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L'impatto della crisi greca sui paesi balcanici, i canali di contagio e una prognosi non del tutto infausta. Osservatorio ha intervistato Matteo Ferrazzi, economista dell'Ufficio studi di UniCredit

15/02/2010 -  Irene Dioli

L'Ufficio studi di UniCredit ha appena realizzato una ricerca sulla crisi economica greca e il suo possibile impatto nei Balcani ("SEE exposure to Greece: Much ado about nothing or a serious threat?"). Cosa ne emerge e qual è la vostra valutazione della situazione attuale della Grecia?

Pochi si aspettavano, come ha recentemente sottolineato Enzo Bettizza, che il grande malato dei Balcani potesse divenire la Grecia (e non i paesi dell'ex Jugoslavia). Le turbolenze legate alla sostenibilità dell'elevato debito pubblico greco ci hanno spinto a indagare se vi potesse essere un impatto sulle già fragili economie dei Balcani, area in cui le imprese greche svolgono un ruolo di primo piano. L'analisi non ha compreso però l'Albania, che è maggiormente legata all'Italia, e la Macedonia.

La ricerca dell'ufficio studi di UniCredit ha quindi analizzato i principali canali di contagio: i flussi commerciali, gli investimenti diretti esteri, la presenza delle banche greche e il possibile impatto in termini di adozione dell'Euro (l'Unione europea potrebbe divenire meno desiderosa di includere nuovi paesi nell'Euro qualora non fosse in grado di gestire le difficoltà dei paesi che già adottano la valuta comune).

Abbiamo sempre ritenuto assolutamente improbabile un default greco, ben prima che si palesasse il supporto dell'Unione europea. Tuttavia, riteniamo che l'aumento del rischio paese e l'aggiustamento fiscale greco possano avere un effetto sulla crescita dell'economia greca e anche sulla strategia delle imprese greche all'estero, banche in primis.

Quali sono i collegamenti tra economia e finanza greche e dei paesi balcanici? E quali i paesi più esposti?

La Grecia è un'economia relativamente piccola in termini generali - 240 miliardi di euro, circa un decimo di quella tedesca - ma un suo rallentamento potrebbe in linea di principio avere un impatto rilevante sulle piccole economie balcaniche (le dimensioni dell'economia bulgara e di quella serba non superano di molto i 30 miliardi di euro ciascuna, mentre quella bosniaca ammonta a circa 12 miliardi). La Bulgaria è tra i paesi più esposti in termini commerciali: quasi il 10% dell'export bulgaro ha come destinazione la Grecia. Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri è la Serbia il paese più esposto: le imprese greche fanno la parte del leone sul mercato serbo e rappresentano il 13% di tutti gli investimenti ricevuti dalla Serbia e provenienti dall'estero.

Tuttavia, questi due canali di contagio, seppure rilevanti, difficilmente possono creare problemi seri. Ad esempio, effettuando un semplice calcolo (considerando la quota greca di export bulgaro e l'apertura della Bulgaria al commercio estero) si evince che il possibile impatto sulla crescita bulgara rimarrebbe limitato a pochi decimali - e ancor meno per la Serbia, la Romania, la Turchia, la Bosnia. Anche le preoccupazioni legate all'adozione dell'euro non sono una delle principali fonti di preoccupazione: sarà eventualmente un problema che si presenterà tra qualche anno.

Il canale più rilevante è invece quello bancario: in Bulgaria ci sono quattro banche a controllo greco tra le prime dieci, tre in Serbia, due in Romania ed una in Turchia. Quasi il 30% del settore bancario bulgaro è controllato da banche greche, oltre il 15% nel caso serbo. È chiaro che in questo momento le banche greche, avendo costi di finanziamento molto elevati (superiori a quelli dello stato greco), fanno fatica a sostenere le proprie affiliate estere: quello che ne può risultare è un ulteriore indebolimento nella dinamica del credito (il temuto "credit crunch").

La Bulgaria è quindi il vicino più esposto: in particolare, quali sono i settori economici più a rischio in questo paese?

Oltre al già citato comparto bancario, vi sono tre categorie di settori che possono essere considerati più esposti: i beni agricoli e il settore alimentare (la Grecia è il principale mercato di sbocco in questi comparti); i servizi legati alla finanza, all'immobiliare, alle comunicazioni, ai trasporti, che tradizionalmente vedono gli investitori greci con un ruolo di primo piano; infine, i settori manifatturieri legati alle infrastrutture e alle costruzioni, potenzialmente danneggiati dalla possibile riduzione degli investimenti greci.

Uno scenario per il futuro prossimo e a medio-lungo termine?

Fino ad ora i paesi balcanici, e in generale i paesi dell'Europa centro-orientale, hanno evitato un contagio finanziario massiccio. I mercati finanziari - spesso dipinti come entità impersonali, ma invece frutto delle decisioni dei singoli - hanno cioè ben distinto i paesi con le finanze pubbliche in disordine (Grecia, ma anche Portogallo e Spagna) rispetto a quelli fiscalmente virtuosi (la Bulgaria, ad esempio, è il paese d'Europa a più basso deficit pubblico). Se pensiamo che il debito pubblico è una delle grandi eredità della crisi, questo non è un punto da sottovalutare. Se però la crisi greca si fosse inasprita, l'avversione al rischio sarebbe stata tale da danneggiare seriamente i paesi del sud-est Europa. Per fortuna non vi è all'orizzonte nessuno spettro di default di alcun paese, neppure della Grecia, e anzi i paesi europei stanno approntando un "paracadute", in caso di necessità.

Le economie balcaniche già vedono la ripresa all'orizzonte, ma il recupero dei livelli precedenti di attività economica sarà più lento che per i paesi dell'Europa centro-orientale. Gli investimenti diretti esteri, quasi dimezzati nel 2009, rimarranno pressoché stagnanti, ma tale andamento sarà compensato da fondi pubblici, progetti infrastrutturali e investimenti delle istituzioni internazionali. Il futuro, insomma, dopo un anno veramente difficile come il 2009, non è così cupo.


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