Presso l'ex fabbrica di mattoni a Subotica

Presso l'ex fabbrica di mattoni a Subotica

Sono centinaia i migranti che stanno arrivano ogni giorno a Subotica, nord della Serbia. Nel caldo soffocante di questi giorni, la solidarietà arriva solo da alcuni cittadini

10/07/2015 -  Vesela Laloš

(Pubblicato originariamente da Radio Slobodna Evropa il 3 luglio 2015, selezionato a tradotto da Le Courrier des Balkans e Osservatorio Balcani e Caucaso)

Le informazioni che avevamo ricevuto sul fatto che una presenza più massiccia di polizia lungo la frontiera serbo-ungherese aveva fermato il flusso di migranti provenienti dall'Afghanistan, dalla Siria, dal Pakistan e dalla Somalia si rivelano a dir poco mai errate: in questi giorni sono in centinaia quelli accampati presso l'ex fabbrica di mattoni, nella periferia di Subotica. E sono sempre di più quelli che si raccolgono a Kanjiža, una trentina di chilometri più a est, non lontano da Horgoš e della frontiera ungherese.

All'ex fabbrica di mattoni starebbero arrivando, ogni giorno, un centinaio di nuovi migranti. In genere arrivano in taxi, che hanno trovato in questo trasporto particolare una nuova considerevole fonte di reddito. Altrettanti lasciano il luogo di notte, diretti verso l'Ungheria.

L'Ue, terra promessa

All'ingresso dei locali dell'ex fabbrica di mattoni, ora abbandonata, si trova un pozzo. Sopra la scritta: acqua non potabile. La scritta è in arabo ed è rivolto a chi è tentato dall'acqua dopo aver passato tante peripezie.

La maggior parte dei migranti è in viaggio da mesi per arrivare a questa porta d'Europa: in barca, in autobus, a piedi... Le persone che abbiamo incontrato alla fabbrica di mattoni erano comunicative e sorprendentemente ben disposte nei nostri confronti. Davano l'impressione di persone che avevano raggiunto il loro scopo. E lo scopo, per chiarirci, era l'Unione europea, la terra promessa, a pochi chilometri da quel pozzo e che la maggior parte di loro riteneva riuscir a raggiungere nel giro di un giorno o due.

“Mi chiamo Bekir, ho avuto dei problemi con i talebani in Afghanistan e allora sono fuggito. Vorrei andare in Germania e questa sera proveremo ad entrare in Ungheria. Ho già tentato di entrare in Europa dalla Bulgaria ma la polizia mi ha arrestato a Sofia e mi ha rimandato in Serbia”, ci racconta questo ragazzo di una ventina di anni, bello e ordinato.

Ahmet invece di anni ne ha solo 15, ha frequentato una scuola rinomata a Kabul e parla bene l'inglese: “Vengo dall'Afghanistan. Sono arrivato con mio padre, perché c'è la guerra nella nostra città e i talebani hanno vietato a mio padre di fare il suo lavoro e ci hanno rubato tutto quello che avevamo. Mia madre è rimasta in Afghanistan e speriamo possa raggiungerci”, spiega.

Secondo Hamid, anche lui afghano, i numeri di migranti che passano dalla fabbrica di mattoni è rilevante: “dalle 100 alle 200 persone passano di qui ogni giorno, siamo veramente in tanti. Altrettanti partono ogni giorno, a piedi, verso la frontiera ungherese, che è molto vicina”. Hamid precisa però di non sapere se tutti riescono poi a passare la frontiera e dice di aver paura della autorità ungheresi. “Prendono le nostre impronte digitali e poi non possiamo andare in Germania, Austria, Svizzera, perché è là che desideriamo andare”.

Hanno sentito parlare della costruzione di una rete metallica lungo tutto il confine ma non li spaventa più di tanto. Sono convinti di riuscire a trovare il posto ed il modo per passare comunque.

Nessun buon ricordo

In una vasta area attorno alla fabbrica abbandonata, tra l'erba alta, si trovano giacigli improvvisati, resti di falò, del cibo lasciato lì intenzionalmente per altri viaggiatori di passaggio. Sotto alcuni alberi, salici e acacie, una decina di gruppi di migranti, difficili da scorgere. Muniti di zaini, contenenti tutta la loro vita, mangiano e dormono sotto le stelle, e gli alberi servono loro da riparo nel caso di pioggia. Hanno lasciato dietro a loro la loro famiglia, la povertà e i pericoli della guerra. Tra di loro vi sono molte donne, ragazze, bambini e persone anziane.

Il loro viaggio sino a qui è stato puntellato di ostacoli e difficoltà, racconta Almir, di Kabul. La popolazione locale è spesso ostile (anche quella serba), la polizia li arresta per poi ricattarli, i soldati sparano loro addosso e poi c'è chi ruba loro il poco che è rimasto. Chiediamo ad Almir se ha almeno un ricordo positivo di tutto il viaggio. “E' stato quando alcune persone ci sono venute incontro e ci hanno detto che ci avrebbero portato del cibo. Li abbiamo aspettati per ore, ma non sono tornati, Ed allora la situazione è ritornata negativa”, ci ha risposto.

Oltre ai migranti, incontriamo per strada anche numerosi giornalisti. Seduti assieme ai migranti, parlano. Un collega che lavora per la televisione ceca chiede, all'improvviso: “Ma vi è stato detto quanto è difficile ottenere asilo nell'Ue?”. Il giovane Ahmed risponde affermativamente ma con un'aria perplessa, manifestando una certa sorpresa per la domanda. Là da dove è partito, l'asilo è una questione superflua, la principale preoccupazione è salvarsi la vita.

Perché non li aiutiamo?

Anche se questi migranti sono lasciati a se stessi, questa volta hanno ricevuto la visita di alcuni attivisti dell'Associazione per la salvaguardia dei valori di cittadinanza di Subotica, che hanno distribuito una cinquantina di litri d'acqua, del cibo e delle culle per i più piccoli.

Il caldo annunciato per i prossimi giorni sarà difficile da sopportare. E' per questo che l'associazione, spiega uno dei suoi membri, Natalija Jakovljević, ha lanciato quest'azione umanitaria per portare un po' di aiuto a queste persone.

“E' quantomai necessario fornirle loro centinaia di litri di acqua”, ci dice. “Le autorità cittadine non li aiutano, ed è per questo che abbiamo deciso di farlo noi, in quanto cittadini. Non minacciano la sicurezza di nessuno, non mendicano alle nostre porte, sono tutto tranne pericolosi e hanno lo stesso diritto di vivere di noi. Perché non li aiutiamo? Noi tentiamo di rendere loro almeno una piccola parte della dignità umana che è stata loro rubata. Per il momento è il poco che riusciamo a fare”.


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