foto G. Vale

foto G. Vale

Da luogo inaccessibile usato dall’armata jugoslava, col tempo la caserma di Pivka si è trasformata nel più grande museo sloveno per superficie, con migliaia di visitatori all’anno

10/08/2018 -  Giovanni Vale Pivka

A San Pietro del Carso (Pivka) in Slovenia, ad una cinquantina di chilometri da Trieste, si trova una caserma che ha attraversato tutte le grandi fasi del Novecento. Costruita durante il fascismo, fu utilizzata dall’Armata federale jugoslava e dalle forze slovene, prima di diventare nei primi anni Duemila un Parco di storia militare . Oggi, questa struttura, completamente rinnovata ed ampliata nel 2015, rappresenta “il più grande museo sloveno per superficie”.

Le mille trasformazioni della caserma

La guarnigione di San Pietro del Carso vede la luce attorno al 1930, quando il Regno d’Italia costruisce il cosiddetto Vallo Alpino, la linea difensiva voluta da Mussolini per proteggere il territorio nazionale in caso di guerra. Ad oriente, a ridosso del Regno di Jugoslavia, la linea Maginot italiana ha il compito di trincerare i confini disegnati dal trattato di Rapallo (1920) e attraversa il Carso nei pressi di Postumia, scendendo fino a Fiume, in Croazia. Oltre alla caserma, un forte sotterraneo è edificato sul Monte San Primo (Primož, 718 m.).

Ma le accortezze di Mussolini non bastano a cambiare le sorti della guerra. Con la vittoria dei partigiani titini nel 1945 e i successivi accordi di modifica del confine orientale italiano, l’infrastruttura di San Pietro del Carso passa infatti sotto il controllo di Belgrado, che vi piazza alcuni reparti della sua Armata Popolare Jugoslava (Jna). La caserma diventa allora “una delle più odiate dai soldati della federazione socialista”. “Chi aveva dei problemi disciplinari, veniva spedito a Priština o a Pivka”, racconta Boštjan Kurent, oggi guida al museo.

“Non soltanto faceva molto freddo durante l’inverno (si dormiva con 2 o 3 gradi sopra lo zero), ma all’esterno soffiava fortissima la bora. Una punizione tipica era infatti quella di costringere i militari a stare sull’attenti all’esterno dell’edificio ed ad ascoltare un lungo discorso”, prosegue Kurent. La Jna rimane a San Pietro del Carso fino al 1991, quando Lubiana dichiara la propria indipendenza e la Jugoslavia è travolta da una guerra fratricida.

Proprio da questa caserma escono allora i carri armati federali che per dieci giorni provano a reprimere la primavera slovena. Non ci riusciranno e la Slovenia diventerà Stato. Nel 2004, infine, arriva l’ultima trasformazione. Dopo aver sonnecchiato per anni tra le mani dell’esercito sloveno, che la usa sporadicamente per l’addestramento delle sue forze speciali, la guarnigione diventa un museo, che pian piano si riempie di carri armati, aerei e persino di un sottomarino.

Il museo e la comunità locale

Pivka (foto G. Vale)

Pivka (foto G. Vale)

La creazione del Parco di storia militare chiude così un ciclo, riportando la caserma al centro della vita di San Pietro del Carso. “Anche se i locali hanno sempre visto l’esercito italiano come una forza di occupazione straniera, la costruzione del complesso militare ha rappresentato per molti un’opportunità economica, grazie alla quale si poteva trovare lavoro in anni di crisi economica”, spiega il direttore del museo Janko Boštjančič.

“Fino agli anni 1960, inoltre, la guarnigione era rifornita con cibo prodotto localmente e ciò rappresentava un importante incentivo per l’agricoltura locale”, aggiunge Boštjančič. Le cose sono cambiate a partire dagli anni Settanta, “quando il turismo ha cominciato a svilupparsi nell’area”. Allora, “la presenza della caserma era un vero problema: per l’esercito jugoslavo ogni turista straniero era potenzialmente una spia e il turismo, qui, era praticamente proibito”.

Oggi, la situazione si è ribaltata. “Con il progetto del Parco di storia militare, abbiamo provato a trasformare quest’ostacolo allo sviluppo dell’area in un’opportunità di crescita”, spiega Boštjančič. Per chi abita nei dintorni, in effetti, l’ultima metamorfosi della guarnigione ha trasformato un elemento diventato ormai alieno in una parte integrante del tessuto cittadino. “Ho visitato diverse volte il Parco di storia militare e ogni volta che vado sono molto contento”, racconta Sergej Stepančič, ex militare della Jna nato proprio a Pivka.

“Durante la Jugoslavia, questi erano edifici grigi, la gente non si sentiva molto vicina all’esercito… era una sorta di Stato nello Stato”, prosegue Stepančič, che aggiunge “ora tutto è cambiato: abbiamo sviluppato il turismo e non soltanto nel parco. Molte attività locali stanno rifiorendo”. Dall’apertura ufficiale nel 2006, in effetti, il museo ha registrato 300mila ingressi, di cui 90mila nei soli due anni successivi all’ampliamento (2015). E il 2017 si è chiuso con 50mila biglietti venduti (+15% rispetto al 2016).

Il percorso di visita

La collezione del Parco si snoda oggi su tre padiglioni e racconta i momenti salienti della storia slovena.

Un primo percorso parla della Grande guerra e della disfatta di Caporetto, celebrata oltre confine come una vittoria. È possibile anche visitare il forte italiano sul Monte San Primo. Una seconda esposizione è dedicata ai lunghi anni della Federazione jugoslava. Si tratta del pezzo forte del museo, dato che sono esposti veicoli di diversa provenienza. “Non abbiamo soldi per comprare i mezzi, per cui ripariamo ciò che si trova in Slovenia, riceviamo donazioni o procediamo a scambi con altri musei”, spiega la guida Boštjan Kurent.

I tank russi e americani, usati dall’esercito jugoslavo a partire dal 1945 ed esposti in un hangar, testimoniano della scaltra diplomazia di Tito durante la Guerra fredda. Ma c’è anche un aereo che fu usato nei colossal cinematografici jugoslavi, quelli che narravano le gesta eroiche dei partigiani e che tanto piacevano al maresciallo, ed un piccolo sottomarino di 20 metri, che l’esercito jugoslavo avrebbe adoperato nel caso di un conflitto contro l’Italia per piccole operazioni di sabotaggio, ma che non guerreggiò mai.

Infine, l’esposizione “La strada verso l’indipendenza” mostra le tappe che portarono la Slovenia ad abbandonare la federazione socialista e ad issare la sua nuova bandiera sulla cima del monte Triglav. L’itinerario è presentato e raccontato senza sfociare nel nazionalismo. “Quando si presentano le vicende della storia militare, si è spesso tentati di glorificare una parte o l’altra”, ammette il direttore Janko Boštjančič. “Ma era un nostro impegno attenerci alla verità storica per tutte le mostre e siamo contenti che la grande maggioranza dei visitatori trovi la mostra autentica e fedele”, conclude Boštjančič.


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!

I commenti, nel limite del possibile, vengono vagliati dal nostro staff prima di essere resi pubblici. Il tempo necessario per questa operazione può essere variabile. Vai alla nostra policy

blog comments powered by