Guca - foto di Severine Petit

Lo scorso fine settimana, nel sud della Serbia, il più grande festival di bande di ottoni dei Balcani. Musica, tanta birra, danze .... e nazionalismo. In un reportage la Serbia profonda e le sue contraddizioni. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

07/09/2006 -  Anonymous User

Marco Zecchinato*

Guca, il più grande festival di bande di ottoni dei Balcani (o d'Europa), si è concluso ieri dopo quattro folli giornate di musica, sfilate, danze ed eccessi. Si calcola che circa 400.000 persone nell'ultima settimana abbiano visitato questo remoto villaggio tra le colline.

Il premier Vojislav Kostunica ha inaugurato la cerimonia conclusiva del festival con queste parole: "Possano le trombe serbe suonare per la Serbia e per Guca. Guca è il miglior esempio di cosa sia la Serbia oggi, della sua apertura, fiducia in se stessa, la sua ospitalità, il suo entusiasmo e la sua musica".

La mia impressione è stata piuttosto che a Guca si siano ritrovati tre popoli diversi.

Quello dei visitatori stranieri, che hanno lasciato i loro uffici delle ambasciate e delle organizzazioni internazionali e da Belgrado, Sarajevo, Pristina sono andati ad annusare la Serbia tradizionale, primitiva, "esotica".

Quello dei Serbi arrivati da ogni parte del Paese e della Republika Srpska, in maggioranza maschi, giovani, orgogliosi di ostentare le magliette con la scritta "Serbia" o con l'effige dei cetnici di oggi e di ieri. Può sembrare ormai un luogo comune quello che vede presente a Guca la percentuale meno colta, più rurale e nazionalista della popolazione. Ma ad osservare dalle facce, dagli slogan e dai comportamenti non era del tutto innaturale pensarlo.

Poi c'erano i Rom, protagonisti della festa, eppure, manco a dirlo, allo stesso tempo esclusi. La maggior parte delle bande erano formate da Rom (anche se non mancavano gruppi da tutta la Serbia, da Slovenia, Grecia, Polonia, Germania e perfino Israele), ma non ce n'era uno seduto sui tavoli a bere una birra o godersi lo spettacolo. Piuttosto, intere famiglie avevano in mano il "racket" dei bagni chimici, dove venivano richiesti 30 dinari (e considerato il consumo di birra deve essere stato un affare...) in cambio della carta igienica.

Per quattro giorni questi tre diversi miscugli si sono incrociati, osservati, studiati, magari ballando e cantando insieme ma mantenendo in un certo senso le distanze. Un amico italiano, osservando l'impressionante numero di magliette con l'effige di Seselj, Mladic e vari "rambo" serbi, mi ha detto di capire come sia possibile che i principali criminali di guerra siano ancora latitanti dopo anni di ricerche. Ovunque copricapi cetnici, t-shirts inneggianti al kossovo, croci ed immagini ortodosse, bandiere, simboli e le tre dita alzate. Certo, non e' semplice prendere sul serio un nazionalismo che stampa i faccioni delle sue icone sulle bandane, sui calzetti, perfino sulle mutande. In un momento nel quale, dopo il Montenegro, anche il Kossovo potrebbe staccarsi dalla Serbia, mentre fondi e accordi per l'accesso all'Unione Europea rimangono bloccati per la mancata consegna del generale Mladic, quelle bancarelle cetno-kitch sembravano, piu' che rivolti a stranieri in cerca di ricordini, costituire una valvola di sfogo per un sentimento di rivalsa spesso strisciante, certo presente nel Paese. Come ogni anno non sono mancati risse ed episodi di violenza (un cameriere e' stato accoltellato e ucciso), imputabili comunque piu' all'alcool che alle ideologie.

Molti amici serbi che studiano a Belgrado mi guardavano con un misto di incredulità e snobismo quando li ho invitati ad accompagnarmi al festival: "Un covo di nazionalisti", "roba da contadini", "caricature per turisti annoiati", le loro argomentazioni.

Eppure l'atmosfera festosa era coinvolgente, la maggior parte delle persone sorridente, conscia che, come in un gran carnevale, per un weekend era lecito esagerare, tirare l'alba danzando, bevendo e assaggiando l'ottimo maiale cucinato allo spiedo (il cui prezzo aumentava di ora in ora). Un'esperienza da provare insomma anche se, mi perdoni il premier, mi auguro che "il miglior esempio di cosa è la Serbia oggi" si possa trovare (anche) lontano da qui.

* Marco Zecchinato lavora per un'organizzazione internazionale a Belgrado

Un video dal festival di Guca:
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