“The House of Others - Skhvisi sakhli” della georgiana Rusudan Glurjidze

In settimana, a Bergamo e Milano, due importanti festival del cinema dedicano ampio spazio ai film dell'est Europa. Una rassegna

14/03/2017 -  Nicola Falcinella

Si svolgono in contemporanea due festival cinematografici lombardi che da anni dedicano molta attenzione all'Europa del sudest e al Caucaso. Da una parte il 35° Bergamo Film Meeting , in programma fino a domenica 19, incentrato su parecchie sezioni e sulla retrospettiva completa dedicata al regista ceco Miloš Forman, il premio Oscar per “Amadeus” e regista, tra i tanti film, de “Gli amori di una bionda”, “Qualcuno volò sul nido del cucuolo”, “Hair”, “Larry Flint” e “Man On The Moon”. Dall'altra il 24° Sguardi altrove Film Festival di Milano, rivolto soprattutto al lavoro delle registe donne, sempre in calendario fino a domenica. In entrambi i casi in evidenza Grecia, Georgia e Romania, piccole grandi potenze del cinema europeo di oggi.

Thanos Anastopoulos

I tre registi omaggiati a Bergamo nella sezione “Europe, Now” sono la francese Dominique Cabrera (“Nadia e gli ippopotami”), l'islandese Dagur Kari (“Noi albinoi” e “Fusi – Virgin Mountain”) e il greco Thanos Anastopoulos. Quest'ultimo è uno dei maggiori cineasti del suo paese, già assistente del grande Theo Angelopoulos e attivo in proprio dagli anni '90. Il regista sarà presente a Bergamo e venerdì pomeriggio terrà una masterclass all'accademia Laba di Brescia, prima della proiezione al Cinema Nuovo Eden di “L'ultima spiaggia”, documentario in co-regia con il triestino Davide Del Degan e presentato fuori concorso a Cannes nel 2016.

Il Meeting proietterà quasi tutti i suoi lavori, cominciando dal corto “Theatis – Onlooker” (1989), storia di uno studente universitario un po' flaneur che si aggrega a una manifestazione politica dopo aver mancato un esame. Poi il documentario “Pos se lene? - What's Your Name?” del 1998 in co-regia con Stella Teodoraki, un ritratto della Tracia, del suo essere crocevia della storia e punto di incontro di tanti popoli diversi. Fino ai lungometraggi maggiori “Correction” (2007) e “I kori – La figlia” (2012), entrambi passati alla Berlinale, mentre manca alla personale l'esordio “Atlas. All The Weight Of The World” (2004) che lo fece conoscere al festival di Rotterdam.

Rispetto agli altri, più noti, cineasti greci contemporanei, Athina Rachel Tsangari, Yorgos Lanthimos o Alexandros Avranas, Anastopoulos segue una linea poetica diversa, più realistica e meno metaforica. Il regista utilizza elementi anche di genere dentro un impianto molto credibile, seguendo da vicino storie di persone, spesso ai limiti o spinti ai limiti della società. Non stranezze, ma vicende e dolori credibili, opere meno furbe ma umanamente più dense ed empatiche.

“Diorthosis - Correction” segue un uomo uscito dal carcere che si ritrova in un’Atene popolata di immigrati e senza casa. Il regista crea un’atmosfera da thriller e pedina il protagonista senza spiegare niente di lui. L'uomo chiede aiuto ai servizi sociali, ai quali dichiara un nome greco, Yorgos, poi segue una bambina che esce da scuola, cerca una donna. Sono la figlia e la moglie dell’albanese che aveva ucciso anni prima dopo una partita di calcio tra le due nazionali.

Gli adulti sono assenti, inadeguati e pavidi in “I kóri – The Daughter”, racconto della crisi del paese ellenico attraverso i ragazzini che più ne pagano le conseguenze, soprattutto dal punto di vista morale. Un’adolescente sequestra un bambino di otto anni, figlio del socio in affari che ha mandato in rovina il padre, pieno di debiti. Assenti gli adulti, tocca ai piccoli, giovani aguzzini e indifese vittime sacrificali. Il piccolo, prelevato a scuola dalla ragazza, viene recluso nella falegnameria ormai abbandonata che diventa luogo da incubo. Il film ha un impianto realistico con elementi di fantastico che fanno sì che le apparenti incongruenze appaiano credibili: il rapimento non è organizzato, è opera di una quattordicenne che non sa come attirare l’attenzione perché suo padre, che viveva separato dalla madre, è scomparso nel nulla. Il gruppo di attori, Ornela Kapetani, Yorgos Simeonidis e Savina Alimani, è lo stesso del precedente film di Anastopoulos.

Completa l'omaggio il documentario “L'ultima spiaggia” realizzato con Davide Del Degan, un anno trascorso ai popolari Bagni La Lanterna di Trieste, meglio conosciuti come Pedocin, a pochi minuti dal centro cittadino, noti soprattutto perché uomini e donne occupano spazi separati, divisi da un muro. Un film di osservazione e ascolto dei frequentatori abituali o di chi ci capita una volta sola, un film sul passato che sembra non passare e sul presente, sull'amicizia e i tic, sul passare delle stagioni, sulle feste e l'affacciarsi della morte.

Bergamo film meeting

Il consueto focus del Bfm sull'animazione è dedicato stavolta alla giovane regista estone Chintis Lundgren, che da qualche anno vive e lavora in Croazia.

Nella Mostra concorso, che comprende sette lungometraggi votati dal pubblico in sala, due coproduzioni greche, l'esordio “Alba” dell'equadoregna Ana Cristina Barragan e “Voir du Pays – The Stopover” di Delphine e Muriel Coulin (già autrici di “17 anni”), già passato a Cannes, sulla “decompressione” di due soldatesse di ritorno dalla guerra in Afghanistan per alcuni giorni in un hotel a Cipro.

Anche i 14 documentari, inediti in Italia, provengono in gran parte dal Vecchio Continente. Interessanti due film romeni: il grottesco “Hotel Dallas” su un oligarca che negli anni '80 si costruì un albergo sul modello della celebre serie tv, al tempo l'unica in onda a Bucarest, e la delicata esplorazione dei rapporti familiari di “A Mere Breth” di Monica Lazurean-Gorgan. Il georgiano “Listen to the Silence” di Mariam Chachia sul sogno di Luka, nove anni, deciso a salire sul palco a ballare.

Sguardi altrove

Passando a Sguardi altrove, tra gli otto lungometraggi, dei quali sei opere prime, del concorso Nuovi sguardi, uno è georgiano e un altro è in buona parte girato in Grecia seppure sia ambientato ad Algeri.

Una guerra recente e dimenticata è lo sfondo di “The House of Others - Skhvisi sakhli” della georgiana Rusudan Glurjidze. Un'ambientazione ristretta, un villaggio semidisabitato tra le montagne, tra paure, odi e fantasmi, ma i giovani vogliono andare avanti. Abkhazia anni '90, poco dopo la conclusione della guerra. Un trafficante accompagna una giovane famiglia con due figli in un villaggio tra le montagne e consegna loro una grande casa tutta sbarrata che era appartenuta a persone fuggite durante il conflitto. Come vicini sono rimaste solo tre donne, mentre il padre è scomparso. Il capofamiglia appena arrivato, Astamur ex combattente, non si adatta alla nuova situazione, mentre la moglie Liza, russa, si occupa dei figli. Tra terreni circostanti minati e una casa che sembra uscire da un racconto horror, le tensioni tra le due famiglie crescono. Le difficoltà di affrontare il dopoguerra è quasi più difficile del periodo dei combattimenti stessi. Intorno, come nell'altro bel film georgiano “Tangerines – Mandarini”, gli alberi di mandarino, una varietà pregiata con la buccia sottile, come si sentono spiegare all’inizio, ma molti terreni sono minati: una capra esplode, per attraversarli bisogna essere “disperati o fortunati”. E resta la domanda irrisolta “chi ci abitava prima”, mentre il passato non si cancella.

Storia di donne chiuse, o protette, dentro un hammam ad Algeri nel 1995 è “À mon âge je me cache encore pour fumer- At My Age, I Still Hide to Smoke” di Rayhana, un film corale intorno a una carismatica proprietaria interpretata da Hiam Abbass. Il fanatismo religioso contrapposto alla storia, mentre le esigenze individuali emergono. È stato girato dentro il Bey Hammam di Salonicco, costruito nel 1444.

Nel concorso documentari competono “La chambre vide - The Empty Room” di Jasna Krajinovic, regista d'origine slovena che lavora in Belgio e racconta la storia di un ragazzo morto combattendo in Siria, e “Kazarken-as we dig - Kazarken” della turco-armena Güldem Durmaz, coproduzione Belgio/Francia, viaggio all'indietro nelle proprie origini fino al villaggio materno dal quale nel 1915 la popolazione armena sparì nel nulla.


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