Una scena del film "Come ho trascorso la fine del mondo"

Li accomunano le esperienze all'estero e l'aver raccontato il passato recente della Romania. Sono i nuovi registi del cinema romeno che hanno dato lustro ad un paese poco conosciuto. In rassegna al MART di Rovereto dal 28 novembre all'1 dicembre

27/11/2008 -  Nicola Falcinella

Questo articolo esce in contemporanea sul Corriere del Trentino, edizione locale del Corriere della Sera

Il Festival di Cannes, che dal 2002 ha cominciato a presentarli al mondo e nel 2007 li ha consacrati, aspetta con ansia i loro nuovi film. Sono i registi romeni della nuova generazione. Una decina in tutto, per ora. Il movimento cinematografico più interessante e nuovo in Europa.

I loro nomi - Cristi Puiu, Catalin Mitulescu, Cristian Mungiu o Corneliu Porumboiu - dicono poco allo spettatore italiano perché solo le pellicole degli ultimi due, rispettivamente "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni" (Palma d'oro 2007) e "A est di Bucarest" sono stati distribuiti in Italia. Questo pugno di talenti, che non appartengono a nessun movimento e sono accomunati solo da ragioni anagrafiche (nati tra metà anni '60 e metà anni '70), dall'aver avuto esperienze all'estero e dall'aver raccontato il passato recente del loro paese, in particolare la "rivoluzione" dell'89 che rovesciò Ceaucescu, hanno contribuito a dare lustro a una nazione poco conosciuta e della quale si parla quasi solo in occasione di eventi negativi.

Il cinema romeno non nasce oggi, bensì viene da lontano: il primo lungometraggio di cui si ha notizia al mondo, "Indipendenta Romaniei" di Grigore Brezeanu, fu girato da un attore di Bucarest anche se poi l'opera è andata perduta. Sono venuti poi registi che hanno segnato gli anni '60, '70 e '80 cercando di difendere spazi di libertà creativa dentro la dittatura: Lucian Pintilie, Liviu Ciulei, Mircea Veroiu, Stere Gulea, Mircea Saucan o Mircea Daneliuc. Fino al Radu Mihaileanu, che lavora in Francia, di "Train de vie", "Ricchezza nazionale" e "Vai e vivrai".

Intorno ai lungometraggi recenti dei nuovi autori è nato un interesse negli ultimi tempi con rassegne a Roma e Pisa, il focus Romania all'interno del ciclo "Le parole dello schermo" che si conclude a fine mese a Bologna e la prossima rassegna di Rovereto dal titolo "Terminus Paradis. Il meglio del cinema rumeno", organizzato da Nuovo cineforum Rovereto in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso, MART e ARTA-A Associazione dei Romeni del Trentino Alto-Adige (28 novembre - 1 dicembre).

Proprio a Bologna, accanto alla proiezione di film del passato e del presente, si è svolta di recente una tavola rotonda alla presenza di cineasti romeni e alcuni produttori e registi italiani che hanno lavorato in Romania. Tra i primi Stere Gulea, Catalin Mitulescu, l'attrice Dorotheea Petre, lo sceneggiatore Tudor Voican (nel film "California Dreamin'" di Cristian Nemescu) e il critico Marian Tutui. Tra i secondi, Carmine Amoroso che ha girato "Cover Boy", storia di un ragazzo immigrato in Italia per inseguire il sogno di lavorare nella moda, o Francesco Pamphili, che ha prodotto "Mar Nero" di Federico Bondi sul rapporto tra un'anziana fiorentina (Ilaria Occhini, attrice premiata al Festival di Locarno 2008) e la sua badante romena (la Petre, protagonista anche di "Come ho trascorso la fine del mondo" di Mitulescu) che supera le diffidenze e si apre a un'amicizia speciale.

Marian Tutui ha parlato degli aspetti produttivi e della storia recente del cinema romeno. "Dopo l'89 - ha raccontato - si ebbe un tracollo nella produzione. La moneta, il leu, si svalutava in continuazione, perdeva valore durante la lavorazione dei film tanto che il budget alla fine non era più sufficiente. Però è stato creato un 'Centro nazionale di cinematografia' sul modello francese e un sistema di finanziamento con fondi provenienti dalle tasse sulle televisioni. Inoltre, negli anni '90 lo studio Castel ha prodotto molti lungometraggi stranieri e questo ha tenuto in piedi l'industria e permesso ai tecnici di lavorare".

Il problema maggiore ora, per Tutui, è il mercato romeno: esistono meno di 40 sale in tutto il paese e programmano per lo più pellicole straniere, i film nazionali raggiungono quando va bene poche decine di migliaia di spettatori. "Il minimalismo che caratterizza i film dei nostri nuovi registi - ha concluso Tutui - è conseguenza della povertà di mezzi. Da una parte si accetta una regola estetica, dall'altra si tiene conto di una realtà contingente. Il problema è come proseguire. Forse si sono esaurite le storie, forse si esaurisce l'interesse verso la Romania perché non sarà più esotica. In questo momento non sappiamo in che direzione andare".

"Non so cosa potrà fare in futuro il cinema romeno - ha detto l'esperto Gulea, che ha girato un film fondamentale come "I Moromete" e ha insegnato all'Università Carangiale, dove sono passati quasi tutti i giovani cineasti, tra i quali Mungiu - La nuova generazione è esplosa in pochi anni con prodotti d'alto livello e molto polemici rispetto al cinema che si faceva prima. Polemici a livello politico e sociale ma anche a livello espressivo: sono stati innovatori sul piano linguistico. Sotto il comunismo c'erano anche registi capaci di innovare ma il cinema aveva per lo più un carattere polveroso e datato, non ha avuto movimenti e, a differenza di altri paesi dell'est come la Jugoslavia o la Cecoslovacchia, non ha avuto un rinnovamento".

"Nessuno in Europa - ha aggiunto Gulea - si aspettava questo fenomeno in così breve tempo. Perché uscisse una nuova generazione sono passati più di 10 anni dal 1989. Il film che ha cambiato tutto è stato "Marfa sii bani - Stuff and Dough" di Puiu nel 2001, che riuscì ad arrivare al Festival di Cannes.

C'è da chiedersi perché è servito tutto questo tempo. I nati tra la fine dei '60 e i primi '70 si sono potuti alfabetizzare con un linguaggio nuovo. Molti hanno avuto esperienze all'estero e anche un impegno sociale del quale hanno fatto tesoro quando sono arrivati al cinema. Il problema ora è la continuità. In Romania sono poche decine di migliaia gli spettatori per un film, che esce di solito in 3-4 copie e non si può contare sugli incassi per coprire le spese. Sono dati che fan preoccupare. Ed è paradossale che questi autori siano adulati all'estero e quasi sconosciuti in patria".

Catalin Mitulescu, all'attivo solo "Come ho trascorso la fine del mondo" che aprirà la rassegna di Rovereto il prossimo 28 novembre nella Sala Conferenze del MART, ha confermato questo elemento: "in fondo siamo solo una decina, abbiamo una bella immagine all'estero ma non nel nostro paese". "E' Cannes che ha fatto tutto - ha aggiunto il regista - Ci ha anche fatto conoscere tra di noi, perché io e Puiu ci siamo conosciuti là! Non posso pensare di fare soldi in Romania, in TV il mio film ha avuto quasi 800.000 spettatori ed è già un successo. Dal punto di vista produttivo fare il secondo film non è difficile e c'è Canes che ci aspetta. Ma al di là di Cannes, dobbiamo concentrarci sulle nostre storie e impegnarci a realizzare bei film. Questi nostri film hanno rappresentato delle 'confessioni' per tutta la Romania, sono state storie importanti per tutti. Ma ora che abbiamo vinto dei premi dobbiamo creare un pubblico. E' questa la provocazione, perché da noi 20.000 spettatori sono un grande traguardo".

Voican è stato invece cosceneggiatore di Cristian Nemescu, il regista morto a soli 26 anni nel 2006 in un incidente stradale quando stava montando "California Dreamin", film che verrà proiettato nella seconda serata della rassegna roveretana sabato 29 novembre. Il film lasciato com'era ha poi vinto la sezione "Un certain regard" di Cannes nel 2007, seguendo nel palmares "La morte del signor Lazarescu" di Puiu film che chiuderà la rassegna trentina lunedì 1° dicembre.

"Per alcuni anni - ha affermato Voican - è stato impossibile girare dei lungometraggi, così appena abbiamo avuto la possibilità ci siamo sentiti tutti impegnati a fare qualcosa di importante. Lavorando a 'California' avevamo ben chiara la percezione di avere una chance eccezionale per raccontare una nostra storia che non potevamo perdere a nessun costo. Non avevamo nulla da perdere, potevamo essere personali, folli, inattesi. Avevamo libertà, potevamo fare ciò che ci passava per la mente e ci siamo impegnati al massimo. Per arrivare sul mercato italiano sarebbe ora importante che anche Venezia prendesse i nostri film".

"Ciò che conta oggi - ha concluso Mitulescu - è trovare belle storie, avere belle sceneggiature. In Romania un po' di soldi li troviamo ma non bastano e servono coproduzioni internazionali. La sensazione è che trovare soldi all'estero, soprattutto in Italia, per un regista romeno è impossibile".


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