Ha recentemente vinto la sezione documentari del Festival di Sarajevo. Goli è la storia di una famiglia e la storia di uno dei crimini peggiori della Jugoslavia titina. Un'intervista alla regista Tiha Gudac
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 26 agosto 2014)
Goli, il tuo documentario più recente, parla di una storia molto personale, quella di tuo nonno Marijan, e dell'impatto della sua detenzione a Goli Otok sulla tua famiglia. Come e perché è nata l'idea di realizzare questo lavoro?
E' un film nato quasi per caso, sei anni fa, quando alcuni ex detenuti hanno scritto al settimanale Globus per protestare pubblicamente contro le dichiarazioni di un ex membro del Partito comunista croato che minimizzava le torture subite dai detenuti a Goli Otok. Per mia grande sorpresa tra questi ex detenuti vi erano anche due amici di famiglia di vecchia data, che noi chiamavamo “zia” Vera e “zio” Pal... Ho iniziato ad interrogarmi sulla storia della mia famiglia e sui legami molto stretti tra i miei nonni e Vera e Pal. Da piccola andavo in spiaggia con mio nonno e ricordo il suo corpo pieno di cicatrici. Ma era vietato chiedere il perché. Nella mia famiglia si utilizzava costantemente l'espressione “Quando il nonno era via...”. Ma dove? Ho quindi iniziato a fare delle ricerche.
E' stato difficile?
Si e no. Le mie ricerche sono state molto... spontanee. Innanzitutto sono andata a trovare lo zio Pal. Mi sono portata la telecamera, senza sapere poi cosa me ne sarei fatto ed ho iniziato a riprendere. Pal era stato detenuto a Goli Otok assieme a mio nonno. La loro amicizia è nata sull'isola anche se si incontravano raramente. Scoprire il suo passato e il passato di mio nonno è stato appassionante. Ma non ero che all'inizio di un lungo viaggio. Ho impiegato poi sei anni – e molti sforzi - a finire il mio lavoro e scoprire i segreti della mia famiglia.
Metti in rilievo il silenzio che circonda gli ex prigionieri di Goli Otok. Ma non si parla dell'esistenza di questo ex-gulag nel dibattito pubblico croato?
Goli Otok è stata una questione tabù durante tutto il periodo comunista. Il dibattito su questo campo è iniziato negli anni '80 quando alcuni quotidiani come ad esempio Borba hanno iniziato a parlarne. Attualmente direi si tratti di una questione retorica nell'immaginario collettivo croato. Goli Otok è stata un carcere per detenuti politici dal 1949 al 1956. Poi è stata utilizzata per criminali comuni, sino alla fine degli anni '80. Questo ha fatto sì che la gente credesse che, dopotutto, le condizioni non fossero così estreme e inoltre che, se qualcuno era rinchiuso a Goli, in fondo se lo meritava. Vi sono frasi che i miei compatrioti pronunciano spesso: “Occorrerebbe riaprire Goli”, “Quella gente là [i politici] dovrebbero essere rinchiusi a Goli”. E' orribile, perché tutto ciò banalizza le violazioni di diritti fondamentali che vi sono state per anni.
Immagino tu sia contraria al progetto del governo croato di privatizzare l'isola. Cosa si dovrebbe fare di Goli Otok oggi?
Lo statuto di Goli Otok è fluido. L'isola è abbandonata a se stessa. Per il governo, non è mai esistita. Lo scopo è di renderla invisibile. E la decisione di inserirla tra le 100 proprietà che lo stato ha messo in vendita è disgustosa. Non capisco proprio che tipo di turismo vi si possa sviluppare.
Secondo alcuni la questione rischia d'essere politicizzata e di divenire ostaggio di un dibattito sterile tra destra e sinistra sul passato della Croazia. D'altro canto è stata proprio la sinistra a decidere di vendere ai privati uno dei simboli delle persecuzioni politiche del comunismo...
Il rischio di politicizzazione esiste. Ma il problema non è la divisione tra destra e sinistra. Al contrario. Per me Goli Otok è il miglior esempio della fluidità del sistema e dell'attuazione della transizione in Croazia. A nessuno conviene ricordare Goli Otok, né a destra e neppure a sinistra. Tutti quelli che si ritrovano oggi al potere in un modo o nell'altro facevano parte del Partito comunista. Ora raccolgono i benefici di posizioni che occupavano durante il regime. E' la loro ricompensa per aver fatto un buon lavoro. Penso siano anche loro responsabili di quanto avvenuto. Goli Otok è la dimostrazione del fatto che il sistema jugoslavo si fondava sulla paura.
E cosa pensi della Jugoslavia? Molti si dichiarano jugonostalgici, come se quell'epoca fosse stata un paradiso...
Certo, la Jugoslavia aveva degli aspetti positivi. Durante il socialismo si viveva bene e insisto su questo punto nel mio documentario. Ciascuno di noi ha le sue ragioni per avere nostalgia di un periodo passato... Per me la Jugoslavia ha però fallito. Non è riuscita a portarci nel “resto del mondo”, in Europa. Abbiamo creato il movimento dei non allineati. Ma si è ben visto, dopo la morte di Tito, quale fosse il valore effettivo di quel sistema diplomatico. E' affondato immediatamente e ci siamo ritrovati isolati.
Ai giorni nostri l'eredità più evidente della Jugoslavia risiede nel modo in cui i cittadini della Croazia percepiscono lo stato e la loro comunità. La maggior parte delle persone hanno paura: temono di perdere il loro lavoro, di non avere abbastanza soldi, di rimanere isolati... Questo clima favorisce la piccola corruzione, il compromesso a tutti i costi. Non aiuta certo lo sviluppo di un dibattito politico sano. Si è visto quando si è discusso di matrimonio tra omosessuali e dell'uso del cirillico a Vukovar. Non si riesce mai a discuterne in modo civile. Si deve sempre sostenere che la ragione è dalla propria parte e non da quella del "nemico".... Per me è ciò che abbiamo ereditato da Goli Otok, dal sistema che Goli Otok rappresenta.
Vi è anche un'altra eredità di Goli Otok e riguarda la vita privata degli ex detenuti...
E' una cosa che ho scoperto parlando con le persone durante le mie ricerche: una disgrazia che molte famiglie hanno dovuto sopportare. Chi era passato per Goli Otok doveva tacere su quanto aveva subito. E questo ha creato inevitabilmente un'atmosfera terribile nelle relazioni umane.
Tutte le famiglie che hanno avuto qualcuno rinchiuso a Goli Otok sono crollate. I figli, come mia madre, sono cresciuti con numerosi complessi, hanno quasi sempre divorziato. Questa situazione l'ho ritrovata in tutte le famiglie vittime della repressione che ho incontrato. 16.000 persone sono passate per il gulag. Ma la tragedia continua tre generazioni dopo. All'inizio volevo conoscere i fatti, rispondere a questioni rimaste un tabù per tutta la mia vita. Poi ho finito per interrogarmi sia sulla storia che sulle tragedie della mia famiglia: le due dimensioni sono complementari.
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