Sarajevo - Zurijeta/Shutterstock

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E' avvenuto in tutti i Balcani e sta avvenendo anche a Sarajevo: il consolidamento delle nuove memorie nazionali attraverso la sovrascrittura di nomi e riferimenti al passato socialista e jugoslavo

14/02/2019 -  Davide Denti

(Pubblicato originariamente da East Journal nel dicembre 2018)

C’è un trend imperante nei Balcani di questo inizio ventunesimo secolo, ed è quello della riscrittura della memoria. In tutti i paesi post-jugoslavi, il consolidamento di una nuova memoria nazionale va di pari passo con la rimozione di nomi e riferimenti al passato socialista e jugoslavo.

Come hanno recentemente sottolineato Giorgio Comai e Marco Abram (Titografie, Osservatorio Balcani e Caucaso), grazie alle mappe digitali è oggi possibile osservare la persistenza delle vie e piazze dedicate al maresciallo Tito, che si concentrano in Vojvodina, Istria e Macedonia, mentre ben poche ne restano nelle altre regioni post-jugoslave. Ultima a sparire è stata piazza Tito a Zagabria, rinominata più patriotticamente dal sindaco Milan Bandić in Trg Republike Hrvatske, piazza della Repubblica Croata.

Ma oltre alla toponomastica, la dinamica di sovrascrittura della memoria nello spazio pubblico non risparmia nemmeno i monumenti. Il caso di Sarajevo è particolarmente indicativo. Mentre in Serbia, Croazia o Kosovo la rimozione del ricordo del socialismo è stata una politica esplicita delle nuove élite al potere, sostenute dagli elettori, in Bosnia Erzegovina, e particolarmente nelle aree a maggioranza bosgnacca, la forte jugonostalgia della popolazione e la visione positiva del tempo di Tito come età dell’oro ha tenuto a bada le tendenze ideologiche del partito nazional-conservatore SDA, erede dei dissidenti musulmani anti-titoisti, a rimuovere i riferimenti al passato jugoslavo. Sarajevo resta l’unica capitale dei Balcani a mantenere la dedica a Tito del suo viale principale, ulica Titova; la proposta di ridedicarlo al primo presidente della Bosnia Erzegovina indipendente, Alija Izetbegovic, approvata già nel 2005 , non ha mai avuto seguito, nonostante i periodici ritorni  sul tema da parte dei candidati più nazional-conservatori.

Allo stesso tempo, anche a Sarajevo qualcosa si muove. Il luogo principale in cui si può osservare tale tendenza è lo spazio aperto di fronte a Skenderija, nel Comune di Sarajevo-Centro (Općina Centar Sarajevo). Un luogo marcato da due ponti (di cui uno pedonale), corsi d’acqua (là dove il torrente Koševo si getta nel fiume Miljacka) spazi verdi, ed edifici pubblici – in particolare il palazzo del Cantone Sarajevo, ancora annerito dal fumo dell’incendio scatenato dalle proteste del 2014, ma anche il Palazzo dei Sindacati e la Corte Suprema della Federazione, e non lontana la Presidenza statale.

Qui, sul lato ovest, in uno spazio verde triangolare inscritto tra l’ex centrale elettrica, il fiume, e la via Hiseta, sin dal dopoguerra si trova un busto dell'”eroe nazionale” Vladimir Perić “Valter “, il protettore di Sarajevo dall’assedio dei nazisti, divenuto di fama mondiale grazie ai film in stile western-partigiano degli anni ’70. Eppure, dal 2016, nello stesso spazio verde è stata inserita anche una stele in marmo grigio con lo scudo gigliato, in ricordo del 2 maggio 1992 e della “battaglia cruciale per la difesa della Presidenza della Repubblica di Bosnia Erzegovina – rahmet i slava [pietà e gloria] agli eroi della vittoria contro gli aggressori del nostro Stato”.

Mentre il busto di Valter e la sua definizione di “eroe nazionale” si inscrivono nella memorialistica socialista volta al consolidamento dello stato jugoslavo, esternalizzando il nemico nazi-fascista, la stele alla battaglia della Presidenza – con la sua chiara individuazione di eroi (l’esercito bosniaco) e nemici (l’esercito jugoslavo e le milizie serbe) – ha un effetto divisivo, e partecipa alla dinamica di sovrascrittura della memoria pubblica a Sarajevo. La giustapposizione tra i due memoriali indica come, nel contesto bosgnacco, la memoria della guerra d’indipendenza non può semplicemente prendere il posto del passato socialista, ma cerca comunque di sostituirvisi, depotenziando e risemantizzando, ossia inscrivendo di nuovi significati, quelli che erano i luoghi di memoria precedenti.

La stessa dinamica si può osservare attraversando l’incrocio: qui, nello spazio ricavato tra il Palazzo del Cantone, la Casa dei Sindacati e il torrente Koševo, si trova il parco-memoriale dedicato ad un altro eroe socialista, il segretario del partito comunista jugoslavo d’interguerra Đuro Đaković , ucciso nel 1929, cui fino agli anni ’90 era dedicata anche la vicina via Alipašina e il Bosanski Kulturni Centar. Il memoriale, inaugurato nel 1973, è un parco con vialetti, fontane e sedute in blocchi di marmo bianco, progettato dallo scultore Ljubomir Denković di Novi Sad, in uno stile definito da Miloš Arsić di “vitalismo naturalistico “. Al centro del parco si erge un obelisco-statua con la figura stilizzata di Đaković. Il parco, a lungo beneamato dai sarajevesi, era rimasto danneggiato dalla guerra e dall’incuria del tempo. Il comune di Sarajevo-Centro ha provveduto alla sua ristrutturazione, nel 2017, secondo il progetto originale e con un impianto di restauro conservativo. Allo stesso tempo, la piazza è stata ridedicata – non più al comunista Đaković, bensì al Primo Corpo dell’Esercito della Repubblica di Bosnia Erzegovina, responsabile della difesa di Sarajevo durante l’assedio del 1992-1996.

Anche nel caso del parco-memoriale di Đuro Đaković, la sovrascrittura della memoria del passato socialista non richiede la rimozione completa di quest’ultima, ma punta piuttosto alla sua risemantizzazione attraverso la giustapposizione con una memoria più fresca e politicamente carica, quella del conflitto degli anni ’90. In tale modo, la memoria nazionale del popolo bosgnacco si inscrive sempre più nei luoghi centrali della capitale dello stato bosniaco-erzegovese.


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