Donbas - Filippo Rosin

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Il prossimo 9 dicembre a Parigi, nel contesto del "Gruppo Normandia" avverrà un incontro tra il presidente ucraino Zelenski e quello russo Putin. Un quadro sulla situazione politica in Ucraina e nel Donbas. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

03/12/2019 -  Filippo Rosin

Il 9 dicembre a Parigi il presidente ucraino Zelensky ed il presidente della Federazione Russa Putin si incontreranno per la prima volta in seno al cosiddetto “Gruppo Normandia” di cui fanno parte assieme al presidente Macron ed alla cancelliera Merkel che fungeranno da mediatori. I negoziati riguarderanno i territori ucraini del così detto Donbas le cui due regioni di Luhansk e Donetsk sono in larga parte occupate fin dal 2014 da separatisti filo russi e che sono il teatro di un sanguinoso scontro militare con l’esercito ucraino che ha prodotto finora più di 13.000 morti.

Zelensky ha annunciato lo scorso 1 ottobre che aderirà alla “Formula Steinmeier” (dal nome dell’ex ministro degli Esteri tedesco) secondo cui le aree sopra citate potranno godere di una forma di autonomia. La legislazione ucraina infatti riconoscerebbe uno statuto speciale alle due repubbliche separatiste che avrebbe un carattere provvisorio e che diventerebbe definitiva solo dopo l’organizzazione di elezioni locali considerate come democratiche dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).

Durante il summit del 9 dicembre a Parigi sapremo forse se il presidente ucraino dovrà per la prima volta fare un bagno di realismo di fronte all’egemonia politico-militare e regionale della Federazione Russa facendo larghe concessioni o se, invece, saprà ancora muoversi sull’onda del carisma personale e del successo elettorale del suo partito che lo ha portato alla presidenza nel maggio del 2019 ed a conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento in luglio. In tutto ciò va comunque citato che il primo ottobre dopo l’annuncio delle possibili elezioni locali e dello statuto speciale per le due repubbliche separatiste quasi 10.000 ucraini sono scesi in piazza a Kiev definendo l’annuncio del presidente Zelensky una “capitolazione”.

Rischiando di incorrere in una semplificazione va qui ricordato che l’Ucraina è una democrazia post sovietica che non è ancora riuscita a coniugare la politica interna ad un modello di democrazia moderna e che ha visto già due grandi rivoluzioni di piazza nel 2004 e nel 2014 e vive ora il drammatico conflitto militare sopra menzionato. In questo scenario Zelensky, uno dei più popolari attori di commedia ucraini, ha in qualche modo traslato la fiction in realtà forse addirittura superandola. Zelensky infatti nella suo più famoso telefilm “Servo del Popolo” interpretava un modesto professore di liceo che si trovava improvvisamente investito della carica di presidente dell’Ucraina. Ora anche il maggior partito politico ucraino uscito vincitore dalle elezioni parlamentari porta il nome dello show televisivo e - dalla finzione alla realtà - in pochi mesi con un amplissimo mandato popolare Zelensky è divenuto il settimo presidente della Repubblica di Ucraina. Guardando ai numeri della vittoria elettorale di Zelensky prima e del partito Servo del Popolo poi non si è trattato solo di una vittoria politica ma di un vero e proprio plebiscito. Secondo alcuni commentatori si è trattato anche di una richiesta di pace e maggior prosperità da parte degli ucraini.

Alcuni candidati alle elezioni parlamentari e lo stesso attuale presidente del parlamento Razumkov, interrogati sulla valenza ed il significato di un risultato così eclatante per un nuovo presidente ed il suo soggetto politico, hanno parlato di nuova onda di cambiamento ed addirittura della possibilità di “vivere un sogno.” Infine probabilmente Zelensky è veramente un volto nuovo; allo stesso tempo però non si può ancora dire che questa novità corrisponda ad un vero cambiamento e ad una rottura con la politica populista che è stata e continua ad essere dominante in Ucraina.

Mentre il cessate il fuoco stabilito dal Protocollo di Minsk del 2015 viene violato quotidianamente da scambi di colpi di mortaio tra l’esercito ucraino ed i militari separatisti va qui spiegato quali sono gli altri drammatici effetti di questa guerra. Il conflitto infatti, oltre alla conta di morti e feriti, produce un impatto economico negativo che ha esacerbato la crisi del sistema siderurgico e minerario del paese. Inoltre l’agricoltura nelle zone dove si combatte ed in quelle vicine, è allo stremo e da fine 2017 gli scambi commerciali tra l’Ucraina e le due repubbliche separatiste sono stati interrotti del tutto con una legge che ha fatto molto discutere. Il valore della grivna - moneta locale - rispetto al dollaro è sceso drammaticamente; nel 2013 un dollaro si comprava con 8 grivne ucraine mentre ora ce ne vogliono ben 24 e ciò ha pesato sullo stile di vita e le finanze di una larga parte della popolazione ed in particolare, ma non solo, su operai, dipendenti statali e pensionati.

Una delle conseguenze più visibili di tale situazione economica è il progressivo spopolarsi delle regioni dell’est Ucraina (6,5 milioni di abitanti dei 43 totali) sia per l’alto numero di sfollati (circa 1 milione e mezzo) che quello di migranti verso paesi terzi. Non esistono dati ufficiali ma si è conoscenza della partenza di numerosi emigrati verso la Federazione Russa, e la Polonia, ma anche verso Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Canada, Stati Uniti ed Israele.

In conclusione, il 9 dicembre al summit parigino tra gli elementi capaci di aiutare il perseguimento della risoluzione del conflitto ucraino, vi sarà sul tavolo il decentramento ed il riconoscimento di un’autonomia speciale a regioni russofone e considerate a torto o a ragione dalla Federazione russa come fortemente legate all’economia e cultura russa. La discussione dovrà quindi mitigare la naturale ritrosia dello stato centrale ucraino alla devolution dei suoi poteri alla periferia. Il forte centralismo sovietico infatti è rimasto sostanzialmente immutato nelle repubbliche post sovietiche e prime fra tutte la Federazione Russa e la Repubblica Ucraina.

Per sottolineare l’importanza e sensibilità di questo tema ci scorre davanti agli occhi un incontro del gruppo Normandia nel 2015 in cui l’allora Presidente ucraino Petro Poroshenko fu rincorso dalla Cancelliera Merkel dopo che aveva abbandonato il tavolo in cui Putin ed i rappresentanti delle repubbliche separatiste avevano messo in agenda la forma federale dello stato ucraino. Allora come oggi Mosca spinge per la concessione di uno statuto speciale alle regioni di Luhansk e Donetsk. Questo riconoscimento russo della necessità di riforme in senso de-centralista all’esterno dei propri confini non corrisponde affatto ad una simile istanza in territorio russo né al permesso di discuterne liberamente alle forze sociali interne. Si può qui considerare che la decentralizzazione ed il riconoscimento di speciali autonomie in Ucraina possa avere risvolti immediatamente positivi per la creazione di pace e stabilità nonché per la possibilità di dare autonomia nella ricostruzione e lo sviluppo di realtà locali fortemente colpite dall’attuale conflitto armato. Allo stesso modo, però, non si può dimenticare che tra i broker di un possibile cambiamento della forma costituzionale dello stato ucraino vi è un’entità statale che non ha brillato nella ricerca di moderazione e conciliazione sullo scenario regionale negli ultimi anni. Gli eventuali riconoscimenti di statuto speciale alle due regioni in conflitto con lo stato centrale dovrebbero, a ben vedere, rimanere ben delimitate nel campo del diritto costituzionale e la politica interna ucraina. In altre parole non si vuole che delle misure finalizzate all’interruzione di un conflitto bellico rischino di dare legittimità all’egemonia politico-militare apertamente perseguita dalla Federazione Russa ed abbiano uno stile propagandistico simile a quello che coinvolse il nazionalismo russo ed il prestigio personale di Putin in occasione dell’annessione della Crimea del 2014.


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