Il 12 ottobre scorso la Commissione europea ha suggerito che alla Serbia venga assegnato lo status di Paese candidato. Scarso entusiasmo però a Belgrado alla notizia da Bruxelles. Il nodo del Kosovo e le prossime elezioni occupano infatti la scena politica serba

02/11/2011 -  Ana Ljubojević Belgrado

Nel suo rapporto pubblicato il 12 ottobre scorso, la Commissione europea ha accolto il cosiddetto pacchetto di allargamento, raccomandando che alla Serbia venga assegnato lo status di Paese candidato per l’ingresso nell’Unione.

Tuttavia a Belgrado questa notizia è passata pressoché inosservata. Pare che tutta la classe politica della capitale voglia conservare un profilo decisamente basso prima del 9 dicembre, quando il Consiglio dei ministri dell’Unione avrà l’ultima parola sull’eventuale candidatura della Serbia e sulla possibile data di avvio dei negoziati.

La candidatura sembrava più vicina che mai dopo che, nel maggio scorso, la polizia serba aveva catturato Ratko Mladić, spingendo anche il presidente Tadić a dichiarare di “credere che ora sono aperte tutte le vie al negoziato della Serbia per un futuro ingresso nell’Unione europea”. La speranza è però durata soltanto fino a luglio, quando il processo di negoziazione col Kosovo, tra l’altro sponsorizzato dalla Commissione, si è bloccato.

Il nodo del Kosovo

Le tensioni determinatesi dopo le barricate nel nord del Kosovo hanno influenzato fortemente il rapporto della Commissione, anche se il ministro degli Affari Esteri Vuk Jeremić ha cercato di sottolineare che l’integrazione europea e la soluzione della crisi kosovara sono “due processi separati che non possono pesare l’uno sull’altro”.

La smentita è arrivata immediatamente dal Commissario per allargamento Štefan Füle, che ha confermato in una sua dichiarazione al Parlamento europeo come l’inizio dei negoziati con la Serbia dipenda dal miglioramento nei rapporti col Kosovo. Presentando il rapporto riguardante i progressi dei Balcani Occidentali rispetto all’integrazione nell’UE, Füle ha evidenziato che la Commissione “raccomanda l’inizio delle trattative per l’adesione della Serbia non appena le priorità chiave saranno soddisfatte. Questo significa la normalizzazione dei rapporti col Kosovo secondo le condizioni poste dal processo di stabilizzazione e associazione”.

Miguel Rodriguez Andreu, esperto di cooperazione tra Ue e Serbia, ritiene che questo sia il “miglior momento per fare pressione sulla Serbia per cessare il contenzioso sulla sovranità del Kosovo. L’attuale governo ha investito tutto sull’ingresso nell’Ue e se, oltre a perdere il Kosovo, perderà credibilità anche la prospettiva dell'adesione all'Unione, probabilmente Tadić non verrà riconfermato alle prossime elezione previste nel 2012”.

Elezioni in vista

La vicinanza alle elezioni sembra abbia messo il silenziatore anche all'attenzione che i media solitamente riservano al rapporto della Commissione. Anche questi ultimi però sono stati chiamati in causa recentemente, sia in Serbia che all'estero. Il “Consiglio per la lotta contro la corruzione”, con sede a Belgrado, ha presentato lo scorso 29 settembre il Rapporto sulla pressione e sul controllo dei media in Serbia. Per la prima volta le criticità che anche la Commissione ha messo in luce nel suo rapporto sono state sistematizzate e presentate pubblicamente. In particolare, è stato sottolineato che l'opacità degli assetti proprietari rende i media vulnerabili alla corruzione e ne depotenzia la capacità di critica verso la classe politica.

D’altro canto, la pubblicazione del rapporto della Commissione non sembra abbia stimolato l'elaborazione di una chiara strategia del governo per affrontare il mese che manca alla decisione finale sulla candidatura serba.

Una spiegazione si può cercare nelle volontà di aspettare il 9 dicembre e la decisione ufficiale del Consiglio dei ministri dell’Unione, ma Ana Ranitović, incaricata alla gestione dei progetti europei presso il Consiglio universitario per l’ecologia e il turismo, ha ricordato anche un altro aspetto del problema:

“Nei mesi passati pare che ci sia stata una vera e propria campagna per l'allontanamento della Serbia dall’Unione europea. Si sono messi a fuoco i temi che dovrebbero influenzare l’opinione pubblica nel caso in cui, prima il rapporto della Commissione e poi quello del Consiglio dei ministri, abbiano esito negativo. Le dichiarazioni dell'élite politica riguardo l’integrazione europea, l’inflazione, il problema del Kosovo, del gay pride mancato, ecc. chiaramente confermano questo fenomeno”.

Cambiamenti lenti e scarsa volontà politica 

Tra le priorità elencate nel rapporto della Commissione vi sono il rispetto totale della partecipazione di tutte le parti interessante nella cooperazione regionale, l'armonizzazione della normativa serba al Contratto della comunità energetica, una soluzione per lo stato delle telecomunicazioni in Serbia, il riconoscimento dei titoli universitari tra Serbia e Ue e la collaborazione attiva con Eulex. Inoltre, le raccomandazioni per le riforme toccano soprattutto le istituzioni giuridiche, la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata.

“Purtroppo i cambiamenti non sono abbastanza veloci. A livello istituzionale e strutturale, queste sono le preoccupazioni maggiori dell’Unione europea riguardo alla Serbia, ma anche riguardo agli altri Paesi balcanici”, ha spiegato Rodriguezez Andreu. “Il problema è che, a differenza dell’Europa centrale, qui non ci sono tanti costi politici, visto che molti attori della classe politica sono presenti continuativamente dagli anni novanta”.

Ana Ranitović ha sollevato il problema della volontà politica nel perseguire le riforme. “L’opinione generale è che la Serbia abbia ottime capacità istituzionali che potrebbero essere utilizzate per compiere tutte le riforme necessarie all’adesione all’Ue. Però, a differenza per esempio del Montenegro, la Serbia non possiede la volontà politica. Nonostante la creazione del quadro istituzionale e legale richiesto dall’Ue, proprio la mancanza di volontà politica rischia di rendere tutto inutile: l’applicazione delle leggi e una cooperazione tra le varie istituzioni diventa debole”.

Il processo di adesione della Serbia è iniziato nell’aprile del 2008, a distanza di pochi giorni dalle elezioni parlamentari, con la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione in Lussemburgo. Un anno più tardi la Serbia ha ufficializzato la domanda di adesione all’Ue. La decisione del Consiglio europeo, il mese prossimo, sarà un  fattore cruciale per un eventuale futuro europeo per la Serbia, e peserà come un macigno sulle prossime elezioni politiche nel Paese.


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