelle che ho conosciuto della tradizione slava. Il linguaggio, lo stile, la costruzione ruotano tutti intorno a una doppia interpretazione, magico-religiosa o patologico-realista. Sono le lettrici e i lettori, al termine del racconto, a decidere quale sia per loro l’interpretazione dei fatti.

L’accenno ai dissidi fra serbi e croati, all’attentato di Sarajevo che arriverà pochi giorni più tardi, la stanchezza dell’Impero austro-ungarico, sono argomenti di sfondo, di grandissimo rilievo storico e, nel romanzo, accenni a una situazione di dissidio non solo fra le grandi potenze, ma anche all’interno della vita comune, per tradizione e per le idee che circolavano in quel primo ‘900, molte delle quali lo hanno trasformato nel secolo più sanguinario.

Ho amici serbi che mi raccontano la crisi da Kragujevac, da Novisad e il disamore per l’Europa, amiche slavone che tengono viva la tradizione della vita nei villaggi insieme con Internet, giovanissimi conoscenti bosniaci che ci ricordano come quella sia la popolazione che paga sempre di più. L’area della ex Jugoslavia desta ancora grande interesse; nel mio caso è stato più che altro letterario. Mi dispiace che non si conosca di più dei nostri vicini di casa.

Quanto il personaggio malefico di padre Puhac, nelle sue intenzioni, ha voluto rappresentare una figura isolata di prete e quanto invece di negativo, per la sua febbre nazionalistica e al limite fascista, ha rappresentato la chiesa croata nel corso della “domovinski rat”, cioè la guerra patriottica guidata da Franjo Tuđman?

Padre Puhac, secondo la narrazione del romanzo, è l’incarnazione del Male, anzi è proprio ciò che può trovarsi “Al di là del Male e del Bene”, secondo accezioni che in quei decenni erano piuttosto seguite anche in politica. E’ un personaggio interessante, perché, se sembra non avere chiaroscuri, a una lettura di poco più attenta, mostra già le cause in una tormentatissima infanzia. Di certo ho sentito anche gli echi delle tante colpe dei preti pedofili cattolici e le responsabilità del Cattolicesimo nella vita del Paese, fino al campo di Jasenovac, a Stepinac, ai francescani torturatori insieme con gli ultranazionalisti croati della successiva II Guerra Mondiale. I riferimenti del romanzo, però, sono lontani nel tempo, narrano di quella porzione di mondo di cento anni fa. Tuttavia la distanza temporale e l’intenzione dell’opera letteraria pongono “La Polvere degli Angeli” non del tutto al di fuori dalla politica recente che, come sottolinea, ha riproposto anche idee di patriottismo fascista.

Un’ultima curiosità. Perché, in un libro scritto in italiano – ma anche se fosse stato tradotto sarebbe stato lo stesso - ha chiamato Zagabria col suo toponimo croato, cioè Zagreb? Sono quasi certo che se la storia fosse stata ambientata a Parigi o a Londra, avrebbe scritto il nome delle città come le chiamiamo noi e non secondo il toponimo locale, cioè Paris o London.

Le ho detto, poco fa, che il nucleo della storia mi è stato raccontato da Snježana, l’amica che è anche autrice della foto di copertina. Nelle nostre conversazioni, ha sempre chiamato la capitale Zagreb, nome originario che ho voluto mantenere, così come ho mantenuto il modo colloquiale con cui chiamava “sekice” la sua sorellina. Anche nella scelta dei nomi sono stata attenta a distinguere quelli di origine serba da quelli pannoni o croati. Nei miei romanzi, lascio sempre qualcosa nella lingua dei Paesi in cui si svolge l’azione; mi sembra un piccolissimo tributo a un mondo che non è il mio, ma che potrebbe esserlo e in realtà lo è. Quando si scrive, si diventa ogni personaggio, si vive in ciascun luogo, anche il più terribile.


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