Non contano le vite di quelli che ha sepolto, non conta la giustizia. Il soldato Radovan è stato sacrificato agli interessi superiori della Serbia e dell'Europa, ed ora andrà a riposo. Tra l'eccitazione e l'amarezza di una notte insonne, Zlatko Dizdarević ricorda i suoi incontri con l'arrestato

28/07/2008 -  Zlatko Dizdarević Sarajevo

Appena abbiamo pensato fosse stato dimenticato, la gente impegnata nella politica, e per niente nelle anime e dolori umani, ha tirato fuori dal buio Radovan Karadžić e l’ha usato di nuovo come prima, per scopi politici. Dragan Dabić alias Radovan Raša Karadžić, gioca di nuovo un ruolo importante nelle vite di molti.

In una stanza d’albergo in un Paese lontano, la Giordania, mi ha svegliato dal sonno profondo il suono del cellulare, appoggiato sul comodino vicino al letto. Mezzo addormentato, riuscivo a malapena a leggere il messaggio. Diceva: “LA CNN HA CONFERMATO LA NOTIZIA!”

Che notizia, su che cosa, chi me lo manda, cosa succede? La mezzanotte è passata da un bel po’, sia lì da noi che qui in Asia dove stavo dormendo. Mi sono girato nel letto e ho cercato di riprendere sonno, ma era impossibile. Un altro messaggio, poi un altro ancora, poi un terzo. Dicono che Karadžić è stato arrestato, che l’hanno confermato sia la CNN che la BBC, che la televisione bosniaca non ha ancora annunciato niente e così via.

Poi la tarda chiamata, la voce di mio figlio da Sarajevo che mi conferma la stessa cosa, col tono della voce più o meno scherzoso, più o meno grave... Gli veniva voglia di ridere su qualche storia delle nostre vite passate ma il ragazzo, ben educato, sente che non è il momento giusto per farlo…

Mi alzo finalmente dal letto a notte fonda, accendo il televisore e rimango sveglio fino all’alba facendo zapping tra diversi canali stranieri. Sinceramente, non so perché. Non mi hanno detto niente, ma proprio niente di nuovo. Nemmeno un’immagine nuova in questa valanga di servizi sulla guerra in Bosnia, già conosciuti e ripetuti. Non uno solo tra i cosiddetti testimoni esclusivi e i politici di varie parti del mondo, che si sono presentati in questa occasione davanti alle camere, mi ha annunciato niente di nuovo. Qualsiasi loro commento lo potevo prevedere in anticipo, con la massima precisione.

In questo campo, la politica ha ormai conquistato completamente la ragione, i sentimenti e la logica. Nei Balcani, da tanto tempo, il caso di Karadžić non è più una questione di crimini e di giustizia, ma un affare politico e di relativi giochi. Se fosse stato diversamente, lui si sarebbe trovato già da un pezzo dove si trova solo adesso. Nonostante ciò, ho passato tutta la notte fissando in continuazione lo schermo, fino all’alba.

Non posso dire che il fatto non sia rilevante, o almeno così dovrebbe essere. Chi si piglierà i cinque milioni di dollari, promessi allora dagli Stati Uniti per Raša, è stato il primo pensiero scortese che mi è venuto in mente quella notte. Scortese nei confronti della storia, delle vittime, dell’educazione acquisita a casa, delle vite che Raša, soldato di qualcuno, ha frantumato in particelle. Il pensiero del denaro era solo un riflesso naturale indotto dalla notizia dell’ora dell'arresto, dalla sua causa, dalla “sorpresa” e dall’entusiasmo professionale mostrato dai politici di tutto il mondo. Non rimprovero niente ai media, sappiamo tutto su di loro. Per loro questo è il jackpot! I contenuti non importano.

La politica ha deciso di salvare il soldato Radovan e lui è stato salvato. Tutto esattamente come nel film di Spielberg, in cui la politica decide di salvare il soldato Ryan. Non è lui che conta, ma il fine. Nel caso di Radovan sembra che non contino neanche le vite delle persone che aveva sepolto. Non conta neanche la giustizia. La storia della giustizia serve per gli ingenui. A questo scopo saranno forse sacrificati anche i famosi cinque milioni di dollari. Il soldato Radovan doveva essere “salvato” da qualche Spielberg di Bruxelles per gli interessi superiori della Serbia, e non della Bosnia. Questo spiega anche il successo dell’operazione. Salvato Radovan, soprannominato teneramente Raša da tutto il mondo, passerà al sicuro il resto della sua vita in qualche “cosiddetto” carcere europeo, scandinavo, francese o olandese, in realtà una specie di castello privato, con lunghe passeggiate nei giardini e fra i fiori, e forse anche con la piscina piena di pesci rossi. Citerà Matija Bećković e Grašanin, i brillanti scrittori russi, e Peter Handke, che a Raša piace tantissimo. Citerà con orgoglio anche i propri comizi dell’epoca in cui, con zelo, al Parlamento della Bosnia Erzegovina aveva promesso che tutto il popolo bosniaco sarebbe scomparso dalla faccia della terra. Scriverà poesie per le quali riceverà “premi internazionali” dalla Russia e da qualche editore della Serbia europea. La sua fedele consorte, la moglie Ljiljana, sarà finalmente “sicura che suo marito è vivo”, come ha pateticamente dichiarato dopo la notizia dell’arresto. Diventeranno più povere soltanto le pagine di certe riviste sul benessere e la vita sana, dove Radovan, usando un nome falso, scriveva liberamente. Gli editoriali del soldato Radovan verranno tuttavia valutati molto di più in riviste di contenuto diverso. L’uomo che ha “portato la Serbia sulla strada europea” ha diritto ad una paga così alta.

Negli ultimi giorni, la cosa che più mi ha stupito del “sorprendente” arresto del soldato Radovan è stata la mancanza di tatto, e il livello di crudeltà, della “realpolitik” dei vertici dell’Unione Europea. Anche a Belgrado hanno usato più saggezza e forza rispetto a Bruxelles nel pronunciare parole come giustizia, vittime, crimini, tribunale, e persino genocidio. A Bruxelles nessuno voleva né poteva nascondere il significato dell’operazione Karadžić, per come l’avevano visto loro – in questa faccenda loro sono interessati ancora esclusivamente alla Serbia e alla sua scorciatoia verso l’Europa. Loro vogliono, ad ogni costo, fornire le prove che lì adesso va tutto bene, cosa importantissima per “ragioni strategiche...” Da lì deriva la loro reazione più significativa, quella per la quale la CNN ha interrotto la programmazione: “Una pietra angolare nel cammino della Serbia verso l’Europa…”

Questa constatazione, ad essere sincero, è stata quella che mi ha svegliato completamente nella notte cisposa in cui hanno interrotto il mio profondo sonno ad Amman, in Medio Oriente, nell’Asia più vicina a noi. Non a causa della Serbia, auguri per il buon viaggio, ma per la brutale mancanza di pietà rispetto alla sostanza della storia. Dai signori europei mi aspettavo, di nuovo invano, che dicessero qualcosa sulle vittime e sul crimine terribile, sulla verità e sulla giustizia. Avrebbero potuto mostrare solo in seguito quanto gli tremano le mutande per i timori sulla realtà politica dei Balcani. E questa realtà, secondo loro, è la presenza militare ed energetica russa nel grembo dell’Europa e sul confine della NATO. Tutto questo grazie alla Serbia. La missione spielberghiana di salvare il soldato-criminale già citato aveva perciò una tempistica precisa per diverse ragioni, ed era in totale sintonia con il cinismo politico che non lascia spazio alla giustizia.

Il soldato Radovan, come spesso accade nella vita, è l’ultima persona al mondo sulle cui misure si dovrebbe ritagliare e dipingere la storia. Lui non era neanche un soldato autentico, né comandante né stratega. Il vero soldato-criminale è ancora libero. Si è verificata un’amnesia piuttosto strana nel mondo della politica rispetto al generale Mladić, il criminale che comandava i crimini.

Ho conosciuto Karadžić prima della guerra. Era uno scippatore malato, al livello di un truffatore di campagna, un piccolo provinciale psicopatico a cui qualcuno aveva detto che avrebbe avuto un ruolo importante nella storia, e lui questo ruolo lo giocava con tanta passione. Le conseguenze sono state mostruose.

Oggi mi ricordo un vecchio episodio: alla vigilia della guerra, una mattina presto, nella redazione del settimanale “Nedjelja” (Domenica), in cui ero capo redattore, mi stava aspettando umilmente, da leccaculo. Tirò fuori un sacco di viscidi complimenti sulla rivista e sul mio supposto “brillante giornalismo che ammirava tanto”. Poi disse che “loro” avevano un testo da propormi. Disse “[che] lui era sicuro che quel testo sarebbe stato pubblicato su un giornale così grande e da parte di un così grande redattore, anche se tutti i suoi [colleghi] ne dubitavano fortemente…” Gli chiesi chi erano questi “loro” che rappresentava. Rispose che erano “un gruppo di persone di idee simili e che, forse, avrebbero fondato un partito nuovo in quel periodo di inondazione di nuovi partiti, alla vigilia delle prime elezioni democratiche della Bosnia…”

Guardai il testo. Era la classica piattaforma di un nuovo partito politico. L’idea era tipicamente nazionalista, condita con intelligenza e assai ben scritta. Gli proposi di esporla in forma di intervista, perché all’epoca le piattaforme di quel genere erano innumerevoli e la redazione non poteva andare incontro a tutti quelli che volevano apparire, attraverso i giornali, sullo scenario politico. L’intervista era comunque subordinata alla scelta della redazione. Con un sorrisetto furbo buttò lì che avrebbe voluto, se i suoi “avessero accettato”, che “un giornalista serbo” parlasse con lui. I capi del suo Stato Maggiore accettarono la proposta di fare l’intervista. Mi diede subito una fotografia ingiallita, datata all'epoca del suo servizio militare, e richiese esplicitamente che proprio quella uscisse col testo. Nella redazione si scherzava sulla faccenda, ma lo facemmo proprio per scherzo. La foto era ridicola e lui arrogante come un pagliaccio. Il mio vice, un serbo, fece l’intervista. Così Radovan Karadžić presentò ufficialmente per la prima volta il suo partito criminal-guerrigliero, la Srpska Demokratska Stranka (Partito democratico serbo). I rappresentanti degli altri due partiti nazionalisti già costituiti, l'HDZ croato (Hrvatska demokratska zajednica, Unione democratica croata), e l'SDA musulmano (Stranka demokratske akcije, Partito di azione democratica), salutarono con entusiasmo la costituzione dell'SDS. Facevano parte della coalizione, come ne fanno parte anche oggi. Izetbegović aveva dichiarato allora che la fondazione dell'SDS rappresentava “una giornata storica per la Bosnia”.

Purtroppo, lo è stata davvero. Nel discorso all'assemblea costituente [del partito], Karadzić attaccò vigorosamente i media di Sarajevo che secondo lui erano contro i serbi. Tra i più noti di questi affari sporchi elencò “Nedjelja”, il giornale che gli aveva dato lo spazio per presentare la piattaforma!

Lo incontrai più tardi, appena prima dell’inizio della guerra, in occasione di una tribuna politica. Lui, con le braccia aperte, ridendo come uno zoticone qualsiasi, disse: “So che siete arrabbiati, però lei è un grande redattore e conosce la politica, ho dovuto attaccare qualcuno e con voi era più facile, essendo intelligenti e tolleranti. Non la prenderete male, vero?” Alzai le spalle come ogni successiva vittima ingenua, e lui, ridacchiando maliziosamente, se ne andò nella storia.

Facendo i conti, alla fine mi spiace per la notte insonne quando “la CNN aveva confermato la notizia”. Mi spiace soprattutto per quella mattina quando ho sentito che “l’arresto di Karadžić è la più importante pietra angolare nel cammino della Serbia verso l’Europa”. Mi sono ricordato della famosa domanda di una nota giornalista croata a Carla del Ponte: “Prova a volte pietà per i familiari degli accusati che deperiscono nell’unità penitenziaria all’Aja?” E della risposta brillante dell’ex Procuratore: “Provo in continuazione pietà per i familiari delle persone uccise da questi che si trovano all’Aja…”

Il mondo è capovolto. La verità non esiste più. Esistono solo interessi per mostrare qualcosa in un modo o nell’altro. Questa volta la verità è la seguente: il soldato Radovan è stato salvato. Gli altri sono morti. Il male dei Balcani non sarà sradicato con un gesto politico come questo. Quelli che hanno creato Karadžić, quelli che l’hanno protetto durante tutti questi anni, nonché quelli che non rinunciano al progetto al quale lui ha partecipato, non dovrebbero essere amnistiati grazie alla “realpolitik”. Altrimenti tutto ritornerà come un boomerang.


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