Una performance di Marina Abramović

Il corpo e l'arte: note a margine dell'intervento di Marina Abramović a Torino in occasione della presentazione delle installazioni create dall'artista serba per la Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea

11/11/2009 -  Jasmina Tešanović Torino

Il 24 ottobre 2009 Marina Abramović ha presentato alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, in occasione della riapertura del museo e dell'inaugurazione della mostra "Il Teatro della Performance", tre installazioni sonore create appositamente per la Galleria

Per una volta mi lascerò andare alle emozioni, visto che anche Marina Abramović, alla fine della sua conferenza sul lavoro di una vita, era in lacrime.

Le ho creduto: a ogni parola che ha pronunciato, a ogni lacrima che ha versato. Molte parole, non troppe lacrime. Più di quanto potessi credere. Mi sono identificata con lei, i suoi gesti, le sue parole, la sua pronuncia serba su una perfetta lingua inglese. Il suo discorso globalistico, il suo nomadismo e tutte le persone e i posti che abbiamo in comune: immaginarie e reali. Perfino le differenze mi hanno avvicinato alle sue emozioni e al suo lavoro.

Questa famosa artista di 63 anni, alla quale l'anno prossimo il MoMA (Museum of Modern Art) di New York dedicherà una ben meritata mostra retrospettiva, è in una forma impressionante: fisica e intellettuale. Ho sentito così tanto su di lei, gossip e recensioni artistiche. Ho seguito il suo lavoro attraverso tutti questi anni, dagli anni Settanta a Belgrado, quando la scena concettuale della città era viva e io vivevo a Roma, e poi nel melting pot concettuale italiano, nel quale le idee artistiche si formavano e disgregavano a una velocità maggiore del tempo reale. Ma a Torino, al GAM, questo guru leggiadro, sincero ed emotivo, performer esplosiva, non è stata la persona che mi aspettavo. È stata molto di più, di gran lunga più scatenata e viva. Come se la sua pur potente arte fosse solo un'ombra della sua impetuosa personalità.

Ha parlato della sua infanzia e dei suoi inizi d'artista. Ha raccontato del suo antico amore dodicenne e del suo lavoro con Ulay, artista olandese; ci ha rivelato come è andata avanti dopo la rottura con lui sulla Muraglia Cinese, quando ha abbandonato per qualche tempo le performance artistiche. Ha rievocato i successivi spettacoli musicali con le canzoni iugoslave, canzoni da una terra che non esiste.

Alla fine ha terminato la sua chiacchierata con una bellissima canzone ottimista cantata da una ragazza: in quel paese sconfitto che è oggi la Serbia moderna.

Ci ha detto che non le piace la tecnologia. Pensa che la gente dovrebbe usare la telepatia e non i telefoni, per acuire i livelli di coscienza trascendente e di spiritualità. I suoi famosi strumenti (tra gli altri) per l'arte e la conoscenza sono il dolore, la fame autoinflitta, la sete e lo sfinimento causato dal suo mettere alla prova il corpo, per volerne raggiungere i limiti e per sperimentare la trascendenza. Davvero una balcanica globale!

Tutti i suoi lavori sono incentrati sul corpo, il suo corpo, che ha subito prove severe in tutti questi anni: tagliato, ridotto alla fame, alla pubblica esposizione... La linea di demarcazione tra la spiritualità e le prove estreme è quasi invisibile, il cammino della vita conduce alla morte. Un artista dovrebbe essere preparato alla morte e a predisporre il proprio funerale, l'ultimo spettacolo della propria vita.

La nonna della performance art, come lei stessa si definisce, oggi insegna ovunque e con legittimo orgoglio: crede nella trasmissione della conoscenza e nella valorizzazione dei giovani per rappresentare, stabilire un contatto tra i loro corpi, le loro emozioni e quelle del pubblico. Le rappresentazioni non richiedono prove, o sei un performer o non lo sei.

A tale scopo Marina Abramović ha acquistato un teatro due ore a nord di Manhattan, ad Hudson, N.Y., nell'intento di stabilirvi l'ente no profit Marina Abramović Foundation for Preservation of Performance Art. Utilizzerà quello spazio per lavorare, sviluppare idee attraverso l'adozione di attrezzature video e di post-produzione, e come seconda casa per ospitare gli artisti.

In qualunque modo la sua arte appaia o suoni oggi, in questa nuova era tecnologica post-umana, la sua presenza frizzante e luminosa, il suo manifesto artistico, nel quale ella esorta gli artisti ad essere umili e sinceri e servi dell'umanità, ci dice che dovremmo affidarci alle nostre nonne: specie quando esse, come Marina, camminano lungo Muraglie Cinesi, lasciano che il loro corpo sia tagliato in pubblico e vivono nel deserto per un anno.

Alcuni anni fa, Marina Abramović tenne uno spettacolo ad Amsterdam nel quale lei interpretava il ruolo di una prostituta alla finestra e la prostituta prendeva il suo posto alla galleria: lo fece per identificarsi con la dura realtà di quella donna. A quelli che dubitano del significato della sua arte, suggerisco di fare altrettanto. Scambia il tuo posto con la persona che vuoi comprendere. Per un giorno soltanto.

Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Luigi Milani


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