Il Kosovo ha giocato, ed ha perso. Il tentativo di riprendere il controllo dei passaggi di frontiera di Jarinje e Brnjak è fallito. Ed ora la questione del Kosovo del nord verrà negoziata e decisa a Bruxelles. Un editoriale di Veton Surroi

16/08/2011 -  Veton Surroi

(Un testo pubblicato da Koha Ditore il 7 agosto 2011, selezionato originariamente da Le Courrier des Balkans)

ll primo ministro del Kosovo ha definito l'operazione lanciata lo scorso 25 luglio per riprendere il controllo dei passaggi di frontiera del nord del Paese “il più grande successo dopo la dichiarazione di indipendenza”. Purtroppo, e non solo per il primo ministro, l'accordo sottoscritto tra il governo del Kosovo e il comandante della KFOR – dopo che quest'ultimo ne aveva sottoscritto un altro con i rappresentanti della Serbia – non ha niente del successo storico, a più di tre anni dalla dichiarazione di indipendenza.

Con il suo vocabolario tipicamente militare, senza dubbio adatto agli avvenimenti degli ultimi dieci giorni, il comandante della KFOR ha ottenuto un cessate il fuoco che dovrebbe durare, almeno in una prima fase, sino a metà settembre.

Per la Pristina ufficiale quest'accordo comporta tre buone notizie.

Innanzitutto, non essendo stata in grado di riprendere il controllo dei posti di frontiera di Jarinje e Brnjak, ed essendo la polizia kosovara obbligata a ritirarsi, esce da una situazione sgradevole, da un vicolo cieco.

Inoltre la definizione di questi passaggi di frontiera quali “zone militari” dovrebbe significare che le merci non vi possono passare e questo potrebbe dare l'impressione che le misure di “reciprocità” proclamate dal governo del Kosovo – cioè l'embargo sui prodotti provenienti dalla Serbia – vengano rispettate.

Infine, la questione di questi passaggi di frontiera non controllati dalle istituzioni del Paese esce dal dossier delle questioni dimenticate e rientra nell'ordine del giorno delle questioni da risolvere, nonostante il controllo provvisorio della KFOR.

Ciononostante, il cessate il fuoco porta buone nuove anche a Belgrado.

Innanzitutto, con l'erezione di barricate e l'incendio delle dogane, il vantaggio iniziale di Pristina, che aveva dimostrato mandando le sue forze speciali di riuscire a controllare - perlomeno per qualche ora - i passaggi di frontiera, è stato annullato. Grazie alle barricate e all'incendio del posto di frontiera di Jarinje Belgrado si è ancora una volta imposta al tavolo dei negoziati.

Inoltre, la presenza fisica delle istituzioni kosovare viene esclusa lungo le frontiere e questo è confermato dall'accordo con la Nato. La frontiera tra il Kosovo e la Serbia torna ad avere una doppia accezione: è allo stesso tempo una “frontiera” e una “linea di demarcazione amministrativa”. Ad oggi quindi non si sa ancora se si tratta di carne o pesce.

La presenza lungo la frontiera di polizia e doganieri kosovari avrebbe creato per Belgrado una nuova situazione, del tutto insopportabile. Questo non è avvenuto. E il dossier ormai verrà affrontato a Bruxelles, un terreno che è il prediletto a Belgrado, un terreno dove è riuscita a prendere vantaggio nelle negoziazioni con il Kosovo.

Un'altra notizia è molto positiva per Belgrado: l'accordo con la Nato è stato ottenuto subito dopo essersi opposti all'Alleanza atlantica, bloccando le strade, bruciando posti di frontiera e uccidendo un poliziotto kosovaro. Al posto di essere condannata, la Serbia è stata ricompensata.

Per Pristina quindi questo accordo non porta notizie particolarmente positive, che i nostri dirigenti provano a nascondere con una pletora di menzogne del genere “vittoria storica”.

I passaggi di frontiera 1 e 31 saranno oggetto di negoziazioni a Bruxelles. E' stato creato quindi un legame diretto tra le “questioni tecniche”, come si voleva chiamarle, e la totalità del problema politico delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Questo legame è emerso chiaramente in questi ultimi dieci giorni. Dal problema delle tasse doganali si è passati alla questione dei passaggi di frontiera 1 e 31, poi alla questione del nord del Kosovo, non controllato da Pristina e infine alla posizione di Belgrado rispetto all'indipendenza del Kosovo stesso. Pristina si troverà pienamente coinvolta in negoziazioni politiche che toccheranno, alla base, la definizione territoriale del Kosovo, il suo statuto costituzionale e la natura delle relazioni tra la Serbia e il Kosovo stesso.

Negoziazioni di questo tipo in ogni caso si sarebbero, presto o tardi, dovute tenere ma la cattiva notizia per il Kosovo e che lo si dovrà fare in una cornice negoziale dove si sono imposti alcuni principi di base, e, nello specifico, dove la Serbia e il Kosovo hanno una sovranità comune su alcune questioni problematiche per entrambi gli Stati, anche se ad oggi non è dato sapere con certezza una lista chiara di queste questioni.

Allo stesso modo in cui si è arrivati alla conclusione, nelle prime fasi del “dialogo”, che i due Stati hanno un diritto di proprietà comune sui registri dello stato civile del Kosovo, non ci si dovrà stupire se verrà istituito un sistema comune di controllo di frontiera dei passaggi 1 e 31, in nome della “sovranità condivisa”.

Ad ogni modo Pristina, con l'inconsistenza che la caratterizza ormai da molto tempo, aveva già accettato, a soli sei mesi dalla dichiarazione di indipendenza, che la questione dei passaggi di frontiera 1 e 31 venisse affrontata nel quadro del piano in sei punti di Ban Ki Moon, e quindi secondo il principio di una responsabilità comune di Pristina e Belgrado.

Indipendentemente dai loro discorsi propagandistici i funzionari di Pristina hanno già riconosciuto, nel luglio del 2008, che la polizia e i doganieri di frontiera del Kosovo non sarebbero stati posizionati a Jarinje e a Brnjak se non dopo il consenso di Belgrado. Non sembra molto differente da quanto emerge dall'accordo con il comandante della KFOR che ha creato uno spazio di sicurezza, in modo che le parti potessero trovare un accordo tra loro sulla natura dei posti di frontiera 1 e 31, e cioè che definiscano comunemente quale sarà la tipologia di controllo civile dopo la fine di quello militare.

L'intervento del 25 luglio scorso poteva essere un asso nella manica per rinforzare la posizione del Kosovo alla tavola dei negoziati, per dimostrare la volontà del Kosovo di esercitare la propria sovranità su tutto il territorio, indipendentemente da qualsiasi accordo con Belgrado.

Ma il Kosovo ha perso la partita: i passaggi 1 e 31 non potranno entrare sotto il controllo di Pristina se non alla fine del processo di negoziazione. Ormai qualsiasi intervento di Pristina verrà definito come “unilaterale” anche se questi interventi hanno come obiettivo solo l'esercizio della sovranità statale.

L'evoluzione della situazione nei prossimi giorni è facilmente prevedibile: vi sono poche possibilità che vada a vantaggio del Kosovo. I margini di negoziazione con la Serbia saranno ancora più stretti, la posizione del Kosovo è debole rispetto all'Unione europea e – quando riceveremo un rapporto negativo della Commissione europea che denuncia la cattiva gestione dei fondi pubblici, il budget in deficit e il rifiuto del primo ministro di riequilibrarlo – la situazione del Paese si aggraverà ulteriormente.

Nella storia solo i regimi non-democratici ottengono dei vantaggi da un degrado perpetuo, perché i regimi sono fondati sulla corruzione e il crimine. Ma ciò che peggiora ancor più la situazione è che questi regimi riescono anche a far ritornare i problemi del passato, quando si pensava di averli risolti.


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