Edi Rama durante la campagna elettorale (dal profilo Facebook di Edi Rama)

Domenica 25 giugno si è votato per il rinnovo dei 140 seggi del parlamento albanese. Il Partito socialista dell’attuale premier Edi Rama ha superato ogni previsione raggiungendo da solo i numeri per controllare la maggioranza

28/06/2017 -  Tsai Mali

Alle politiche del 2013, la coalizione tra il Partito Socialista (PS) di Edi Rama e il Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) di Ilir Meta si era nettamente imposta sul centrodestra riunito intorno al Partito Democratico (PD) del Premier uscente Sali Berisha, che in seguito alla sconfitta si dimise, consegnando di fatto il partito nelle mani dell’attuale leader Lulzim Basha. In vista di queste elezioni, le coalizioni non sono state rinnovate, la rottura all’interno del centrosinistra è diventata insanabile e i tre partiti hanno chiesto di essere votati per ottenere da soli il controllo della maggioranza e la guida del paese.

Una scommessa vinta nettamente dal PS del premier Rama che vola oltre il 48% delle preferenze e senza risentire minimamente dei primi quattro anni al governo, registra un aumento di quasi 7 punti rispetto alle politiche del 2013. Sale di quasi 4 punti anche l’LSI del presidente designato Ilir Meta, che si attesta intorno al 14% delle preferenze. In caduta libera invece il PD, che questa volta si ferma al 28% e con un calo di circa 2 punti rasenta il peggiore risultato della sua storia.

Superano la soglia di sbarramento anche il Partito per la Giustizia, l’Integrazione e l’Unità (PDIU) di Shpëtim Idrizi che nel Parlamento albanese rappresenta la comunità cham e che si attesta al 4.7% e il Partito Socialdemocratico (PSD) di Skënder Gjinushi, storico alleato dei socialisti, a quota 0.95%.

Resta clamorosamente fuori Ben Blushi, l’ex socialista che per due anni ha animato il dibattito parlamentare e che negli ultimi tre mesi di boicottaggio dell’opposizione ha tenuto testa da solo a tutta la maggioranza. Il suo Libra non è riuscito ad andare oltre l’1.3% e non sarà rappresentato in Parlamento.

Destino ancora più triste quello dell’altro “outsider”, Gjergj Bojaxhi, il candidato “nuovo” con una carriera di oltre otto anni nel precedente governo del PD, il politico “ecologista” amministratore di una società petrolifera. Alla prima prova elettorale, la Sfida per l’Albania di Bojaxhi ha raccolto lo 0.2% dei consensi. A dimostrazione che per proporsi come alternativa credibile alla vecchia politica è meglio non averne fatto parte in passato.

La composizione del nuovo Parlamento

L’Albania ha un sistema elettorale proporzionale regionale a liste chiuse, con 140 seggi assegnati sulla base delle 12 circoscrizioni in cui è suddiviso il paese e con una soglia di sbarramento per i partiti al 3%.

Con il 48% delle preferenze, il Partito Socialista raggiunge quota 74 seggi, 9 in più rispetto alle precedenti consultazioni, diventando l’unico partito a conquistare la maggioranza assoluta con l’attuale sistema elettorale. L’LSI sale da 16 a 19 seggi mentre i 2 punti in meno del PD si traducono in 43 seggi, 7 in meno rispetto al 2013.

Il PDIU registra una performance migliore in queste elezioni, sale di 2.4 punti, ma non supera la soglia di sbarramento a Tirana e lascia a casa il leader Shpëtim Idrizi. Il gruppo parlamentare avrà quindi 3 rappresentanti, 1 in meno rispetto alla precedente legislatura.

Torna a sorpresa in Parlamento - dopo un’assenza durata 8 anni - il Partito Socialdemocratico (PSD), “noleggiato” per l’occasione da Tom Doshi, vecchia conoscenza socialista espulso dal gruppo nel corso della precedente legislatura e ora indagato per “falsa testimonianza” e “evasione fiscale” da 14 milioni di euro. Il PSD ha solo lo 0.9% dei voti a livello nazionale ma ha sfiorato il 12% a Scutari, grazie alla performance extra-politica del suo candidato di punta.

Sorpresa affluenza

Secondo i dati della Commissione Elettorale Centrale (CEC), l’affluenza si è fermata al 46.7%, registrando un calo di quasi 7 punti rispetto al 2013. Dei 3.4 milioni aventi diritto, cifra che comunque va sfoltita del 30% a causa dei cittadini albanesi emigrati che non hanno diritto al voto all’estero, sono andati alle urne solo 1.57 milioni di cittadini. Si tratta di 160 mila voti in meno rispetto all'ultima tornata elettorale, benché gli aventi diritto quest’anno fossero 180 mila in più.

Un dato che al momento da più parti viene giustificato con il caldo e la coincidenza con la festività del Bajram, e che nella giornata di domenica ha costretto la CEC – seppure con scarsi risultati - a posticipare la chiusura dei seggi di un’ora. Nonostante un calo fisiologico fosse prevedibile – quello di quattro anni fa dopo le due legislature di Sali Berisha era inevitabilmente anche un voto contro e quindi più sentito, - sono in molti a leggervi anche un segno di protesta e disillusione dei cittadini nei confronti una classe politica troppo distante dalle reali priorità del paese.

Prime osservazioni: elezioni libere, nel segno della politica

Le elezioni albanesi sono state monitorate da 330 osservatori provenienti da 43 paesi, tra cui una missione di funzionari dell’Osce-Odihr, dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo. Tra i risultati del rapporto preliminare presentato all’indomani delle elezioni viene sottolineato che il voto ha avuto luogo in maniera generalmente regolare, ma l’attuazione dell’accordo politico siglato il 28 maggio tra PS e PD ha comportato una sfida per l’amministrazione e un’attuazione selettiva e inefficiente della legge elettorale.

Inoltre, molte procedure non sono state rispettate, ci sono stati casi di family voting e pressioni da parte degli attivisti dei partiti. Infine, secondo gli osservatori internazionali, la politicizzazione delle istituzioni, le accuse di compravendita di voti e le intimidazioni agli elettori hanno intaccato la fiducia del pubblico nel processo elettorale.

La resa dei conti nel PD

A due giorni dal voto uno striscione con scritto “Basha ik” (Basha, vattene) è apparso presso la sede del Partito Democratico ad indicare il grande sconfitto di queste elezioni. Nei primi quattro anni da segretario del più grande partito del centrodestra Basha non ha fatto molto per discostarsi dall’ingombrante presenza dell’ex leader Sali Berisha. Né la lunga battaglia nel tendone davanti al Palazzo del Governo è servita a risollevare le sorti del partito o a ristabilire la fiducia degli elettori dopo la sconfitta del 2013.

Le liste elettorali presentate a maggio potevano far pensare ad un tentativo di lasciare fuori la vecchia guardia del Pd, di proporre un rinnovamento nel partito, ma in realtà sono servite a Basha solo ad epurare alcuni dei suoi contestatori, ma ora questi sono tornati con una mozione in cui ne chiedono le dimissioni.

Martedì sera, a spoglio appena concluso, Basha ha rotto il silenzio ed ha riconosciuto il risultato del voto e le proprie responsabilità. Si è quindi autosospeso dall’incarico ed ha delegato ogni funzione ai due vicepresidenti, cui viene ora affidato il compito di organizzate le primarie. Tuttavia, Basha ha dichiarato che non intende rinunciare alla gara e che continuerà a battersi fino alla fine, “con e per il popolo democratico”.

La fretta del PD di rispondere alla sconfitta e di fare i conti con Basha rischia però di alimentare primarie solo superficiali, un confronto senza la necessaria riflessione e senza contenuti. Per rispondere alla profonda crisi in cui versa il partito non servono striscioni appesi furtivamente la notte, ma una profonda e radicale riorganizzazione del partito. Il semplice avvicendamento ai vertici c’è già stato, e non ha prodotto risultati né in termini elettorali, né di democrazia interna.

Niente alleanze, maggiori responsabilità

“Ce l'abbiamo fatta. Abbiamo ottenuto quello che nessuno, a parte noi, credeva possibile. Questa vittoria è la responsabilità più grande che potevamo caricarci sulle nostre spalle", ha scritto Rama per congratularsi con i deputati socialisti una volta confermato l’esito del voto. Una vittoria che è soprattutto sua, che ha personalizzato dall’inizio la gara e la campagna elettorale chiedendo di avere da solo il “volante” per mettersi alla guida del paese.

Ma da oggi sarà sua anche la responsabilità di fare quello che in questa prima legislatura non è stato possibile fare. Senza le coalizioni “interessate” con gli altri partiti, non ci sono più ostacoli alla lotta alla corruzione, niente impedimenti per la decriminalizzazione della politica, per sradicare il clientelismo nell’amministrazione pubblica, per fermare la coltivazione di cannabis e attuare le riforme necessarie per rilanciare il paese.

Ora occorre ridare speranza a tutti quei cittadini che questa volta non hanno voluto affidare all’urna il proprio futuro, a tutti quelli che ancora oggi vedono nell’emigrazione l’unica alternativa per una vita migliore, una maggioranza questa, trasversale e purtroppo più ampia di quella socialista.


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