Gyumri, Armenia (Tommy and Georgie/flickr)

Continuano in Armenia le reazioni alla strage perpetrata da un soldato russo, nel silenzio delle autorità ufficiali, preoccupate di incrinare il rapporto con Mosca. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

29/01/2015 -  Maxence Smaniotto Yerevan

Si respira un'aria di tensione in Armenia in seguito alla brutale strage di una famiglia armena per mano di un soldato russo di stanza nella 102sima base russa di Gyumri. La sera del 12 gennaio, Valery Permyakov - questo il nome del soldato - ha fatto irruzione nell'abitazione della famiglia Avetisian uccidendo a colpi di pistola tutti i presenti, in tutto sette persone. Un crimine reso ancora più odioso agli occhi dell'opinione pubblica armena in quanto sono stati freddati a colpi di pugnale anche una bambina di due anni, mentre il neonato, di sei mesi, è deceduto nella notte del 20 gennaio all'ospedale di Gyumri in seguito alle ferite riportate. Il soldato ha confessato il crimine dopo che le Guardie di Frontiera russe lo hanno preso mentre tentava di fuggire oltre il confine turco.

Il movente del delitto resta incerto, ma fonti ufficiali russe descrivono Permyakov, un coscritto di 18 anni che ha servito alla base di Gyumri per solamente due mesi, come mentalmente instabile, il che, se confermato, solleverebbe ancora seri dubbi sui criteri di selezione e controllo dell'esercito russo, noto per il suo nonnismo endemico e indicato con un termine preciso, dedovščina.

La reazione della popolazione locale non si è fatta attendere. Nei giorni successivi al massacro, migliaia di manifestanti hanno sfilato per le strade della città e protestato di fronte alla base russa e al consolato, che per l'occasione è stato protetto dalla polizia armena in tenuta antisommossa. I manifestanti reclamano maggiore sicurezza e il diritto di processare il colpevole in un tribunale armeno, diritto per ora negato da Mosca, che promette un processo esemplare ma in territorio russo. Infatti la Costituzione russa nega l'estradizione di un suo cittadino verso paesi stranieri, una legge, questa, contestata dagli attivisti armeni che accusano Mosca di violare gli accordi bilaterali del 1997 secondo cui, se un militare russo commette un crimine fuori dalla base russa di Gyumri, il fatto cadrà sotto alla giurisdizione armena, e non russa.

Il massacro della famiglia Avetisian è solo l'ultimo di una serie di incidenti, omicidi e vessazioni che gli abitanti di Gyumri subiscono da anni. Nel 2013 due ragazzini sono morti in seguito all'esplosione di una mina dimenticata in prossimità della base militare. Il campo non era recintato, tuttavia nessuno è stato punito per questa fatale mancanza, ignorando totalmente le proteste dei locali. Nel 1999 due soldati ubriachi si sono recati nel mercato locale e hanno aperto il fuoco uccidendo 2 persone e ferendone 14 altre. I colpevoli sono stati giudicati da un tribunale armeno e condannati all'ergastolo, tuttavia Mosca ha preteso e ottenuto che fossero giudicati dalla corte marziale russa. Frequenti sono anche i casi in cui i soldati, spesso ubriachi, attaccano briga coi locali e aprono il fuoco in ristoranti e locali notturni per il solo gusto di intimorire i presenti con una dimostrazione di forza.

Le manifestazioni, l'esasperazione e la presenza di migliaia di persone presenti ai funerali della famiglia massacrata rischiano di rimettere in questione la stessa presenza della base militare russa e, più in generale, l'influenza russa nel piccolo paese del Caucaso meridionale. Una situazione delicata e dalle numerosissime conseguenze geopolitiche e economiche se si tiene in conto l'enorme dipendenza armena nei confronti della Russia.

L'Armenia: un paese isolato

Il contesto geopolitico e economico dell'Armenia è estremamente complicato e fragile. Due delle sue quattro frontiere, quelle con la Turchia e con l'Azerbaijan, sono chiuse e militarizzate per via della guerra del Nagorno Karabakh, conflitto “congelato” che provoca ogni anno decine di vittime tra civili e militari e che ha visto susseguirsi nel 2014 varie escalation militari, soprattutto durante il mese di luglio, quando le schermaglie sono sfociate in veri e propri combattimenti, e novembre, quando un elicottero miliare dell'Esercito di Difesa del Nagorno Karabakh è stato abbattuto durante un'esercitazione sulla linea di contatto da un razzo azero, nei cieli sopra la città di Agdam. Restano la frontiera al sud con l'Iran, inviso al paesi del blocco occidentale e indebolito da anni di sanzioni, ma vitale per via dell'oleodotto che rifornisce l'Armenia, e la frontiera con la Georgia al nord, nemica giurata della Russia e alleata strategica di UE e NATO, e il cui porto di Batumi è di vitale importanza per l'economia dell'Armenia, dato che quest'ultima non possiede sbocchi sul mare.

L'Armenia è strettamente legata alla Russia e alla sua politica estera. È uno dei pochi paesi al mondo ad aver riconosciuto l'annessione russa della Crimea, dal 1991 fa parte della Comunità degli Stati Indipendenti e dal 1992 dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. Inoltre, il 3 settembre del 2013, durante il summit di Vilnus, l'Armenia, con un cambio di rotta che lasciò di stucco i responsabili dell'Unione Europea con cui aveva lungamente discusso degli accordi di associazione, decise di associarsi al progetto dell'Unione Economica Eurasiatica (UEE) voluta da Putin, Unione a cui l'Armenia è entrata a far parte ufficialmente il 2 gennaio del 2015 assieme a Russia, Bielorussia e Kazakistan.

Dato il reciproco bisogno di supporto da parte della Russia che, tramite la base di Gyumri, si assicura una forte influenza nel sud di quel Caucaso eccessivamente vicino all'Occidente, e dell'Armenia, per la quale le entrate che gli immigrati armeni residenti in Russia versano alle famiglie rimaste nel paese costituiscono un importante polmone per ossigenare la fragile economia del paese, questo fatto di cronaca non poteva accadere in un momento peggiore.

Il noto analista armeno Richard Giragosian, fondatore del Regional Studies Center, un think-tank che da anni si occupa di analizzare la geopolitica del Caucaso e dell'Europa dell'Est, accusa Mosca di strumentalizzare il conflitto con l'Azerbaijan e le difficili relazioni diplomatiche con la Turchia per giustificare la presenza militare russa e l'ingerenza politica negli affari interni dell'Armenia. Parole-chiave come “partenariato”, “sicurezza”, “supporto”, “protezione” e “alleanze” (estremamente ridondanti nei discorsi ufficiali del governo armeno quando si tratta di parlare delle relazioni russo-armene) sarebbero, secondo Giragosian, poco più che fumo negli occhi. Le proteste e l'esasperazione della popolazione armena in seguito alla tragedia del 12 gennaio ne sarebbero un'ulteriore prova, che potrebbe rischiare di rimettere in questione i molteplici accordi con il governo russo.

Le reazioni

Oltre alle manifestazioni e all'indignazione degli armeni, è da segnalare il rumoroso silenzio del presidente Serzh Sargsyan. Negli stessi giorni in cui i manifestanti sfilavano per le strade di Gyurmi e Yerevan reclamando giustizia, il presidente armeno visitava asili e rilasciava dichiarazioni ufficiali sui rapporti turco-armeni in vista del centenario del Genocidio armeno del 1915, evitando ogni dichiarazione ufficiale sull'accaduto e incassando, il 18 di gennaio, durante una telefonata, la promessa da parte del presidente Putin che il colpevole sarà adeguatamente giudicato da un tribunale russo.

Mikael Ajapahyan, capo della locale diocesi, è una delle poche figure ufficiali ad essersi pronunciata sui fatti, condannando il massacro e invitando alla calma i manifestanti. Una calma che per ora pare tardare.


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