Boris Dežulović, Alem Ćurin, Viktor Ivančić (foto © Manuel Angelini - Sa(n)jam knjige u Istri)

Boris Dežulović, Alem Ćurin, Viktor Ivančić (foto © Manuel Angelini - Sa(n)jam knjige u Istri)

Due giornalisti di punta e un famoso caricaturista. Sono tra i fondatori dello storico settimanale satirico croato Feral Tribune. In questa intervista, il trio commenta senza peli sulla lingua la situazione in Croazia, lo stato di salute dei media e altro ancora

31/12/2018 -  Giovanni ValeSrđan Sandić Zagabria

I giornalisti Boris Dežulović e Viktor Ivančić e il caricaturista Alem Ćurin sono tra i fondatori della celebre rivista satirica Feral Tribune. Li abbiamo incontrati a Pola, al Festival del libro, per una chiacchierata sulla libertà di espressione e la politica in Croazia.

Il Festival del libro di Pola è dedicato quest’anno al lavoro di Predrag Lucić, vostro collega e amico, recentemente scomparso. Com’è iniziata l’avventura del Feral Tribune?

Boris: Questa è una domanda per Viktor. È lui il colpevole di tutto.

Viktor: (ride) Ho cominciato a collaborare con Predrag ancora prima che il Feral nascesse all’interno di Nedjeljna Dalmacija [un settimanale legato a Slobodna Dalmacija, oggi scomparso, ndr]. Lui lavorava come giovane studente (aveva vent’anni), mentre io lavoravo per una rivista studentesca presso la mia facoltà. Abbiamo iniziato a scrivere assieme al Feral per un po’ di tempo, poi, nel 1987, sono dovuto partire per il servizio di leva obbligatoria. Boro [Boris Dežulović, ndr] gestiva intanto una fenomenale rubrica satirica all’interno della rivista Omladiska Iskra [una rivista giovanile locale, ndr] e così ci siamo in qualche modo incrociati. Ci siamo come riconosciuti, c’era la stessa poetica e lo stesso spirito. E così, finché io ero nell’esercito loro hanno continuato a lavorare assieme e io li ho raggiunti non appena ho finito la leva. Dal Nedjeljna siamo passati a Slobodna Dalmacija, ma l’HDZ era già attivo e nel 1993, quando l’HDZ si è preso anche Slobodna Dalmacija, ce ne siamo andati e abbiamo creato il Feral Tribune, con un gruppo più ampio: c’era Alem e un paio di giornalisti provenienti da altre redazioni. Alem era presente dal primo numero.

Qual era l’accordo iniziale di collaborazione? Potevi fare quello che volevi in quanto alle vignette?

Alem: Loro mi piacevano molto, ma erano più giovani di me, per cui io non li ascoltavo, mentre loro ascoltavano me (ride). Non mi hanno mai censurato, in generale avevo carta bianca.

Il fatto che il Feral sia nato a Spalato significa qualcosa? C’è chi dice che solo lì poteva nascere una cosa del genere..., è vero?

Boris: No, no, si tratta di un mito. A Spalato siamo stati un incidente.

Viktor: È come se fossimo atterrati da Marte.

Boris: Davvero, è successo per caso.

Alem: E solo a Spalato hanno bruciato le copie del Feral!

Boris: Posso capire che la gente abbia creduto a questa storia della Spalato ribelle, è una storia che seduce, ma non è la verità. Noi non siamo nati da quella tradizione, ma al contrario dalla ribellione contro la tradizione di Spalato. Il Feral non è mai stato tanto odiato ed ignorato come a Spalato. Conosco per nome gli spalatini a cui piaceva il Feral. Non esagero. Era una setta, non era Spalato.

Viktor: Quando uscivo per strada per andare alla redazione a Bačvice, passavano meno di dieci minuti prima che qualcuno mi dicesse “vaffanculo”. E ricevevo due o tre attacchi del genere ogni giorno.

Boris: Detto questo, quello non era niente rispetto a quanto succede oggi.

Oggi è peggio?

Viktor: È una cosa dettata dall’alto. Ci sono stati degli anni tranquilli.

Boris: Gli anni 1998, 1999, 2000, 2001… sono stati anni comodi all’opposizione. Diciamo fino a che è arrivato Sanader, poi è iniziato il casino. Oggi, è peggio che mai.

Si può dire davvero che c’era più libertà di espressione nella Croazia degli anni Novanta che oggi?

Boris: La risposta breve sarebbe “sì”. Perché allora c’erano dei media e quindi poteva esserci una “libertà dei media”. Oggi non ci sono più media veri e propri. Tuttavia, quando si dice che c’era più libertà di espressione negli anni Novanta, questo suona bene, ma la verità è che c’era libertà di espressione al Feral. E per puro caso, il Feral era un media e per puro caso era croato. Il fatto che fosse pubblicato in questo paese ci fa dire che la Croazia autorizzava allora una certa libertà di espressione, ma è l’unico motivo. Oggi, il Feral sarebbe impossibile, infatti siamo qui in un bar di Pola a parlare del suo passato. Gli altri media non sono neanche lontanamente liberi, non sono nemmeno media o comunque non nel modo in cui li intendiamo, ovvero come mediatori tra la realtà socio-politica e i lettori. Oggi i media sono dei volantini di marketing.

Oggi lavorate tutti e tre al Novosti, il settimanale della minoranza serba in Croazia. Come mai?

Boris: Il motivo è più semplice di quel che potrebbe sembrare in una gloriosa storiografia: stando alle regole dell’Unione europea, la Croazia è obbligata a dare dei soldi alle minoranze nazionali e noi abbiamo occupato quello spazio mediatico.

Viktor: Siamo un errore nel sistema. E non siamo nemmeno serbi, cazzo!

Boris: Per la prima volta in 30 anni di carriera, siamo riconosciuti come croati e sentiamo la gente dire: “Come possono dei croati lavorare per una rivista serba?!”. Ma com’è che fino a un attimo fa ci dicevate che eravamo dei cetnici, porca puttana? (ride). Le autorità cercano in continuazione di interrompere questo finanziamento [al Novosti, ndr] ma vogliono farlo senza dispiacere a Bruxelles. Una cosa che, se pensiamo a come le cose evolvono nella storia, diventerà sempre più possibile. Penso che con questo tipo di Unione europea, troveranno un modo per interrompere il finanziamento al Novosti.

Da un lato, il Novosti è stato bruciato diverse volte nel centro di Zagabria, dall’altro voi siete costantemente sotto attacco. Per non parlare delle azioni legali nei vostri confronti…

Viktor: Abbiamo smesso di contare le multe dopo aver superato i due milioni di marchi ai tempi del Feral.

Boris: I tribunali e le azioni legali fanno parte del lavoro, anche se si fa giornalismo in Finlandia. È un meccanismo efficiente per far chiudere il becco alla gente. Qui, se ne sono accorti e lo usano contro chiunque metta in discussione, anche lontanamente, l’ordine esistente. Non è per forza di cose l’alta politica a farlo, i croati, i serbi, l’HDZ, può bastare anche un giudice locale o un piccolo mafioso. E quando anche i giudici cominciano a farti causa, allora sei davvero fregato. È un sistema chiuso, in cui diventa sempre più difficile parlare ad alta voce, senza pagarne il prezzo e sparire.

Boris Dežulović, Alem Ćurin, Viktor Ivančić (foto © Manuel Angelini)

Boris Dežulović, Alem Ćurin, Viktor Ivančić (foto © Manuel Angelini)

Cosa rispondete a chi dice che c’è bisogno di un nuovo Feral Tribune in Croazia?

Viktor: Il Feral era uno spazio creativo, diverso da ciò che è il Novosti oggi. Sono dei grandi al Novosti, ma l’infrastruttura è cambiata. I media hanno cominciato a vivere di pubblicità e quello è stato un errore strutturale. È come se tu facessi un lavoro, ma vivessi di qualcos’altro. Quello ci trascina in una rete di obbedienza. Se cominciassimo oggi un nuovo Feral, non riceveremmo neanche una pagina di pubblicità e faremmo subito bancarotta. Molto più in fretta che in passato.

Boris: Se qualcuno mi avesse detto 30 anni fa, che 30 anni dopo io avrei detto che lo Stato deve finanziare la stampa, l’avrei mandato a cagare. Che lo Stato mi finanzi, mi sembrava un insulto di per sé. Ma l’informazione è diventata un bene pubblico, come l’acqua corrente o l’aria pulita: è un servizio pubblico che dev’essere protetto. L’unico giornalismo possibile in futuro sarà quello finanziato dai soldi dei cittadini, che pagheranno per il proprio diritto all’informazione e alla critica. Così come si paga per l’acqua.

Alem, cos’è cambiato negli anni nel tuo modo di disegnare il potere?

Alem: Beh, il fatto che sono arrivato in prima pagina. Non ho più la libertà che avevo quand’ero nelle pagine interne. Prima, potevo fare di tutto. Ma sulla prima pagina, cazzi e fighe non sono più permessi. Ecco che ora più che mai, tante delle mie vignette sono rifiutate dal Nacional (una rivista croata, ndr.).

Qual è il rapporto, oggi, tra satira e fake news? Spesso chi è vittima della satira, l’accusa di essere semplicemente una “fake news”…

Viktor: Quello è fascismo. Una delle caratteristiche del fascismo è quella di confondere le categorie di verità e menzogna. Oggi, fanno passare le balle per della satira. L’obiettivo, mi pare, è quello di togliere senso a queste categorie e creare uno spazio pubblico che sarà semplicemente fatto di pazzia e manipolazione. Dopodiché, lo si potrà giustificare come libertà di espressione o come satira. E poi le fake news diventeranno vere e tutto andrà a puttane.

Ma la gente ha ancora voglia di satira? O il politicamente corretto ci ha intontiti?

Alem: Personalmente, non me ne frega niente del politicamente corretto. È aria fritta. Io sono stato politicamente incorretto fin dall’inizio. È una definizione che proprio non riconosco.

Avete mai pensato di lasciare la Croazia?

Boris: Se potessi tornare indietro con le conoscenze di ora al 1989 o al 1990, probabilmente non mi passerebbe nemmeno per la testa di restare. Perché non potrei tollerare l’idea di aspettare la pensione scrivendo gli stessi testi. Sono trent’anni che scriviamo le stesse cose… Ma all’epoca no, non ci siamo posti la domanda.

Alem: Io sono rientrato subito prima che la guerra scoppiasse…

Boris: Abbiamo ricevuto delle offerte, ma la nostra decisione di restare era motivata dal fatto che non volevamo accettare la sconfitta. Non volevamo dare quel piacere a quei figli di puttana. Era il rifiuto di arrendersi di fronte a un nemico che ci sovrastava. “Non ce ne andiamo, che si fottano!”, ci sentivamo così. Ora potremmo anche andarcene…

Alem: Ma ora non serve a un cazzo partire. Io sono in pensione!

Parliamo di politica, cosa pensate della sinistra di oggi in Croazia?

Boris: In Croazia, la sinistra non c’è mai stata, se parliamo della Croazia moderna. Quello che chiamiamo SDP è nato dal programma machiavellico di Ivica Račan e dei suoi compagni nel 1990. È un altro partito dell’establishment, ma con un simbolo diverso e un’altra retorica. L’unica differenza con l’HDZ è che nell’SDP non ci sono criminali di guerra, ma la vera sinistra non esiste. Tuttavia, non si tratta di un problema unicamente croato. Sinistra e destra sono vecchie creature dell’establishment, dei modelli usati per dividere il mondo. E oggi più che mai, perché il capitalismo è più brutale che mai. Oggi, tuttavia, la destra è diventata mainstream, mentre la sinistra non la si vede nemmeno all’orizzonte.

Quindi qual è la via d’uscita? Che si può fare?

Boris: All’età di 54 anni ho capito delle cose che a 25 non si capiscono, ovvero che non si può cambiare il mondo. Trent’anni dopo, quello che ho capito è che devo creare la mia piccola oasi personale. L’ho trovata in un piccolo paesino, dove le persone più belle, intelligenti ed importanti dell’ex Jugoslavia vengono a trovarmi. Passiamo del tempo assieme, parliamo, io faccio la grappa e il vino e quella è la nostra piccola isola di libertà. Purtroppo, non si può liberare il mondo o l’Europa e nemmeno questa cazzo di Croazia. Però, puoi liberare i tuoi 500 metri quadri. Diciamo che questo mondo è andato a puttane e che l’ultima speranza che abbiamo è quella di investire nei bambini, di piantare in loro il seme del dubbio, della critica e della libertà.


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