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Alla vigilia di nuovi negoziati sullo status del Kosovo, buona parte dei politici serbi affila la retorica polemizzando con USA e NATO. Mentre l'opinione pubblica si identifica sempre più con la questione kosovara pur sapendo che la provincia potrebbe diventare indipendente

30/08/2007 -  Danijela Nenadić Belgrado

In Serbia la stagione delle ferie estive sta volgendo al termine nonostante le immemorabili alte temperature non accennino a diminuire. A dispetto della dichiarazione del presidente del parlamento Oliver Dulic sul fatto che i deputati devono rinunciare alle ferie a causa del ritardo di quattro mesi nella formazione del governo i parlamentari sono comunque andati in vacanza, e le istituzioni hanno lavorato con una minore intensità. E sarebbe stato tutto come al solito: un andamento lento dei due mesi estivi, qui e là alcuni scioperi, regolari riunioni del governo, euforia per Exit e Guca, insomma tutto regolare, se non ci fosse il Kosovo.

Secondo quanto affermano i funzionari, Belgrado si sta preparando intensivamente alla continuazione dei negoziati sullo status del Kosovo. L'opinione pubblica serba non è a conoscenza della nuova strategia negoziale, proprio come non lo era delle precedenti, ma si sa comunque che le posizioni non cambieranno, almeno per quel che riguarda lo status. Dopo svariati mesi di attesa, all'inizio della settimana è stato confermato che il presidente serbo Tadic e il premier Kostunica sono i co-presidenti del team negoziale. Mentre la composizione dell'intero team sarà resa nota nei prossimi giorni.

La troika di mediatori dell'Unione europea, della Russia e degli USA che ha il mandato per rinnovare i negoziati e mediare nella ricerca di una soluzione, ha già fatto visita a Belgrado e Pristina e ha fatto la conoscenza degli interlocutori che siedono dall'altra parte del tavolo negoziale, nonostante si tratti di diplomatici esperti e ben informati sui Balcani.

A Vienna sono stati annunciati per il 30 agosto i colloqui per la nuova fase di negoziati sullo status del Kosovo. Da Belgrado prenderà parte ai colloqui il ministro degli Affari Esteri Jeremic e il ministro per il Kosovo e Metohija Samardzic insieme ai loro consiglieri. Il quotidiano "Politika" riporta la dichiarazione di Jeremic secondo la quale Belgrado non cadrà più nella trappola dell'indeterminazione dei temi da discutere e dell'ordine del giorno, e poi che la composizione del team negoziale sarà determinata solo nel momento in cui sarà del tutto "chiaro il modo in cui i colloqui si svolgeranno". Jeremic ha aggiunto che "è importante stabilire le regole. Solo adesso iniziano le consultazioni sul modo in cui questi negoziati devono essere condotti".

In Serbia tutti parlano del Kosovo. Il più recente sondaggio dell'opinione pubblica dimostra che il grado di identificazione dei cittadini col Kosovo è notevolmente alto, ma allo stesso tempo la maggior parte degli intervistati afferma di essere consapevole della possibilità che il Kosovo in breve tempo possa essere riconosciuto come stato indipendente.

Una tale confusione è stata suscitata per prima cosa dal fatto che, dall'inizio dei negoziati sul Kosovo, lo Stato, ossia il team negoziale, non ha reso nota ai cittadini la strategia rispetto al Kosovo. Eccetto gli sporadici avvisi del presidente Tadic, nessuno dei politici serbi ha riconosciuto di fronte ai cittadini che l'indipendenza è una delle offerte sul tavolo.

In secondo luogo, l'intensificarsi dell'influenza russa sul processo negoziale kosovaro, la ripresa dei negoziati, lo spostamento del termine per assumere una decisione, il rifiuto del piano Ahtissari, l'insistenza sul fatto che la Serbia ha vinto una sorta di "primo round" hanno contribuito alla creazione di un'insolita atmosfera secondo la quale sarebbe possibile mantenere il Kosovo all'interno della Serbia.

Terzo, la recente inversione di rotta nelle relazioni con gli USA praticata da una parte del governo (i ministri appartenenti al Partito democratico della Serbia) insieme al tacito accordo del Partito democratico, eccetto qualche scarabocchio fatto dal capo gruppo parlamentare del DS Nada Kolundzija e dal suo omologo del partito G17 plus, suscitano agitazione tra i cittadini.

Come afferma l'analista politico Jovo Bakic, "una parte del governo conduce una politica attiva in un ambito (il Kosovo), mentre l'altra parte segue tacendo. Negli altri ambiti, per esempio la politica economica, questa parte di governo ha più voce in capitolo, mentre il primo gruppo segue. Così si sono semplicemente divisi a seconda delle varie questioni".

Ma se guardiamo cosa è accaduto nel Paese durante gli scorsi mesi, vediamo quali sono stati i messaggi inviati al mondo riguardanti la questione del Kosovo. Partiamo dalle più recenti. Il ministro per gli Affari Esteri Vuk Jeremic ha abbandonato la cena alla cerimonia di apertura della conferenza internazionale del Forum strategico europeo di Bled in Slovenia. Jeremic lo ha fatto in segno di protesta perché non gli era stata data la possibilità di replicare a Martti Ahtissari, il quale aveva espresso le sue ben note posizioni sullo status del Kosovo. Un po' più tardi, Jeremic, come riferisce l'emittente B92, ha dichiarato che "è più fruttuoso passare il tempo nei colloqui bilaterali che ascoltare Ahtissari, perché il suo piano per noi è stato messo agli atti".

All'inizio di agosto una parte della nomenclatura politica ha affilato la retorica sulla questione del Kosovo. Una serie di politici del gruppo attorno al premier Kostunica hanno criticato quotidianamente la politica degli USA e della NATO, avanzando la tesi che gli USA desiderano fare del Kosovo uno Stato della NATO. Il ministro per il Kosovo e Metohija, Samardzic, ha invitato gli USA, all'inizio dei nuovi negoziati, a rinunciare alla creazione di "uno Stato della NATO sottoforma di un Kosovo indipendente".

Tutti i media hanno riportato anche la dichiarazione del ministro degli Interni, Jocic, secondo il quale "non si può più nascondere l'intenzione della NATO di fare del Kosovo il suo Stato fantoccio". Il ministro dell'Energia Popovic in una dichiarazione per il quotidiano "Politika", ha affermato che la soluzione di compromesso "che potrebbe soddisfare gli interessi dello stato serbo e della minoranza albanese sarà possibile solo se gli USA rinunciano al piano di Martti Ahtissari e alla creazione di uno Stato della NATO in Kosovo". La portavoce della NATO Carmen Romero ha confutato le affermazioni secondo le quali la NATO sta creando una qualunque forma di stato in Kosovo, ma questo non ha influito sulla continuazione della serie di dichiarazioni dei membri del DSS basate sulle medesime accuse.

La maggior parte degli analisti ha valutato queste dichiarazioni come un gioco pericoloso che esercita un'alta pressione sulla NATO e sugli USA. Nell'analisi condotta dal quotidiano "Novosti" l'analista militare Aleksandar Radic afferma che la Serbia è tornata alla politica delle minacce che aveva caratterizzato il regime di Milosevic e che non è mai andata a vantaggio della Serbia.

Un altro analista militare, Zoran Dragisic, sostiene che "non si capisce cosa vogliano dire i ministri del DSS con l'espressione Stato della NATO", aggiungendo che "numerose accuse di questo tipo potrebbero infrangere gli obiettivi dichiarati della Serbia riguardo le integrazioni euroatlantiche".

Nella stessa analisi, l'analista politico Jovo Bakic, afferma di essere "assolutamente d'accordo col ministro Samardzic sul fatto che il Kosovo indipendente non sarebbe uno Stato prospero né uno Stato fondato sugli standard europei, ma andrebbe quantomeno chiarito cos'è questo Stato della NATO, dal momento che il governo lo ha già nominato più volte". Bakic ha aggiunto che tutti i partiti di governo sono d'accordo sull'inclusione del Paese nell'UE, ma l'ingresso nella NATO è tutta un'altra questione.

Al DSS non hanno oziato di certo dal momento che hanno pensato alcune vecchie/ nuove soluzioni riguardanti il Kosovo. Una delle idee più originali, eccetto la contrarietà alla creazione di uno "Stato della NATO", è il ritorno di 1.000 soldati serbi in Kosovo. Il segretario di Stato presso il ministero per il Kosovo e Metohija, Dusan Prorokovic, ha detto che non c'è niente di discutibile nella richiesta di far ritornare le forze di sicurezza della Serbia in alcune parti del Kosovo, perché ciò è in accordo con la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come riporta B92 Prorokovic ha affermato che "se la KFOR non è in grado di adempiere al suo mandato e difendere la popolazione non albanese, impedire il proseguimento della pulizia etnica e delle violenze, allora lo possono fare le nostre forze di sicurezza". La NATO, l'UNMIK, gli USA e l'UE hanno rigettato questa idea. Le danze proseguono.


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