Educazione siberiana, dalla locandina del film

Educazione siberiana, dalla locandina del film

Educazione siberiana, noto libro di Nicolai Lilin ambientato in Transnistria, ora è un film di Gabriele Salvatores con John Malkovich, nelle sale dal 28 febbraio. “Un film fiabesco su com’è finito un mondo con il mito del modello occidentale”, racconta Lilin in quest'intervista a OBC

11/02/2013 -  Bernardo Venturi

Nicolai Lilin è nato in Transnistria nel 1980 e vive in Italia. Presso Einaudi ha pubblicato i romanzi “Educazione siberiana” (2009), “Caduta libera” (2010) e “Il respiro del buio” (2011) e “Storie sulla pelle” (2012) scritti in italiano e tradotti in diciassette paesi.

Nicolai Lilin riceve nel suo studio-spazio “Kolima” a Milano, ormai agli ultimi giorni di attività, all’interno dell’area artistico-culturale “I frigoriferi”. Fanno da cornice le sue opere, icone reinterpretate e disegni di tatuaggi. Alla libreria sono appese varie foto, spicca quella di Gorbaciov con la moglie “Lui è stato il migliore, ma molti russi non l’hanno capito”. Al fianco destro di Lilin spunta da sotto il maglione una pistola ben salda nel fodero. Ma lui mi parla piuttosto di un'altra arma: “Il coltello che vedrete nel film è speciale, è stato fatto a mano in Barbagia, in Sardegna”.

Nicolai, hai lasciato la Transnistria da molti anni: che rapporti hai con questa regione oggi?

In Transnistria ho ancora una piccola parte della famiglia, sono rimasti solo due anziani. La parte attiva della mia famiglia è migrata in diverse parti del mondo. Io, mia madre e mio fratello siamo qua, mio padre ha avuto tre attentati in Transnistria ed è scappato in Grecia; un’altra parte della famiglia è vicino a Mosca. Con il regime della Transnistria non ho mai avuto buone relazioni. Ho fatto una serie di attività di monitoraggio su traffici e corruzione della polizia e non mi vogliono più.

Non ci sei più tornato? Come valuti i recenti cambiamenti di governo?

Ci sono tornato l’ultima volta nel 2009 per accompagnare un mio amico che doveva lavorare a un documentario. Il regime è corrotto e autoritario, non potrà mai cambiare davvero ed essere democratico finché ci sarà la presenza della XIV Armata, l’esercito di occupazione russo.

Che rapporto hai con il mondo e la cultura russa? Perché i tuoi romanzi non sono stati tradotti in russo?

In Russia sono molto critici verso chi ha lasciato quel paese e poi ne parla e ne scrive. Ho ricevuto due proposte di stampa dalla Russia, la prima anche da una grossa casa editrice. Ho declinato entrambe le proposte perché non avevano colto il senso del mio libro, lo consideravano un libro sul mondo criminale. La prima casa editrice voleva delle presentazioni in carcere per criminali. La seconda voleva la prefazione di un criminale russo oggi latitante e molto conosciuto in Russia. Una persona da cui non accetterei mai una prefazione. Se ricevessi una proposta interessante accetterei di tradurlo in russo, è anche un grande mercato.

Che senso ha avuto per te la guerra in Cecenia, a cui hai dedicato due dei tuoi libri?

Sono arrivato in Cecenia nel 1998, un anno prima dell’inizio della seconda guerra cecena. In quel periodo il nostro rapporto con la popolazione cecena era molto buono. Ci vedevano come un limite al terrorismo e alla presenza dell’estremismo jihadista. Poi con la guerra è tutto cambiato. I russi hanno usato metodi assurdi, come rastrellamenti e bombardamenti. Chiunque in quel periodo aveva un’arma in casa e questo non voleva dire che fosse un terrorista. Bombardare le montagne poi è strategicamente inutile. Chi, bombardando e per uccidere un terrorista, uccide 120 civili è lui stesso un terrorista. Se fossi stato ceceno in quegli anni sarei salito anch’io in montagna per combattere.

Un tuo articolo su l’Espresso racconta di una chiamata notturna in cui un ex commilitone ti proponeva di unirti a lui come mercenario nella guerra in Libia. Non senti più davvero alcuna attrazione per una scelta come quella?

È una parte di me, non la posso togliere. Però la vita è fatta di fasi. Per me è cambiato molto quando è nata mia figlia. Lì ho sentito aprirsi una fase nuova. Come la guerra attrae, così anche la vita in pace. Oggi mi impegno su alcune cose, come la lotta alla pedofilia... ci sono dei traffici internazionali, anche dalla Russia, molto preoccupanti. Però è molto diverso dalla guerra. Oggi non combatterei mai una guerra offensiva. Se vivessi durante la seconda guerra mondiale, non sosterrei l’espansionismo fascista, andrei sulle montagne a combattere con i partigiani.

Il 28 febbraio uscirà il film tratto da “Educazione Siberiana”. Hai fortemente voluto che fosse diretto da Gabriele Salvatores.

Il trailer 

Ho rifiutato varie proposte, alcune da Hollywood, per esempio da Scorsese, prima di accettare di lavorare con Cattleya . Ho deciso di lavorare con loro perché mi volevano coinvolgere nella realizzazione del film, ritenevano la mia presenza sul set indispensabile. Ho chiesto di lavorare con Salvatores perché lo ritengo il migliore. Gabriele ha accettato, gli è piaciuto moltissimo il libro.

L'hai già visto? Sei soddisfatto del risultato, è vicino a quello che volevi comunicare con il libro?

Sì, l’ho visto. Il libro e il film sono due cose completamente diverse. È impossibile rendere in un film tutto quello che c’è in un libro. Però Salvatores riesce a rendere parti del libro in una fotografia. Non so come faccia, è bravissimo.

Che chiave di lettura daresti a chi andrà a vedere il film?

Questo film è fiabesco. Racconta principalmente un enorme cambiamento sociale, com’è finito un mondo con il mito del modello occidentale. Come il consumismo, nelle piccole cose, ha cambiato tutto, ha eliminato i valori. il consumismo post-sovietico era una cosa impressionante. Ha cambiato anche la criminalità, togliendoci l’etica, rendendola più feroce e spietata. I modelli occidentali si sono mostrati come inganni e questo ha portato disillusione e violenza.


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