Una donna armena ritratta nel villaggio di Artvin, allora incluso nell'impero russo, oggi in Turchia nord-orientale, al confine con la Georgia (collezione Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii, Congress Library), 1909-1915

Un pioniere della fotografia e un patrimonio ritrovato. L'impero russo a colori, com'era un secolo fa, torna visibile al pubblico grazie alla tecnologia digitale. Il Caucaso come non lo avevamo mai visto. Ritratto da un maestro dell'immagine, in missione speciale per l'ultimo Romanoff. Nostra fotogallery

02/11/2010 -  Laura Delsere

Il Caucaso senza Kadyrov e alla vigilia del genocidio degli armeni, prima di Stalin ma già attraversato dalle ferrovie e dal petrolio. Soprattutto il Caucaso a colori, labirinto di etnie e paradiso naturale parzialmente perduto, in foto eccezionali di un secolo fa. È diventata visibile e disponibile in digitale (anche on line) la collezione di istantanee scattate in tutto l’impero russo, tra 1909 e 1915, da un pioniere dell'obiettivo in missione per lo zar.

Fu Nicola II infatti a dare fondi e il suo sostegno personale al progetto di Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii (1863-1944),  fotoreporter ante litteram, che in quegli anni ritrasse con la nuova tecnica l’impero fino ai confini meno accessibili. Caucaso compreso.

Cercando il colore originale

L’ambizioso progetto di Prokudin-Gorskii finora era rimasto -non sulla carta- ma su lastre di vetro. Usò infatti un apparecchio speciale, di sua invenzione, per scattare tre immagini in bianco e nero in rapida successione, intervenendo poi con filtri rossi, verdi e blu, ricombinati e sapientemente virati, fino ad avvicinarsi quanto più possibile alle tinte reali.

Nulla di improvvisato dunque. Prokudin-Gorskii, originario di Murom, nella provincia di Vladimir, all’impresa si era preparato da sempre. Aveva studiato chimica e dedicato la sua vita ai progressi della fotografia. Si era formato nei laboratori migliori, specializzandosi a San Pietroburgo, poi a Berlino e Parigi.

Impiegò diversi anni per documentare il grande impero di terra, al meglio delle possibilità tecniche allora a disposizione. Nicola II lo dotò anche di una speciale camera oscura da viaggio. Oltre all’equipaggiamento non comune, dallo zar Prokudin-Gorskii ottenne due autorizzazioni di sapore feudale: l’accesso a zone speciali e un lasciapassare spendibile presso i funzionari della burocrazia russa, in ogni punto dell’impero.

Un progetto ambizioso, pochi anni prima della Rivoluzione

I suoi scatti fermano la secolare vita quotidiana russa ad un passo dalla Prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione d’Ottobre. Eventi che avrebbero travolto anche l'esistenza di Prokudin-Gorskii. Il fotografo fuggì nel 1918 dal Paese che aveva appena attraversato per intero, rifugiandosi prima in Norvegia poi in Gran Bretagna, per approdare infine –come molti suoi connazionali all’epoca, specie russi bianchi- a Parigi, dove morì nel 1944.

Lo zar e la sua famiglia nel frattempo erano stati assassinati e l’impero che Prokudin-Gorskii aveva così dettagliatamente documentato era avviato a mutamenti irreversibili.

La collezione acquistata dalla Biblioteca del Congresso Usa

All’indomani della morte del primo fotoritrattista della Russia affacciata sul Novecento, nel 1948 il figlio vendette la collezione, i negativi e tutta l’attrezzatura per sviluppare le immagini -prima seppiate, poi a colori- alla Biblioteca del Congresso di Washington.

In occasione della prima mostra al Congresso, un mese fa, le lastre di vetro sono state scannerizzate e con un processo innovativo, la digicromatografia, ne sono state ricavate immagini dai colori brillanti, esempio fedele di quelle storiche ottenute da Prokudin-Gorskii.

Con la tecnologia digitale si sono potuti riprodurre a stampa questi colori così complessi. Rendendo per la prima volta le immagini visibili al pubblico.

Oltre 2.600 scatti da un mondo scomparso

Oggi la Collezione Prokudin-Gorskii conta 2.607 fotografie. Comprende ritratti della popolazione, che all’epoca dovevano evidenziare la diversità etnica nell’impero, architetture religiose, siti storici, immagini agricole e dei primi stabilimenti industriali, grandi opere pubbliche in costruzione, panorami di fiumi e reti di trasporto, soprattutto ferrovie, vedute di città in espansione e villaggi remoti.

Insomma un censimento per immagini dello stato delle anime, dell’economia e dei luoghi al tempo dell’ultimo zar.

L’effetto è pura emozione. Dalle lastre emerge –in particolare per l’area di cui Osservatorio si occupa- un Caucaso arcaico, immerso in un ambiente naturale quanto mai preservato ai nostri occhi -con città ancora in parte riconoscibili, come la capitale georgiana Tbilisi- e in una storia che di lì a poco avrebbe subito le accelerazioni violente del ‘secolo breve’.  

Foto di gruppo della Russia negli ultimi anni di Tolstoj

Il fotoreportage è anche un grande ritratto psicologico dei senza storia, della popolazione dei villaggi, dove la servitù della gleba era finita cinquant'anni prima, così come dei satrapi locali e dei soldati. È documento della diffusione del lavoro minorile. E infine visione della terra con gli occhi dei più fragili, di donne e bambini che la attraversavano, di minoranze e analfabeti, di giovani segnati da fatiche precoci.

È una lente mai così nitida sull’impero russo qual era stato. Dalle arretratezze alla tardiva industrializzazione, fino ai suoi tratti più profondi, con gli umili, giudici eloquenti dei potenti come in una pagina del contemporaneo Tolstoj (che morì nell'ottobre 1910). 

A differenza del romanziere, Prokudin-Gorskii è un tecnico ed un catalogatore formidabile, dà l'idea di voler ritrarre questi sudditi soprattutto come risorsa economica, o per grandi tipologie, come sagome nel suo inventario di tradizioni ed etnie. Ma loro guardano in macchina, gli consegnano interrogativi imprevisti. E talvolta, come avevano ragione di temere i contadini, anche l'anima. 


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