Il rapporto della Commissione Europea sullo stato dei paesi candidati all'ingresso nell'Ue boccia la Macedonia. Punti dolenti restano il processo elettorale e le dinamiche politiche che rischiano di far rimanere Skopje fuori dall'Unione ancora per lungo tempo

12/11/2008 -  Risto Karajkov Skopje

L'ultimo rapporto della Commissione Europea sullo stato dei paesi candidati all'ingresso nell'Unione non ha portato grandi sorprese per la Macedonia. La notizia più importante era già nota, il paese non ha ottenuto una data certa per iniziare il negoziato di accesso con Bruxelles. Forse andrà meglio l'anno prossimo.

Il rapporto è arrivato proprio alla fine dei primi cento giorni del nuovo governo targato VMRO - DUI, un momento che si presta a profonde riflessioni.

La Macedonia ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2005, ma da allora non ha fatto significativi passi in avanti verso l'Ue. Da ormai quattro anni aspetta "luce verde" per aprire i negoziati, ed è l'unico candidato ad aver atteso così tanto.

Il rapporto stilato quest'anno dalla Commissione è probabilmente il più severo ricevuto da Skopje negli ultimi tempi, o forse il più severo in assoluto. Il vocabolario utilizzato nel documento, secondo gli analisti, è molto più tagliente rispetto ad un anno fa. Con tono inusualmente brusco la Commissione ha sentenziato che la Macedonia non risponde ai criteri minimi per la membership europea.

La semplice verità è che il paese ha deluso le aspettative. A Skopje in molti pensano che alla base del voto negativo ci sia essenzialmente la disputa del nome con il vicino greco, e che un rapporto relativo ai soli progressi del paese avrebbe meritato di più. Ma nel migliore dei casi queste riflessioni sono molto parziali.

La Macedonia ha lavorato duro negli anni scorsi, ottenendo buoni risultati. Un governo giovane ed energetico, guidato da un leader popolare, Nikola Gruevski, ha puntato tutto sulla carta dell'economia, e anche se in questo campo i risultati si vedono solo col passare del tempo, è riuscito a guadagnarsi rispetto per gli sforzi fatti. A dimostrarlo ci sono gli alti indici di gradimento che il premier ha goduto e continua a godere.

D'altra parte però, questi risultati sono stati messi in ombra da un politica irresponsabile, che sembra quasi far parte del DNA del paese. Il voto anticipato di luglio, voluto dopo la bocciatura nord-atlantica subita al summit di Bucarest, è stato disastroso. Le elezioni sono state macchiate da violenze e brogli.

Il processo elettorale è stato sempre problematico in Macedonia, ma quest'anno le cose sono andate peggio che in passato, invece di registrare, come era lecito aspettarsi, dei miglioramenti. Nonostante lo scorno di Skopje, non si può non essere d'accordo con il giudizio dell'Ue: elezioni di questo tipo non sono degne di una democrazia europea.

E' giusto ricordare, a parziale difesa dell'"imputato", che i brogli avvenuti non sono rappresentativi dell'intero paese, che si sono verificati (ripetutamente) solo in alcune circoscrizioni, e che sono più il risultato dell'azione di pochi "cialtroni" della politica che un riflesso della generale maturità democratica della Macedonia. Ma questo non è sufficiente. Questo fenomeno deve essere eliminato una volta per tutte. Stavolta il governo ha dovuto portare i blindati nelle strade per far permettere ai cittadini di ripetere il voto. La prossima volta saranno necessari i carri armati?

Se non altro il paese si è mostrato più risoluto del solito nel punire i responsabili. Il DPA di Menduh Taci, ampiamente considerato il principale responsabile delle violenze durante il voto è stato marginalizzato dal suo partner di governo storico, il VMRO.

Le altre maggiori critiche d Bruxelles riguardano le dinamiche politiche in Macedonia. Dopo aver perso le elezioni, il DPA ha deciso di boicottare il parlamento, sospeso solo recentemente dopo il riconoscimento del Kosovo da parte di Skopje. Un passo simile è stato intrapreso dai socialdemocratici, che hanno abbandonato l'aula dopo l'arresto in diretta di uno dei propri leader, il sindaco di Strumica Zoran Zaev, accusato di malversazione. Anche questo boicottaggio, per fortuna, è rientrato in fretta.

Boicottare il parlamento (pur senza rinunciare allo stipendio) è uno sport praticato di frequente dai politici macedoni fin dalla data dell'indipendenza. L'idea è semplice: se le cose non vanno come vuoi, smetti di giocare. Questo approccio, semplicemente, non è serio, né verso i partner internazionali, né verso i propri elettori. E' ora che i politici di Skopje lo capiscano, e forse il rapporto della Commissione di quest'anno li aiuterà ad aprire gli occhi.

In questo campo la Commissione ha criticato la "mancanza di dialogo politico costruttivo" tra le istituzioni del paese. In altri termini, il presidente e il primo ministro dovrebbero mettere fine al vivo conflitto in atto tra loro, almeno per un po'.

Bisogna però dire che Bruxelles non può pretendere l'impossibile. Un ampio consenso non è comune in democrazia, anche uno studente ai primi anni di Scienze Politiche potrebbe facilmente dimostrare il contrario. Al tempo stesso, però, un panorama di antagonismo estremo non è negli interessi del paese.

Nel complesso, il rapporto ha notato e approvato gli sforzi fatti nel campo delle riforme economiche e della lotta alla corruzione. La politica invece rimane sul banco degli imputati. E' un giudizio ponderato. Riconoscerlo è probabilmente il primo passo per raggiungere una maggiore maturità politica.

Contrariamente a quanto molti ritengono, la democrazia è un processo in perenne divenire. Anche Bruxelles dovrebbe riconoscere i deficit democratici nel proprio cortile, come il deprecabile atteggiamento di alcuni dei suoi membri nei confronti delle proprie minoranze. Ma non è questo il momento per Skopje di porre tali casi all'attenzione generale, perché potrebbe sembrare semplicemente il modo di sfuggire alle proprie responsabilità.

In primavera ci saranno sia le elezioni presidenziali che quelle amministrative. Il paese dovrà fare il possibile perché, stavolta, tutto fili via liscio come l'olio. Queste sono lezioni politiche forse banali, ma che se non imparate a memoria potrebbero tenere Skopje al palo ancora molto a lungo.


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