Behgjet Pacolli

Behgjet Pacolli, uno degli uomini più ricchi del Kosovo, dopo aver creato un impero delle costruzioni in alcune Repubbliche ex-sovietiche e in Russia, oggi è a capo della terza forza politica kosovara, l'Akr. Il nostro inviato lo ha incontrato dopo il voto di sabato

21/11/2007 -  Francesco Martino Pristina

La sua Alleanza per un Nuovo Kosovo (Aleanca Kosova e Re - Akr) si è presentata per la prima volta agli elettori, raccogliendo circa il 12% dei consensi. Come giudica questo risultato?

È un risultato che non giunge inaspettato, anche considerato il fatto che il nostro movimento esiste da appena nove mesi. Credo, però, che avremmo potuto ottenere ben più di questo risultato: i nostri elettori non sono militanti, a differenza di chi vota per partiti come la Ldk e il Pdk, e sono stati probabilmente scoraggiati dalle difficili condizioni metereologiche. Tutti i sondaggi fatti prima del voto ci davano al 18-20%, una percentuale che credo sia più vicina alle nostre reali possibilità. Comunque, in generale siamo soddisfatti e crediamo di poter diventare la prima forza politica del Kosovo alle prossime elezioni.

Quale immagine si è fatto dei suoi elettori? Chi ha votato per l'Akr?

Il nostro elettorato è formato innanzitutto da giovani, da studenti, ed anche dal mondo femminile. Non contiamo invece sugli elettori che hanno più di 45 anni, elettori già legati ai partiti tradizionali, Pdk e Ldk.

È sorpreso dai risultati generali delle elezioni? Si aspettava la vittoria del Pdk e una sconfitta pesante per l'Ldk?

Io credo che il Pdk, realisticamente, si sia assestato intorno al 29-30%, più che al 34%. Ci sono stati, almeno in parte, anche dei brogli. Si tratta comunque di una vittoria, che io non ho mancato di riconoscere. Ora Thaci è nella condizione di formare il nuovo governo, anche vista l'esperienza accumulata in questi anni, ed io direi in generale che è una persona adatta al ruolo di premier. D'altra parte, però, non so se sarà in grado di realizzare le numerose promesse fatte in campagna elettorale.

Ha già iniziato a consultarsi con gli altri leader politici? È possibile una sua partecipazione al prossimo governo?

Ho già dichiarato pubblicamente che l'Akr è aperto al dialogo con tutti, ma esiste una condizione per parlare con noi di eventuali alleanze o coalizioni di governo. Io sono pronto a parlare solo con chi è disposto ad accettare in toto il nostro programma. Quello dell'Akr è un programma che nasce dalle richieste e dai problemi quotidiani della gente del Kosovo, con un piano economico che prevede la rivalutazione del settore agricolo e la possibilità di occupazione per i giovani, basato sul duro lavoro e sulla voglia di fare. Per quanto mi risulta, il nostro programma è l'unico davvero pragmatico e pronto per essere implementato.

Quanto è importante per l'Akr essere al governo, per poter attuare questo programma?

Per noi la partecipazione al governo non è fondamentale, perché temo che se anche dovessimo entrare nell'esecutivo saremmo soltanto uno dei tanti partner, ovvero una situazione da cui non abbiamo niente da guadagnare. Meglio entrare nel parlamento e cominciare da lì, per lavorare ad un parlamento trasparente, che faccia leggi comprensibili, in cui siano espressi chiaramente diritti e doveri dei cittadini, tempi di attuazione e sanzioni per chi non rispetta le regole. Fino ad oggi tutto questo non è successo: le leggi che vengono votate sono complesse e poco chiare, confondono i cittadini.

Noi vogliamo leggi fatte per loro e non per i funzionari. In parlamento vogliamo poi creare le condizioni per cui anche il governo lavori in modo trasparente e funzionale, riducendo la burocrazia a favore della qualità dell'amministrazione. Oggi esistono 16 ministeri ma non è molto chiaro cosa facciano. Noi vogliamo portarli a non più di 5 o 6. Vogliamo anche introdurre un sistema presidenziale. Oggi in Kosovo c'è bisogno di un "padre di famiglia", che si assuma quelle responsabilità che oggi nessuno vuole. Ecco perché vogliamo un presidente che sia eletto direttamente dai cittadini.

Cosa cambia in Kosovo dopo queste elezioni? Quali sono i problemi principale che dovrà affrontare il nuovo esecutivo?

Il nuovo governo ha davanti a sé un lavoro enorme. Innanzitutto migliorare la situazione economica, che oggi è letteralmente disastrosa, con una disoccupazione giovanile che arriva al 70%. Per affrontare questa sfida, però, c'è bisogno di un'enorme esperienza in campo economico, proprio ciò che manca al Pdk. Thaci ha cercato di inserire nel partito alcuni specialisti, ma ad un'analisi più attenta si vede che non hanno molta esperienza. Il loro programma in questo campo non mi convince, sono sulla strada sbagliata, e le loro proposte sono demagogiche. Ovviamente c'è anche la questione dell'indipendenza, che riguarda tutti e non solo il governo. L'indipendenza arriverà, ma il problema è come, dato che difficilmente in Consiglio di Sicurezza si arriverà presto ad una decisione, vista l'opposizione della Serbia e della Russia. Dobbiamo comunque cercare una modalità che sia accettabile ai nostri amici americani ed europei, perché se questo non avviene il Kosovo precipiterà in un vicolo cieco.

Oggi l'Akr è la terza forza politica in Kosovo. Chiederete di entrare a far parte dello Unity Team, l'organismo che rappresenta il Kosovo al tavolo negoziale sullo status finale della regione?

Sì, probabilmente chiederemo di entrare a far parte dello Unity Team, anche perché alcuni dei suoi membri attuali non entreranno nel nuovo parlamento, non avendo superato lo sbarramento del 5% (il movimento riformista Ora, N.d.A.). Si tratta proprio di chi più mi ha criticato in campagna elettorale e che oggi si scopre perdente. La nostra richiesta di entrare nello Unity Team sarà comunque condizionata dalla nostra percezione della bontà del lavoro portato avanti da questo organismo politico.

Lei ha parlato più volte della possibilità di un dialogo diretto tra Pristina e Belgrado. Cosa significa?

Queste mie dichiarazioni, rilasciate a Voice of America, sono state ripetutamente utilizzate contro di me in campagna elettorale. Il Kosovo ha bisogno di tornare a parlare con la Serbia e con i cittadini serbi del Kosovo. Raggiungeremo l'indipendenza, ma dobbiamo cominciare davvero a convivere con i serbi ed aprire un dialogo con la Serbia, che è uno dei nostri vicini più importanti. Dobbiamo fargli capire che l'indipendenza non significa che hanno perduto il Kosovo. I confini devono essere aperti il più possibile, persone, idee, soldi e merci devono viaggiare liberamente.

Come giudica il boicottaggio portato avanti dalla comunità serba del Kosovo?

Credo sia stato un grosso errore. Hanno perso una chance, perché avrebbero dovuto essere presenti qui, nel parlamento del Kosovo, che è la loro casa, il luogo dove lottare democraticamente per i propri interessi. Il Kosovo non appartiene soltanto agli albanesi, ma a tutti i cittadini kosovari, che sono anche serbi. Questi però hanno sbagliato ad ascoltare Belgrado, perché sta speculando innanzitutto sulla pelle dei serbi del Kosovo.

Lei è conosciuto innanzitutto come un imprenditore di successo. Ha effettuato investimenti importanti anche in Kosovo?

Io impiego più di duemila persone in Kosovo, dove possiedo una compagnia di assicurazioni, una grande banca, una catena di esercizi commerciali ed una società impegnata nell'edilizia. Tengo a precisare che i miei investimenti sono tutti di carattere privato, non ho mai lavorato su progetti finanziati dal budget pubblico, anche perché il Kosovo non è ancora maturo per grandi investimenti.

Ma nell'eventualità di un suo futuro ingresso nel governo, non crede che potrebbe presentarsi il rischio di un conflitto di interessi?

Certamente, ma io non sono né il primo né l'ultimo businessman ad entrare in politica e queste situazioni si possono regolare attraverso la legge. Tra l'altro, ho già rinunciato alla mia posizione in numerose delle mie società. Io non sono in politica per favorire i miei affari, anche perché la mia ricchezza è stata creata tutta fuori dal Kosovo. Io qui ho portato solo investimenti e sviluppo. Ho la coscienza pulita e credo che la mia presenza qui sia necessaria per riuscire a garantire ai cittadini del Kosovo almeno uno standard di vita dignitoso.

Lei ha importanti interlocutori in Russia. Crede che questo potrebbe costituire un ostacolo ad una sua eventuale partecipazione al governo del Kosovo?

Penso di dover rimproverare la classe politica kosovara, che fino ad oggi ha innalzato un vero muro verso est, guardando solo all'occidente. Non c'è dubbio che l'indipendenza del Kosovo sarebbe impossibile senza l'aiuto dei nostri alleati statunitensi ed europei. Però è stato un errore non aprire in nessun modo una qualche forma di dialogo verso est: si poteva fare lobbying, ed essere più presenti su quel fronte, per far sì che rimanessero aperti i canali di informazione. Faccio un esempio: oggi tutti i reporter russi lavorano da Belgrado, non sono qui in Kosovo a toccare con mano la situazione sul campo. Se fossero qui si renderebbero conto che dopo le distruzioni della guerra, dopo le case bruciate e i tanti morti, l'opzione di un ritorno del Kosovo sotto il governo della Serbia è semplicemente impossibile.


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