Operai macedoni - AP

Una nuova proposta di legge. Obiettivo? Liberalizzare il mercato del lavoro. A detta del governo macedone per avvicinarsi il più possibile alla legislazione dell'UE. Ma sindacati e lavoratori non ci stanno.

14/03/2005 -  Risto Karajkov Skopje

Tutto è iniziato in gennaio quando il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e l'Unione dei sindacati della Macedonia (SSM) hanno annunciato l'inizio di una contrattazione sulla nuova Legge sul lavoro, che dovrebbe essere varata durante il 2005 come parte del programma di armonizzazione con la legislazione dell'UE.

Alcune settimane più tardi l'SSM ha chiesto le dimissioni del ministro che ha annunciato il progetto, Stevce Jakimovski, per via di posizioni espresse durante un pranzo d'affari con i rappresentanti dell'Unione delle Camere di commercio (SSK), anch'essa parte in causa nelle negoziazioni. Il ministro avrebbe affermato che i "lavoratori non sono mica orsi e non possono aspettarsi lo stesso tipo di protezione riservata a questi ultimi" (gli orsi in Macedonia sono una specie protetta, ndr). La dichiarazione è stata rilasciata nell'ambito delle trattative per il ridimensionamento delle protezioni sociali a favore dei lavoratori in base ad una proposta formulata dal governo, dalla SSK in qualità di rappresentante dei datori di lavoro, dal FMI e dalla Banca mondiale.

"Se c'è qualcuno protetto come gli orsi questi sono proprio i ministri", la risposta arrivata dal sindacato all'infelice battuta del titolare del dicastero del lavoro.

Il ministro si è scusato ed ha mantenuto la sua poltrona. Ha affermato che la sua dichiarazione è stata decontestualizzata. Particolari scuse sono andate ai lavoratori ai quali ha promesso una legge che salvaguarderà gli interessi di tutti. Un po' più tardi, dopo diversi incontri tra le parti sociali, il governo, i sindacati e i datori di lavoro - e dopo una serie di aspri scambi tra gli ultimi due - il governo ha espresso l'idea di un partnenariato sociale e ha continuato a lavorare alla proposta di legge in silenzio, lontano dai tavoli negoziali, senza i partiti, e senza permettere ad alcuno di mettere il naso nel suo scribacchiare. Perché combattere in pubblico, animare un dibattito e rischiare di perdere punti politici, quando tutto il lavoro può essere fatto più velocemente e più tranquillamente da soli?

La prima grossa controversia che sembra poter rappresentare l'inizio di un periodo di forti contrasti sociali è stata causata dalla proposta della SSK sulla riduzione del periodo di maternità dagli attuali 9 mesi a soli 3. Secondo l'organo rappresentativo degli imprenditori in questo modo si ridurrebbero gli abusi, non si sperpererebbe denaro e si aumenterebbe la produttività. Avvicinandosi all'UE.

La proposta ha causato una diffusa condanna pubblica: dall'unione degli attori, alle associazioni femminili, le ONG, i centri di ricerca e la Chiesa ortodossa, e poi i medici e in generale tutta l'opinione pubblica. Tutte le loro argomentazioni possono essere riassunte in poche battute: una proposta del genere è dal punto di vista medico rischioso per i neonati, irresponsabile in una situazione di crescita negativa della popolazione (il trend negli ultimi anni è sttao di un -4% su base annua), e che non ha niente a che vedere con gli standard sociali dell'UE.

È vero che l'attuale congedo di maternità lascia lo spazio per un suo cattivo uso. Solo le donne impiegate hanno il diritto ad usufruire di nove mesi di maternità (circa l'80% dello stipendio), ma ciò che accade in pratica è che molto spesso le future madri disoccupate cercano il modo per assicurarsi un lavoro fittizio presso parenti o amici per godere della maternità pagata. Un paio di anni fa il governo cercò di frenare la cosa, emendando la legge e stabilendo che solo le donne che sono state impiegate nei precedenti sei mesi possono godere della maternità pagata. La Corte costituzionale ha bocciato però l'emendamento trovandolo inaccettabile perchè violerebbe il principio dell'uguaglianza.

Per quanto possa essere vitale, il sindacato continua a dire che questo tema sposta l'attenzione da quello essenziale. Sul tavolo dei negoziati c'è la sostanziale riduzione della legislazione sulla protezione dell'impiego, che renderà più facile per i datori di lavoro sia licenziare che assumere i lavoratori. Secondo il governo, il FMI e i datori di lavoro, questa soluzione liberalizzerebbe il mercato del lavoro, migliorerebbe la possibilità di fare affari e ne garantirebbe la crescita.

"Ciò significa che il datore di lavoro, se si dovesse alzare un giorno con la luna storta, potrebbe dire al lavoratore che è licenziato e il lavoratore non avrebbe alcuna possibilità di difendersi. Lo spazio per le malversazioni sarebbe immenso", sottolinea però il leader dei sindacati Vanco Muratovski.

La "liberalizzazione" del mercato del lavoro fa parte dell'agenda del FMI, ed anche senza un diretto coinvolgimento, almeno pubblicamente su questo punto, è appoggiato dalla Banca Mondiale. Secondo il rappresentante del FMI in Macedonia, Franek Roswadowski, la flessibilità nei licenziamenti e altre riduzioni dei diritti dei lavoratori sono necessarie per facilitare la crescita economica. "... questo rfavorirà nuove assunzioni, perché attualmente l'economia grigia è il risultato della rigidità dei contratti di lavoro", afferma Roswadowski. Il rappresentante del FMI e il leader dei sindacati si sono incontrati a febbraio, ma senza trovare un accordo.

"Negli ultimi 14 anni la Carta del lavoro è stata emendata 14 volte e molti diritti dei lavoratori sono stati ridotti, ma questo non ha contribuito al miglioramento dell'economia", ha ricordato di recente Muratovski aggiungendo che il governo si sta incamminando lungo il sentiero sbagliato. Ha poi aggiunto che la Slovenia è entrata nell'UE mantenendo la vecchia legge sul lavoro, risalente al periodo socialista.

Anche il Comitato di Helsinki della Macedonia è intervenuto nel dibattito. Nel suo recente rapporto a proposito della riforma del lavoro, si scrive: "Negli ultimi anni, con gli emendamenti alla Carta del lavoro, alle garanzie sociali legate alla disoccupazione, alla legge sulle pensioni e l'assicurazione per i disabili, alla legislazione sulla protezione sociale, alla legge sulla protezione sanitaria; la Macedonia ha ridotto le tutele dei diritti umani, ha limitato il meccanismo di protezione o chiuso le istituzioni che avevano come intento la difesa di questi diritti". Il rapporto considera che le restrizioni sono spesso giustificate dal governo con la scusa che non c'è altra via per prevenire l'abuso dei diritti da parte degli individui. Il Comitato di Helsinki rigetta totalmente questa scusante.

alcuni giorni dopo la pubblicazione del rapporto il governo ha fornito informazioni sui principali aspetti della proposta di legge. Niente di spettacolare. Il governo ha affermato che la maternità rimarrà come era. Ma lo spirito generale di riduzione delle garanzie rimane. È previsto che la legge venga adottata dal parlamento in aprile, poi seguirà un periodo di 6 mesi necessario per l'armonizzazione con il quadro legislativo nazionale.

Ad un dibattito pubblico tenutosi il 5 marzo, il leader dei sindacati Muratovski ha minacciato il governo di destabilizzazione, se quest'ultimo procederà nel suo intento di adottare la legge contro gli interessi dei lavoratori.

"Siamo pronti per scioperi e proteste di massa. Faremo pressioni, il governo non sarà in grado di resistere", ha detto il leader dei sindacati.

Alcuni esperti recentemente hanno parlato però dell'incapacità dei sindacati, nei Paesi piccoli e poveri, di combattere l'alleanza tra i governi e il capitale. I commenti di più basso profilo hanno anche accusato l'attuale presidente dei sindacati di essere troppo vicino alle posizioni dei socialdemocratici al governo.

Una cosa è certa. Il governo sostiene che tutto questo viene fatto per avvicinarsi il più possibile all'UE. Ma è chiaro che il modello proposto è figlio del neo-liberismo, trovato oltre Atlantico e promosso fortemente dal FMI. Il Fondo monetario internazionale si prende cura della stabilità macroeconomica e dell'incremento degli affari, è molto meno interessato ai costi sociali che si debbono pagare per conseguire tali obiettivi.


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