Reclute a Stepanakert (Foto Simone Zoppellaro)

Con l’attuale nuova escalation militare in Nagorno Karabakh la definizione di “conflitto congelato”, utilizzata per molti anni dagli analisti per il conflitto fra Azerbaijan e Armenia, sembra sempre più difficile da giustificare

04/04/2016 -  Simone Zoppellaro

Terzo giorno di scontri in Nagorno Karabakh lungo la frontiera fra la repubblica de facto occupata dagli armeni e l’Azerbaijan. Cupi e odiosi, i tamburi della guerra tornano a suonare nel Caucaso. Mai prima d’ora, negli ultimi vent’anni – dopo la fine della guerra per il Nagorno-Karabakh nel 1994 – ci sono stati tanti morti e feriti in questo conflitto, che per anni ci si è ostinati a definire “congelato”. Cadono nel vuoto, uno dopo l’altro, gli appelli della comunità internazionale che invitano le due parti al rispetto del cessate il fuoco. La tregua unilaterale dichiarata ieri dall’Azerbaijan non è mai entrata in vigore. Fra i morti anche diversi civili, fra cui anche un bambino.

Insieme alle foto delle vittime mutilate e ai filmati degli scontri, diffuse dai media locali, l’odio, la propaganda e la retorica nazionalista conoscono un preoccupante aumento da entrambe le parti. Una guerra che è anche guerra di cifre, per quanto riguarda le perdite di mezzi e i caduti, e un conflitto mediatico senza esclusione di colpi, in cui la prima vittima – inevitabilmente – è la verità dei fatti. Come se non bastasse, agli scontri sul campo si sono accompagnati diversi attacchi informatici di hacker locali contro siti governativi e media locali. L’assenza quasi totale di osservatori neutrali sul campo – un vecchio problema di questo conflitto a lungo dimenticato – si fa sentire ora più che mai in modo drammatico.

Nagorno Karabakh - mappa OBC - In verde è indicato il territorio che la regione autonoma del Nagorno Karabakh occupava in epoca sovietica, in giallo i territori occupati dalle autorità de facto di Stepanakert e a cui si fa riferimento nei "principi di Madrid"

A poco o nulla è servito anche l’appello di Putin – nel primo giorno di scontri, sabato – al rispetto “immediato” del cessate il fuoco. Come sempre, opposte le versioni dei due paesi anche per quel che riguarda l’origine di questa nuova escalation che è, ricordiamolo, solo l’ultima e la più drammatica di una serie infinite di violazioni del cessate il fuoco che da quel lontano 1994 si susseguono a scadenza quasi mensile, e a volte persino settimanale.

Già il 27 marzo avevano perso la vita due soldati azeri. Per quel che riguarda l’ultima escalation, invece, i primi scontri si sono avuti nella notte fra venerdì 1 e sabato 2 aprile. Mentre entrambe le parti si accusano a vicenda di aver dato inizio agli scontri, diversi elementi sembrano far propendere nei confronti di un’iniziativa azera. Fra questi, il fatto che le truppe armene del Karabakh nel primo giorno di scontri abbiamo perso diverse posizioni sul terreno, e il ritrovamento di un elicottero azero abbattuto sul territorio della repubblica de facto, cosa quest’ultima confermata dalle foto del circolate sui media armeni. Grave il bilancio delle vittime, nel primo giorno di scontri, ma ancora una volta del tutto opposte le versioni e le cifre fornite dai due governi.

Cifre e dati

Per evitare confusione e manipolazioni, ho usato il criterio di riportare le cifre fornite dei rispettivi paesi per quel che riguarda le loro perdite interne, non quelle del nemico. Da parte armena, il presidente Serj Sargsyan, tornato da poco dagli Stati Uniti, è apparso in tv per fornire il computo delle vittime della sua parte: 18 morti fra i soldati, oltre a 4 civili. Fra i molti feriti, anche dei bambini armeni del Karabakh. La loro scuola a Martuni – così riportano fonti ufficiali armene – è stata colpita da un lanciarazzi Grad verso mezzogiorno di sabato 2 aprile. Con loro c’era anche un altro bambino, Vaghinak Grigoryan, di 12 anni che ha perso la vita. Sempre sabato, il ministero della Difesa armena ha parlato della più seria escalation a partire dal 1994, quando fu firmato il cessate il fuoco fra i due paesi a cui non è seguito alcun accordo di pace.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha confermato invece la perdita di 12 soldati e l’abbattimento di un elicottero. Le Forze armate dell’Azerbaijan hanno confermato questa mattina di aver subito la perdita di altri 3 soldati sulla linea di confine. La stampa armena ha diffuso anche le immagini di un drone azero abbattuto, ma si tratta di una perdita non confermata dagli azeri, che a loro volta domenica hanno dichiarato di aver abbattuto un drone armeno. Da un punto di vista militare – come ammesso anche dalle autorità armene – in questa prima giornata di scontri gli azeri sono riusciti a impadronirsi di alcune postazioni armene in Karabakh. Altro elemento preoccupante di questi giorni: una crescita nell’intensità di fuoco che prosegue un trend iniziato già nelle escalation dello scorso anno. Fra gli armamenti utilizzati fonti ufficiali dei due paesi parlano di razzi, missili, mitragliatori, elicotteri e carri armanti. La definizione di conflitto congelato, utilizzata per molti anni dagli analisti per il conflitto fra Azerbaijan e Armenia, sembra sempre più difficile da giustificare.

Una pace più lontana che mai

Domenica 3 sono ripresi subito i combattimenti. Fonti ufficiali dello stato de facto del Nagorno Karabakh hanno parlato di nuovi scontri a partire dalle 6 del mattino, con uso di artiglieria e corazzati. Sempre le stesse fonti hanno parlato di due soldati armeni feriti negli scontri di ieri mattina. Sul campo, si è registrato invece – secondo quanto riporta il ministero della Difesa di Yerevan – il recupero di una parte delle posizioni perdute in Karabakh il giorno prima.

Molto ha fatto discutere la decisione di interrompere in modo unilaterale le operazioni militari in Karabakh, dichiarata dal ministero della Difesa di Baku, e mai entrato in atto. La controparte armena lo ha definito una “trappola informativa”, mentre d’altra parte fonti ufficiali del Karabakh hanno chiesto agli azeri una cessazione delle operazioni militari a patto che si ritornasse alle posizioni precedenti all’ultima escalation.

A gettare benzina sul fuoco, anche un episodio che ha investito l’Iran. Tre colpi di mortaio hanno colpito il villaggio di Khodaafarin nell’Iran nord-occidentale, vicino alla frontiera. Il ministro della Difesa iraniano ha parlato ieri al telefono con le controparti armena e azera facendo appello alla calma. In serata, Yerevan ha fatto sapere di aver recuperato una parte delle posizioni perdute dall’esercito del Karabakh. Gli scontri sono proseguiti durante la notte e oggi in mattinata.

Un’escalation militare, senza dubbio, ma anche e soprattutto diplomatica, mediatica e di propaganda. Il tutto  è scoppiato al termine del viaggio americano dei presidenti di due paesi. Il vicepresidente degli Usa Joe Biden, alla vigilia degli scontri, aveva incontrato separatamente a Washington il leader azero Aliyev e l’armeno Sargsyan, tentando un rilancio della pace per questa guerra infinita. A poche ore dalle sue dichiarazioni, è arrivata dal Caucaso la risposta definitiva al suo appello. La pace in Nagorno Karabakh è oggi più lontana che mai.


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