Nel sud della Serbia, a Raška, trovata una fossa comune. Conterrebbe centinaia di cadaveri di kosovaro-albanesi ed è venuta alla luce grazie ad un'indagine della procura di Belgrado. La Serbia, l'Europa e l'eredità di un tragico passato

14/05/2010 -  Luka Zanoni

Quando lo scorso 10 maggio il capo della Procura serba per i crimini di guerra, Vladimir Vukčević, ha dato notizia della scoperta di una fossa comune contenente 250 corpi presumibilmente di kosovaro-albanesi, nei pressi di Raška, nel sud della Serbia, la notizia ha assunto – pur nella sua tragicità - una connotazione particolarmente positiva.

Non solo perché finalmente si iniziava a dare risposte alle famiglie degli scomparsi nella guerra in Kosovo, da anni alla ricerca dei propri cari (tra gli albanesi del Kosovo si indica la cifra di circa 1800 scomparsi di cui ancora non si hanno notizie), ma anche per il fatto che sia stata proprio la procura belgradese in collaborazione con la missione Eulex in Kosovo e grazie al contributo di testimoni, ad aver avviato le indagini sulla fossa comune di Raška.

L'indagine apre un ulteriore capitolo sui crimini di guerra di cui si è macchiata la Serbia negli anni con Milošević e dimostra che Belgrado sta iniziando ad affrontare apertamente il confronto con questo tragico e ancor recente passato.

Progressi confermati dalle parole della ministra per la Giustizia, Snežana Malović: “Siamo assolutamente pronti a rivelare la verità su tutte le persone scomparse nell'area del Kosovo e a portare di fronte alla giustizia tutti i responsabili di quei crimini”.

Un tassello in più verso la difficile e delicata elaborazione del conflitto tra Serbia e Kosovo, tra cui in tutti questi anni è mancato un concreto dialogo e una chiara assunzione di responsabilità sui massacri compiuti dalle parti in conflitto.

Che la Serbia sia pronta per la verità ne è convinto anche il vice premier kosovaro Ram Manaj, il quale in una dichiarazione per B92 ha precisato: “La scoperta di fosse comuni sembra dimostrare la volontà della Serbia nel portare alla luce la verità sugli scomparsi. La questione degli scomparsi può essere addossata alla Serbia e la verità su quanto accaduto può essere svelata solo grazie alla Serbia perché sono le forze serbe responsabili di ciò che è accaduto”.

D’altro canto da parte serba, per voce del segretario del ministero per il Kosovo e Metohija, Oliver Ivanović, si avanza la richiesta di ritrovare anche le fosse in cui sono sepolte le vittime di nazionalità serba. Gli scomparsi serbi, secondo la procura di Belgrado, sarebbero circa 500.

Alcuni analisti si sono chiesti perché proprio adesso la procura belgradese si sia decisa a far luce su una fossa comune di cui si sapeva, secondo fonti kosovaro-albanesi, già da qualche anno. Oltre tutto, ricerche sulla stessa fossa comune, erano già state avviate nel 2007, ma l’esito fu negativo perché si era cercato nel luogo sbagliato.

Haki Kasumi, coordinatore del Consiglio dell’associazione della famiglie delle persone scomparse in Kosovo, intervistato da Radio Free Europe, è convinto che si tratti del “consueto gioco della Serbia, perché loro possiedono tutte le informazioni sui crimini compiuti in Kosovo, e con queste azioni desiderano convincere la comunità internazionale di voler cooperare”. Per Kasumi si tratterebbe quindi di un’indagine con finalità innanzitutto politiche.

Al di là delle speculazioni che si possono addurre sul perché ci sia ora interesse da parte serba nel ritrovare le fosse comuni della guerra del Kosovo, va rilevato che le autorità di Belgrado dimostrano molta più disponibilità di prima nel muoversi lungo i binari di una possibile riconciliazione.

La recente dichiarazione su Srebrenica adottata dal parlamento serbo, la possibilità che le reciproche accuse di genocidio tra Serbia e Croazia, grazie alla buona volontà dei rispettivi presidenti, possano trovare una soluzione extragiudiziaria, lasciano intravedere la volontà di affrontare diversamente il passato cruento e dare un nuovo corso all’intera regione, migliorando le relazioni bilaterali e di conseguenza avanzando lungo il cammino europeo.

Che la Serbia abbia la necessità di restituire all’opinione pubblica internazionale un’immagine di sé svincolata dai crimini di guerra è innegabile ma non per questo biasimabile. In parte ci sta riuscendo, anche se molto ancora dovrà essere fatto.

Non è la prima e non sarà certo l’ultima fossa comune di cui si parlerà nel prossimo futuro. Durante il regime di Milošević era macabra prassi spostare i corpi delle vittime uccise in Kosovo seppellendole in fosse comuni secondarie, in varie località della Serbia. Nel caso in cui le informazioni dovessero risultare esatte, quella di Raška sarebbe la sesta fossa comune contenente corpi di albanesi kosovari scoperta e la seconda per dimensioni. La più grande fino ad ora resta quella della base delle forze di sicurezza speciali serbe di Batajnica con circa 700 vittime, scoperta nel 2001.

La strada dell’elaborazione del conflitto e della riconciliazione è tutta in salita ma queste prese di posizione ufficiali sono un aiuto a rendere meno ardua un’impresa che a volte sembra impossibile.


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