Alcuni partecipanti ad un campo internazionale lungo il fiume Una

Riportiamo un'intervista con Paola Lucchesi, giornalista ed impegnata, da più di tre anni nella creazione e promozione di un parco nazionale in Bosnia Erzegovina lungo il fiume Una.

01/08/2003 -  Davide Sighele

Il 22 ed il 23 agosto scorso si è tenuto a Sarajevo una conferenza sulle aree protette. Un momento rilevante promosso da Federparchi e dalla Cooperazione Italiana per confrontare esperienze italiane e bosniache nel settore della salvaguardia delle risorse ambientali e della gestione, protezione e sviluppo sostenibile delle aree protette. All'incontro era presente Paola Lucchesi, attivista nel campo ambientale, da più di tre anni attiva in Bosnia Erzegovina per la creazione di un parco nazionale lungo il fiume Una. "Il fiume più bello del mondo", come afferma lei.

Osservatorio sui Balcani: Cosa vi è stato in questi giorni a Sarajevo? Perché vi hai partecipato?
Paola Lucchesi: Sono stata a Sarajevo per due ragioni. Innanzitutto ho partecipato ad una conferenza di due giorni organizzata dalla cooperazione italiana insieme a Federparchi. E' stata la prima occasione di scambio di esperienze italiane e bosniache sui parchi, sulle aree protette ed è emersa l'intenzione di avviare una collaborazione ad ampio raggio. A riprova di questo l'elaborazione e l'approvazione di una dichiarazione d'intenti. Verso fine settembre è previsto un nuovo incontro in seguito al quale si costituirà un comitato paritetico il cui compito sarà promuovere i rapporti tra i due Paesi su questo specifico argomento.
OB: Stanno già nascendo progetti concreti in questo campo specifico?
PL: Si. In particolare si sta parlando della partecipazione italiana tramite l'Unesco alla costituzione di un centro di educazione ambientale situato proprio a Sarajevo. Fondi italiani, canalizzati dalla Banca Mondiale, sono inoltre a disposizione per un progetto ad ampio raggio sulla tutela delle foreste che si svilupperà coprendo varie aree. Una di queste sarà sicuramente quella del monte Igman, sopra Sarajevo. Un pomeriggio intero del convegno è stato inoltre dedicato alle presentazioni di soggetti italiani e bosniaci che si occupano di ambiente. Tra queste ad esempio Federparchi, Legambiente e Agriconsult.
OB: Il secondo motivo della tua presenza a Sarajevo?
PL: Da tre anni mi occupo del lancio del terzo parco nazionale bosniaco, il Parco sulla Una. E' stata una piacevole coincidenza che l'approvazione da parte del Ministero dell'ambiente federale del programma di lavoro che porterà alla costituzione del parco sia corrisposta con i due giorni di lavoro sull'ambiente e le aree protette.
OB:Perché proprio la Una?
La Una è il mio grande amore. Il fiume che io reputo il più bello del mondo. In questi ultimi tre anni ho cercato di stimolare le associazioni italiane che si occupano di ambiente ed ecologia a promuovere progetti nelle aree attraversate dal fiume. Stiamo anche creando un portale web e sono ormai molti i viaggi da me organizzati di "turisti non per caso". Ho appena terminato di seguire un campo di volontariato internazionale proprio nel cuore di questo futuro parco. E' quindi stata una felice coincidenza che questi due avvenimenti si tenessero negli stessi giorni. Venerdì scorso il Ministero della Federazione di Bosnia Erzegovina ha dato il via libera ad un programma di lavoro sul parco della Una, elaborato da una commissione nominata dal governo. Con questa commissione sono in contatto da diversi mesi; in particolare stiamo promuovendo un dialogo con alcune regioni italiane, Piemonte e Friuli Venezia Giulia in particolare. Speriamo di iniziare fin da subito con qualche progetto concreto che possa ad esempio sostenere i primi necessari studi di fattibilità sul parco.
OB: La costituzione di una parco nazionale è sentito anche dalla popolazione delle aree che il parco dovrebbe comprendere?
PL A Bihac ed in tutta la regione attendono con trepidazione che il progetto faccia passi avanti. La costituzione di un parco è stata fortemente caldeggiata e desiderata da tutti gli esponenti delle aree che si affacciano sulla Una.
OB: A questo proposito nel documento introduttivo a queste due giornate di lavoro si parla di economie legate alle "risorse Parco". Possono essere questi parchi naturali un modo per risollevare almeno alcune delle economie locali della Bosnia Erzegovina? E' un'aspettarsi troppo?
PL: I cittadini delle aree che dovrebbero essere comprese dal futuro parco ci sperano molto. Il turismo è uno dei settori tra i più redditizi al mondo e quindi sperare che parte della fetta arrivi anche in Bosnia Erzegovina non è illusorio. In questi tre anni ho condotto alcuni gruppi in "avanscoperta", se così si può dire, per valutare le potenzialità turistiche di determinati luoghi, e per capire cosa sarebbe possibile fare in questo futuro parco nazionale. La mia conclusione è che le possibilità sono molteplici e derivano innanzitutto da una ricchezza marcata della Bosnia Erzegovina in termini di biodiversità e di paesaggi estremamente affascinanti. Anche se vi sono senza dubbio alcuni problemi ...
OB: Quale il principale?
PL: Il primo è legato alle infrastrutture, spesso carenti o del tutto inesistenti. I posti più belli sono tipicamente quelli dove trovo difficoltà a fare alloggiare le persone, e non è un problema da poco.
OB: Quali invece le eredità del passato che più pesano e rendono difficoltoso un definitivo lancio di iniziative di questo tipo?
PL: Vi è un gap educativo che va senza dubbio colmato. Tra guerra, dopoguerra e recessione economica c'è un buco di dieci anni che è peggiore delle arretratezze che già c'erano. C'è da svolgere moltissimo lavoro di sostegno. Ma quest'ultimo deve essere assolutamente rispettoso. Proprio ora sono ad esempio in compagnia di due colleghe e amiche, madre e figlia. La prima è geologa, la seconda ingegnere meccanico ma sta per recarsi a Roma per seguire un corso di specializzazione sul trattamento dei rifiuti. Sta infatti partecipando ad un progetto Life e si occupa della nuova legge sui rifiuti in BiH. Questo per far comprendere come vi siano delle ottime risorse umane sulle quali contare che hanno però bisogno di sostegno e di restare in contatto con istituzioni scientifiche italiane ed europee. Se ne è parlato molto in questi giorni di convegno. Io voglio insistere su questo punto in particolare perché sarebbe un errore lasciare sole queste persone.

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