Cinema Komunisto, la locandina del film

La storia di un Paese morto ancora giovane, raccontata attraverso la sua immagine ufficiale al cinema. È “Cinema Komunisto”, il bel documentario della belgradese Mila Turajlić vincitore del 22° Trieste Film Festival e presentato nei giorni scorsi al Biografilm di Bologna fuori concorso

19/07/2011 -  Nicola Falcinella

Cinema di regime

"Cinema Komunisto" è un affresco originale e per certi versi inedito, in alcuni personaggi e nel modo complessivo di trattarlo, sul cinema “di regime” della Jugoslavia. Ovvero come Josip Broz Tito utilizzò, sull’esempio sovietico, la settima arte come strumento di propaganda. Un film che a qualcuno potrà sembrare parziale o acritico, ma è invece un punto di vista molto preciso per un racconto arioso, epico, sentimentale, dove aleggia un’aria di nostalgia ma non di accondiscendenza.

Mila Turajlić, trentunenne regista al primo film (ma ha lavorato a Londra su diversi set, da “Apocalipto” di Mel Gibson a “Fade to Black” di Oliver Parker, girato a Belgrado), ha impiegato quattro anni per documentarsi, raccogliere materiali e interviste e montare 100 minuti di film che non perdono mai ritmo e interesse.

Se un “difetto” vi si può trovare è lo scorrere velocemente le cose e non approfondire abbastanza. E in questo senso è molto pertinente e utile il suggerimento che le ha dato uno spettatore d’eccezione quale Danis Tanović: sviluppare il film in una serie per la tv dove trattare più a fondo i diversi temi.

Frammenti

La Turajlić ha utilizzato frammenti di 56 lungometraggi, da “Slavica” (1947) di Vjekoslav Afrić a “Lepa sela lepo gore” (1996) di Srdjan Dragojević, per raccontare epopea e dissoluzione di un Paese “che non c’è più se non nei film” come dice l’introduzione del documentario, con la scritta “Jugoslavia 1945 – 1991” come su una lapide funeraria.

Uno dei protagonisti di “Cinema Komunisto” è Aleksandar Leka Konstantinović, per 32 anni proiezionista di fiducia di Tito, che parla per la prima volta pubblicamente del proprio lavoro. Racconta del maresciallo che guardava un film tutte le sere, film di tutti i generi, preferendo i western e, tra gli attori, John Wayne e Kirk Douglas. Il tecnico ha tenuto un diario con tutte le proiezioni: in totale bel 8801, circa 300 l’anno in media (e una punta a 365) e 16 nel 1980 quando Tito morì. Così Konstantinović accompagna la documentarista nella vecchia abitazione del presidente a Belgrado, bombardata dalla Nato nel 1999, ancora con la sala proiezioni distrutta.

Che si vede stasera?

Ogni giorno alle 18 chiedeva “Che si vede stasera?”, e poi si sedeva. Se invece c’erano ospiti a cena si ritardava il film. Di solito Tito si fidava di ciò che il proiezionista recuperava (a volte facendo peripezie tra le strade della città andando all’ultimo minuto a recuperare le pellicole in programmazione nelle sale), ma a volte quando non gli piaceva un film se la prendeva con lui e doveva intervenire la moglie a difendere Konstantinović: “Lui è solo il proiezionista, non il regista”.

“Una volta gli proiettai un film che avevo già mostrato – ricorda – e Tito esclamò: l’abbiamo già visto cinque anni fa. Andai a controllare nei miei diari ed era vero”.

Il maresciallo amava trovarsi in mezzo alle star americane, che si fosse a Belgrado, al festival di Pola o sull’isola di Brioni dove dava i ricevimenti e ospitava gli attori. Tra i tanti, in prima fila Liz Taylor che accompagnava il marito Richard Burton, chiamato a interpretare il leader comunista in “Sutjeska – La quinta offensiva” di Stipe Delić. E ancora Yul Brinner e Orson Welles (protagonisti nel ’68 del kolossal “La battaglia della Neretva” di Veljko Bulajić), Alfred Hitchcock, Alain Delon, Kirk Douglas, Sophia Loren (ospite due volte a Brioni) e Carlo Ponti.

La battaglia della Neretva

L’altro personaggio principale del documentario è Veljko Bulajić, regista di alcuni dei kolossal prodotti dalla Jugoslavia, da “Kozara” a “Bitka na Neretvi” a “Visoki napon”. “Si sono fatti anche film che dicevano la verità, che criticavano le cose come erano. Cose che oggi non si fanno più” afferma il cineasta, che ricorda di aver ricevuto la notizia della morte di Tito mentre era giurato al Festival di Cannes.

“Tito teneva molto a “Bitka na Neretvi” – ricostruisce il regista – e ci diede molti mezzi. Fu una lavorazione difficile, durò 16 mesi, con riprese in mezzo alla neve. Il film piacque a Pablo Picasso che ne fece il manifesto, il suo secondo per il cinema dopo quello per Bunuel”. Dopo il successo di “Bitka”, Tito acconsentì a Delić di fare “Sutjeska” e per la prima volta diede il permesso a essere rappresentato. Il problema fu trovare l’attore che doveva interpretarlo, finché scelse Burton e lo incontrò più volte per decidere il tipo di recitazione. Il maresciallo, che nella battaglia era stato ferito, controllò con meticolosità la sceneggiatura e andò in visita sul set.

Avala

Il documentario segue la costruzione e la crescita di Avala, la Cinecittà belgradese, edificata per ospitare le troupe straniere che portavano valuta pregiata in Jugoslavia: tra i film realizzati “The Long Ship” di Jack Cardiff o “La strada lunga un anno” di Giuseppe De Santis. Altri racconti sono quelli di Velimir Bata Živojinović, attore simbolo del cinema jugoslavo (“Valter brani Sarajevo” e decine di altri titoli), e Dan Tana, produttore che negli anni ’50 lasciò la Jugoslavia per andare a lavorare a Hollywood.

“Cinema Komunisto” si chiude con la dissoluzione della Jugoslavia: c’è il Festival di Pola del ’91 sospeso per l’inizio della guerra e ci sono gli stabilimenti di Avala semi-abbandonati. E soprattutto il muro coperto di immagini delle star all’Hotel Metropol di Belgrado, uno dei luoghi di passaggio obbligato dell’epoca d’oro, che viene smontato. Simbolo chiaro di un’epoca che non c’è più.


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