Il senatore Dick Marty

Il senatore Dick Marty

Il rapporto di Dick Marty sui trattamenti inumani e i traffici d’organi in Kosovo, che punta direttamente al premier kosovaro ed ex leader dell'Uck Hashim Thaci, è stato approvato ieri dalla Commissione affari legali e diritti umani dell’Assemblea del Consiglio d’Europa

17/12/2010 -  Tomas Miglierina Parigi

“Sono stupito che siate così numerosi” ha detto Dick Marty presentandosi ai cronisti nella saletta gremita di microfoni e telecamere dell’avenue Kleber a Parigi; la stessa sala dove un’ora prima la Commissione per gli affari legali e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa aveva discusso ed approvato (all'unanimità, presenti anche due deputati kosovari, come osservatori) il suo rapporto sui trattamenti inumani e i traffici d’organi in Kosovo, con annessa risoluzione allegata che chiede l’apertura di inchieste giudiziarie. “Mi sembra che tutto quello che avevo da dire l’ho detto: forse la novità è proprio che non ho detto o scritto niente di nuovo”.

“Il nostro compito era di stabilire certi fatti, partendo dalle dichiarazioni di Carla Del Ponte”, ha esordito il senatore svizzero. Questo non è stato facile, perché all’inizio molte persone non volevano parlare. Ho visto negli occhi di diverse persone il terrore di dovere discutere di queste vicende. Ma poi abbiamo scoperto che le stesse cose erano note alla maggior parte dei servizi di informazione di vari paesi, alle polizie, a numerose persone che in privato vi dicevano: ‘lo sappiamo, ma per ragioni di opportunità politica abbiamo fatto la scelta o abbiamo il dovere di tacere’ ”

E’ questa ipocrisia istituzionalizzata, cosi simile a quella incontrata con le carceri segrete della CIA, che ha colpito più di ogni altra cosa l’ex procuratore ticinese. "Non credo si possa costruire l'avvenire di un Paese senza che vi sia un lavoro di verità e di memoria. Non ci sarà mai una convivenza pacifica tra le diverse comunità se continuiamo a fare finta di non sapere.

Nessun collegamento con le elezioni in Kosovo

Dick Marty ha negato ogni collegamento con i tempi delle elezioni kosovare: per discutere la risoluzione in Assemblea il prossimo 25 gennaio, come previsto, occorreva chiudere il lavoro in commissione entro dicembre. L’unica cura è stata quella di attendere la chiusura dei seggi, domenica sera, prima di distribuire il documento, evitando cosi l’accusa di voler influenzare il voto.

A chi suggeriva che certe affermazioni potrebbero essere ispirate dalla Russia, Marty ha invitato a leggersi il suo precedente rapporto: quello sul Caucaso del Nord. Alle voci di querele in arrivo da Pristina, ha ricordato che anche in Polonia fu oggetto di una querela per avere sostenuto l’esistenza delle carceri CIA.

E poi ha bollato come “indecente” la reazione del procuratore di Belgrado che ha parlato di “vittoria” serba, aggiungendo che le informazioni provenienti dalla Serbia sono servite a ben poco: i riscontri più preziosi sono venuti dagli albanesi, incluse persone che sono state vicino all’Uck e che stufe della corruzione e del crimine organizzato vogliono vivere in pace e in uno stato di diritto.

Il rapporteur del Consiglio d’Europa spera si metta in moto quella che lui stesso ha chiamato “una dinamica di verità”. Qualcosa in questo senso forse sta già avvenendo: la pressione è forte sull’Unione europea, i cui portavoce evitano scrupolosamente di prendere posizione sulla accettabilità di Thaci come interlocutore. La verde tedesca Ulrike Lunacek, relatrice per il Kosovo al parlamento europeo, spinge per delle inchieste, in un comunicato che fa eco alla risoluzione votata a Parigi.

Per smentire il Consiglio d’Europa, le istituzioni kosovare dovranno dar prova di cooperazione ed efficacia, anche nei confronti della missione europea Eulex. E anche se Marty ha scrupolosamente evitato qualsiasi suggerimento politico a riguardo, è chiaro che l’Albania - dove portano molte tracce dei traffici più inconfessabili, ma che fino ad ora ha puntato i piedi davanti alle richieste di cooperazione giudiziaria – potrebbe pagare il persistere in questo atteggiamento nella sua già difficile marcia di avvicinamento all’Unione europea.


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