Immagine tratta dal film "Il ponte dei fiori"

Il documentario "Podul de Flori", del regista romeno Tomas Ciulei, descrive la vita di una famiglia moldava che deve riorganizzarsi a seguito della migrazione della madre in Italia

21/03/2014 -  Cristina Bezzi

Il film documentario "Podul de Flori (Il ponte dei fiori)" esce nel 2008 e vince diversi premi tra cui quello di miglior film documentario al festival del film dell'Europa centrale e dell'Est “Goeast”. Ne è autore Tomas Ciulei, figlio del famoso regista romeno Liviu Ciulei e già conosciuto nel genere documentario con film che hanno avuto successo a livello internazionale come “Grațian” (1995) e “Asta e” (2001).

Il regista sceglie un titolo ambiguo per il suo film documentario, richiamando un evento storico che risale al 1990, quando per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, la frontiera tra Romania e l'allora Repubblica Socialista Sovietica Moldava, è stata aperta a milioni di cittadini romeni che hanno attraversato senza documenti il fiume Prut per ricongiungersi ai loro parenti dopo quasi 50 anni di separazione. In quell'occasione la gente da entrambe le rive aveva lanciato in modo simbolico dei fiori nel fiume per festeggiare l'evento che aveva permesso di oltrepassare i confini nazionali e di riallacciare i rapporti con i propri cari.

Il documentario non si occupa però degli eventi politici di allora ma racconta la storia di un nuovo confine, quello tra la Repubblica di Moldavia e l'Europa che vede nuovamente questo popolo affrontare la separazione dai propri affetti. Milioni di cittadini moldavi sono infatti emigrati in Europa per lavoro e spesso a causa dei problemi con i documenti non possono ricongiungersi ai propri cari se non dopo diversi anni.

La migrazione delle madri

Il regista affronta una tematica attuale che riguarda la vita di numerose famiglie della Repubblica di Moldavia che si trovano a riorganizzare la loro vita famigliare in seguito alla migrazione della madre. Il crollo del sistema socialista e la femminizzazione del flusso migratorio degli ultimi decenni hanno provocato anche una ridefinizione dei ruoli di genere all'interno di queste famiglie trasnazionali, dove non di rado la madre diventa la principale procacciatrice di reddito e il tradizionale ruolo domestico viene assunto da altri membri della famiglia.

La locandina del film "Il ponte dei fiori"

All'interno della mutata configurazione familiare, donne e uomini sono chiamati entrambi ad un faticoso processo di rinegoziazione dei loro ruoli e, sebbene spesso siano i nonni o altre figure femminili ad assumersi i compiti prima svolti dalla madre, la figura del padre non è necessariamente fragile, assente o marginale nell'accudimento dei figli e dei compiti domestici.

Attraverso questo documentario, Ciulei racconta una delle tante storie delle numerose famiglie che sono state divise dalla migrazione, mettendo in luce le difficoltà nella vita di ogni giorno di chi resta e la sofferta tensione provocata dalla lontananza dell'altro genitore.

La famiglia Ahrir

Il film racconta la storia della famiglia Ahrir, che vive in un villaggio rurale della Moldavia. Il padre Costica alleva i suoi tre figli adolescenti e lavora la campagna, mentre la madre è partita per lavorare in Italia tre anni e mezzo prima e non può tornare a casa a causa dei problemi con i documenti.

Nella scena iniziale il padre sta cospargendo con un unguento verdastro il corpo del figlio ammalato di varicella. Costica appare amorevole, ma allo stesso tempo chi guarda ha come l'impressione che stia recitando un ruolo che non è il suo e inizia a percepire il sapore di un'assenza dolorosa, quella della madre.

E' questo il filo rosso che accompagna tutto il documentario, l'assenza della madre, un'assenza su cui i personaggi difficilmente si fermano a riflettere esplicitamente ma che emerge attraverso i silenzi e il non detto dei figli e l'atteggiamento iper-organizzativo e ironico del padre. Il risultato di questa impossibilità di comunicare verbalmente la sofferenza rende l'assenza della madre ancora più evidente e pregnante per chi guarda.

Il tono formale utilizzato dai figli nelle lettere che scrivono alla madre, e il loro eccessivo ricalcare come tutto stia procedendo per il meglio con la scuola e le attività dei campi, da una parte spiazza e dall'altra mostra attraverso il silenzio emotivo la pesantezza di quella mancanza.

Sorprende a questo proposito la scena dell'unica comunicazione telefonica con la madre in cui ci si aspetterebbe uno scongelamento emotivo e uno scioglimento della tensione grazie al contatto verbale. Ma di nuovo nessuno si permette di dire quanto pesi la sua mancanza, come se soltanto nominarla potesse infrangere in qualche modo il patto di solidarietà e il delicato equilibrio tra i membri della famiglia, minacciandone in qualche modo la sopravvivenza stessa. La cornetta passa in rassegna a tutti i figli, che rispondono alla voce quasi fredda e interrogatoria della madre che domanda ad ognuno come stia andando con le diverse materie scolastiche. La breve telefonata si conclude con un dialogo tra la donna e il marito relativamente ai problemi con i documenti di soggiorno in Italia e alla sua impossibilità di tornare a casa. Il brusco riaggancio evidenzia ancora di più la distanza e la difficoltà nel colmarla e la cesura tra due mondi, il villaggio moldavo dove vive la famiglia e l'Italia dove lavora la madre.

La continuità delle cose

Quest'ultimo è un luogo che però può essere solo immaginato per chi non è mai partito, e da cui arrivano pacchetti colmi di doni che hanno un valore simbolico centrale perché hanno il compito di mantenere, attraverso le cose, la continuità dei legami familiari e il collegamento tra i due mondi. Tuttavia, le cose materiali non cancellano la lontananza e la difficoltà che comporta il vivere separati, e a ricordarlo è proprio il tono dell'ironico Costica che nel ricevere un pezzo di formaggio grana all'interno del pacco, lo definisce, mascherando una profonda amarezza, come il formaggio che fa vivere fino a 150 anni.

L'entusiasmo con cui tutti reagiscono all'arrivo del pacchetto della madre dall'Italia può essere interpretato come una metafora del titolo stesso del film: “Il ponte dei fiori”, un ponte che collega la famiglia Ahrin tra Italia e Moldavia, attraverso cui viaggiano pacchetti, rimesse, affetti e permette alla famiglia di rimanere in contatto e mantenere i suoi legami, ma allo stesso tempo costringe le persone care a vivere distanti, dislocate tra due mondi, in attesa che un giorno, ottenuti i documenti, la madre possa finalmente ritornare a casa.

Le rimesse della madre sono destinate in primo luogo per pagare un debito contratto dalla famiglia, per sostenere lo studio dei figli e per la ristrutturazione della casa. Difficile percepire come lo stile di vita della famiglia Ahrin si sia trasformato in seguito alla partenza della madre, in quanto ancora scandito dal ritmo delle stagioni, dal duro lavoro nei campi e dall'impegno scolastico. Quello che invece appare evidente è la capacità del padre di assumersi un doppio ruolo riuscendo a passare dal lavoro nei campi, alla cucina, alla cura della salute e dell'educazione dei figli e preservando allo stesso tempo l'unità e i momenti di intimità famigliare con un tono da scherzoso caporale organizzatore della sua truppa. Attraverso la figura di Costica, Ciulei riesce a mostrare una faccia diversa degli uomini all'interno delle famiglie trasnazionali e a superare lo stereotipo dell'uomo assente o alcolizzato.


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