Un'immagine tratta dal documentario “Život je” di Vladimir Perovic

In archivio la 61ma edizione del Film festival della montagna. Vince il danese "Expedition to the End of the World" ma molti i titoli interessanti proiettati in questi giorni a Trento, in particolare nella rassegna "Destinazione Turchia"

07/05/2013 -  Nicola Falcinella Trento

Niente premi, non avendo titoli in concorso, ma Turchia al centro dell’attenzione all’appena concluso Trento Film Festival. Una 61° edizione che si è confermata punto di riferimento per chi ama il cinema e la montagna e che, forse, sta riuscendo a fare uscire dalla nicchia la cinematografia che si occupa di ambiente e vette.

Non solo imprese ai limiti delle capacità umane, ma anche ricerca linguistica e qualche momento di alleggerimento (grazie anche alle “Folli notti del dottor Tyrol” che hanno recuperato le commedie scollacciate tedesche anni ’70 dette “Lederhosen film”).

Ha vinto per la prima volta un film danese, “Expedition to the End of the World” di Daniel Dencik, e tra le “genziane” meritano una citazione “Le thé ou l'électricité” del belga Jérôme Le Maire (girato sull’Atlante marocchino), “Libros y Nubes” di Pier Paolo Giarolo (sulle Ande) e il corto d’animazione “The Hunter” dell’australiana Marieka Walsh.

Destinazione Turchia

Nella giuria era presente anche la regista turca Pelin Esmer, il cui secondo lungometraggio “Watchtower” (che segue “10 to 11” e i documentari”The Collector” e “Oyun – The Play”) era la punta della sezione speciale “Destinazione Turchia”. Dodici titoli, tra lungometraggi di finzione, documentari e corti, che hanno fatto conoscere al pubblico trentino la ricchezza e la varietà di uno dei paesi più vivaci nel panorama internazionale.

Tra questi anche uno dei capisaldi del cinema turco, “Law of the Border” (1966) di Lüfti Ö.Akad con Yilmaz Güney, una pellicola che sembrava perduta perché le copie erano state distrutte dopo il colpo di Stato del 12 settembre ’80. L’unica rimasta, seppure danneggiata, è stata restaurata nel 2011 dalla World Cinema Foundation di Martin Scorsese e dalla Cineteca di Bologna, che già avevano recuperato "Susuz Yaz - Dry Summer" di Metin Erksan, magnifica storia ancora attualissima di due fratelli e della lotta per l’acqua, Orso d’oro a Berlino nel 1964 e primo film turco premiato in un festival internazionale.

“Law of the Border – Hudutlarin kanunu” è un western di ambientazione, un guardia e ladri tra pastori di pecore e polizia sull’arido confine tra Turchia e Siria.

Protagonista Hidir (Güney, attore, sceneggiatore e regista, il più grande del cinema turco), eroe solitario di poche parole, che lascia parlare gli occhi vivissimi, che guardano direttamente lo spettatore e lo interrogano. I poverissimi pastori di Delivaran, villaggio dove non c’è neanche la scuola, cercano oltre la frontiera minata pascoli erbosi, ma il traffico è gestito dai piccoli boss locali. Hidir, che vive per il figlio Yusuf, prima si vuole tenere fuori da questo giro pericoloso, ma poi, per cercare di dare al figlio un futuro migliore, accetta di condurre un gregge al di là. E si approda a un finale straziante.

Piccolo ma significativo il ruolo della maestra che arriverà, figlia di contadini, personaggio di donna moderna ed emancipata che sottolinea l’importanza dell’educazione e della scuola per uscire dalla miseria.

Ich liebe Dich

Interessanti i documentari, molti al femminile, come “Ich Liebe Dich” di Balci Emine Emel su un gruppo di donne che seguono un corso di tedesco e “Playing House” di Bingol Elmas, sui matrimoni combinati per ragazzine molto giovani. La regista segue le storie di alcune di loro, di età e ceti sociali diversi, ma la costruzione del racconto fa sì che il film non sia molto coinvolgente.

Soprattutto spicca l’autobiografico “I Flew You Stayed” di Mujde Arslan Mizgin. La cineasta e protagonista, abbandonata dai genitori ai nonni quando era piccolissima perché il padre era guerrigliero, va alla ricerca del genitore, del quale non aveva più saputo nulla ma del quale scopre delle tracce mentre è a un festival in Armenia.

Il film è un lungo viaggio verso il campo per rifugiati dove alla fine Makhmur, sempre in fuga dai militari, approdò. Con lui non aveva avuto mai contatti, se non una lettera che le era sembrata fredda, distaccata; non si era mai sentita amata dal padre, non sapeva che lui aveva sempre pensato e parlato di lei fino alla morte.

Un percorso complesso a ricostruire la propria identità e storia attraverso quella paterna che la porta a incontrare i familiari e andare anche a cercare la madre e farle finalmente le domande che teneva dentro da una vita.

Alp&Ism

Sloveno solo per il regista e la produzione è il bel “Wild One” di Jure Breceljnik, nella sezione “Alp&Ism”. La storia di Philippe Ribière, nato in Martinica e abbandonato alla nascita perché frutto di un amore clandestino e proibito e nato con la sindrome di Rubinstein-Taybi che gli ha provocato gravi deformazioni.

Adottato da una famiglia del sud della Francia, inizia ad arrampicare e trova nello sport il luogo dove superare i limiti fisici ed essere alla pari degli altri. Ribière diventa uno scalatore provetto, tanto da girare il mondo e partecipare ai Mondiali di ParaClimbing. Un inno alla forza di volontà, ai sogni e all’uguaglianza con alcuni momenti commuoventi.

Convincente anche il montenegrino “Život je” di Vladimir Perovic, che filma senza commentare o spiegare le dure e silenziose giornate di lavoratori in una zona pietrosa della regione di Cuce. Chi taglia l’erba in mezzo ai sassi, chi semina patate in una piccola radura, chi trasporta l’acqua raccolta tra le rocce, chi innesta un pruno selvatico, chi recupera il miele dalle cavità di un albero. La durezza delle condizioni naturali e la fatica degli uomini, un film che richiede disponibilità allo spettatore per entrare nel sentimento delle immagini e lascia a chi guarda il compito di fare le proprie considerazioni.

Eurorama

Per ultima la sezione “Eurorama”, con i corti documentari etnografici premiati in altri festival europei.

In “The Gourgeous Of The Evening” del croato Davor Borić sono mostrati i carnevali in Slavonia con gli uomini che si travestono da donne, si cuociono i maiali (“senza maiali non ci può essere carnevale”) e un uomo dice la sua sui travestimenti mentre spacca la legna.

L’arte della concia delle pelli in un paesino del Banat è filmata da romeno Cosmin Tiglar in “The Tanners”. Gli ultimi artigiani che conservano una tradizione secolare, di conciare le pelli degli animali uccisi dagli allevatori del luogo per farne capi d’abbigliamento. Ma ormai è difficile reggere la concorrenza dei prodotti industriali che arrivano da altri paesi a prezzi molto più bassi.


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