La battaglia diplomatica, iniziata dopo che la Corte Internazionale di Giustizia si è dichiarata competente sul ricorso per genocidio presentato da Zagabria contro Belgrado, si è smorzata. Secondo diversi analisti croati, sarebbe stato meglio se la Corte non avesse accolto il ricorso

28/11/2008 -  Drago Hedl Osijek

Sembrava che Serbia e Croazia si fossero addentrate in una guerra diplomatica dall'esito incerto: quando la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja si è dichiarata competente a decidere sul ricorso con cui la Croazia accusa la Serbia di genocidio, è arrivata una violenta risposta da Belgrado.

Il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremić ha subito dato l'incarico per presentare una contro accusa, che riguarderà i crimini croati commessi durante l'operazione Oluja (Tempesta) del 1995, quando la Croazia, con un'azione militare, ha ripreso il controllo dei territori controllati dai serbi insorti. Il contro-ricorso serbo si estenderà fino agli eventi della Seconda guerra mondiale. Zagabria l'ha ovviamente respinta, sostenendo che nell'ultima guerra nessun soldato croato ha combattuto in Serbia, né tanto meno il suo esercito ha distrutto città serbe (com'è avvenuto, ad esempio, con la città croata di Vukovar). Così si è passati anche a minacce più serie. Il sindaco di Belgrado, Dragan Đilas, si è rifiutato di ricevere la visita dell'ambasciatore croato Tonči Staničić, mentre Zagabria ha iniziato a parlare della possibilità di inserire il visto per i cittadini serbi.

Molto velocemente, però, dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri croato Gordan Jadranković, questa eventualità è stata scartata. A quanto si è saputo, gli europei hanno detto chiaramente sia alla Croazia che alla Serbia che è necessario mantenere la calma, e che la stabilità della regione, nella quale negli ultimi 15 anni la comunità internazionale ha investito molte energie e ingenti somme di denaro, è qualcosa con cui non si deve scherzare.

Le scaramucce diplomatiche tra Belgrado e Zagabria, che subito alcuni mezzi d'informazione hanno descritto con titoli altisonanti come una "guerra fredda" tra i due vicini, che con grande fatica erano riusciti più o meno a normalizzare i propri rapporti, sono arrivate in un momento decisamente inopportuno. Soltanto due settimane prima che scoppiasse questa "guerra fredda", a Zagabria, dopo 9 mesi, aveva fatto ritorno l'ambasciatore serbo Radivoj Cvetićanin, richiamato da Belgrado a tempo indeterminato dopo che la Croazia, a metà marzo di quest'anno, aveva riconosciuto il Kosovo. Sembrava che, dopo un forte congelamento nei rapporti, si prospettasse una via d'uscita. E' stato allora che è arrivata la decisione della Corte Internazionale di Giustizia che si è pronunciata favorevolmente sull'accoglimento del ricorso croato per genocidio. Così è di nuovo scoppiato il panico.

A Zagabria gli esperti giuridici più prudenti, ma anche diplomatici d'esperienza, dichiarano informalmente che sarebbe stato meglio se la Corte si fosse pronunciata a sfavore. Sarebbe stata un'elegante uscita di scena per entrambi, Croazia e Serbia. In questo modo invece la Croazia, data la definizione giuridica di genocidio, difficilmente potrà provare che nella guerra condotta tra il 1990 e il 1995 sui suoi territori un genocidio è stato commesso. Una cosa sono i crimini di guerra, altro il genocidio. Pochi si permettono di dirlo pubblicamente, dato che l'opinione pubblica è molto sensibile su tale questione, e che nei tribunali croati si sono processati crimini di guerra sulla base di numerose accuse in cui si nomina spesso e con facilità il genocidio.

Il noto avvocato croato Ante Nobilo, che vanta una grande esperienza nella difesa degli imputati dell'Aja accusati di crimini di guerra, ha suscitato una vera e propria bufera di disapprovazione quando ha affermato che l'azione militare croata "Tempesta" presenta più elementi che potrebbero avvicinarsi alla definizione di genocidio rispetto al crimine di Vukovar, commesso contro i croati da parte serba. Ma nemmeno l'operazione Tempesta, secondo la definizione legale, avrebbe le caratteristiche di genocidio.

La maggioranza dei tecnici, tra cui anche il dottor Ivo Josipović, che ha partecipato alla stesura del ricorso croato, sostiene che "non sarà facile" provare il genocidio. "La Corte internazionale di Giustizia, insieme ai giuristi internazionali in generale, adotta una definizione di genocidio molto ristretta, lo si è visto anche nel caso Bosnia Erzegovina contro Jugoslavia", afferma Josipović, che aggiunge: "La domanda è se la Corte tratterà tutti questi crimini terribili come genocidio oppure soltanto come crimini, nel qual caso non confermerà il genocidio."

L'accusa di genocidio è stata presentata dalla Croazia nel 1999 al tempo del regime di Franjo Tudjman e, secondo alcuni analisti, era frutto più del tentativo di calmare la destra radicale che di una vera convinzione di poter vincere un tale ricorso. Oggi i rapporti tra Croazia e Serbia sono sostanzialmente differenti, anche se i due paesi hanno diverse questioni ancora aperte. Queste vanno dall'irrisolta delimitazione del Danubio, fiume che segna più di metà del loro confine comune lungo 241 km, alla questione della successione sulle proprietà divise, al ritorno del tesoro culturale croato che durante la guerra era stato trasferito in Serbia, fino al problema delle persone scomparse ed esiliate al tempo della guerra.

Dall'altro lato, tuttavia, i rapporti economici sono decisamente migliori. Gli scambi commerciali relativi all'anno scorso ammontano a 994,4 milioni di dollari americani, una somma quattro volte maggiore rispetto a sei anni fa. La Serbia è uno dei pochi paesi con cui la Croazia ha un trend commerciale positivo, in quanto l'esportazione dello scorso anno in questo paese è stata di circa 665 milioni di dollari. In un momento di crisi economica, che si fa già sentire in entrambi i paesi, questo non è un dettaglio insignificante, come non lo è il fatto che entrambi, a breve, anche se con un vantaggio croato, si vedono all'interno dell'Ue.

Questi fatti, oltre alle pressioni della comunità internazionale per smorzare i toni accesi, hanno fatto sì che la guerra diplomatica terminasse presto. Questo è stato reso evidente dalle dichiarazioni molto tranquillizzanti e dai toni più calmi di Belgrado e Zagabria. La bufera nel bicchier d'acqua si è presto calmata, quando è stato chiaro che entrambe le parti avrebbero dovuto bere dallo stesso bicchiere.


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