Proteste davanti alla sede della Corte dell'Aja

La sentenza della Corte di giustizia internazionale sul genocidio di Srebrenica non ha per nulla sorpreso gli analisti più lucidi e razionali. Un commento dal nostro corrispondente da Sarajevo

28/02/2007 -  Zlatko Dizdarević Sarajevo

La storia è già nota, e in breve dice quanto segue: la Corte internazionale di giustizia dell'Aja, nel caso dell'accusa della BiH Bosnia Erzegovina contro la Serbia e Montenegro per il genocidio in BiH commesso durante la scorsa guerra ha deciso che: la Serbia non ha commesso il genocidio in BiH; la Serbia non ha pianificato di eseguire il genocidio e non ha istigato al genocidio; la Serbia non ha partecipato al genocidio; la Serbia è responsabile di non aver impedito il genocidio a Srebrenica; la Serbia è responsabile per non aver consegnato al Tribunale dell'Aja il generale Ratko Mladic, accusato del genocidio di Srebrenica; la Serbia non ha l'obbligo di pagare il risarcimento; la Serbia deve adottare la dichiarazione con la quale riconoscerà di non aver impedito il genocidio di Srebrenica.

Questi sono i fatti riportati in modo libero, tutto il resto è interpretazione. Oggi in Serbia in molti credono che questa sentenza sia motivo per festeggiare. Così, innanzitutto, si sente la maggior parte della gente. Precedentemente, questa gente ogni giorno veniva convinta che non ci fosse nemmeno alcun motivo per l'accusa. I più moderati, i più sobri e i più razionali non vedono alcun motivo per festeggiare. Anzi.

In Bosnia ed Erzegovina in molti credono che la sentenza sia del tutto frustrante, ingiusta e persino vergognosa. Così anche in Serbia la pensa la maggior parte della gente. Anch'essa era stata anticipatamente preparata con una forte offensiva dei media "orientati patriotticamente ". Coloro i quali fino a ieri non erano proprio convinti che il Tribunale potesse accusare la Serbia per il genocidio in BiH, pubblicamente erano quasi considerati nemici dello Stato. Contemporaneamente, anche in Bosnia oggi esiste una minoranza di coloro i quali a mente fredda analizzano la decisione del Tribunale. Le compiute mancanze grazie alle quali la decisione che è stata presa non è differente, in molti le individuano prima di tutto nel proprio cortile, e solo in seguito su altri fronti.

A seconda del luogo dal quale si analizza "la storica decisione del Tribunale", il giorno dopo si leggono anche i titoli dei media. I media al servizio degli interessi serbi nei titoli sottolineano "la finale innocenza della Serbia", mentre gli altri potenziano la parte di decisione dove si riconosce l'importante fatto internazional-giuridico: la Serbia è il primo Stato ad essere condannato per aver violato la Convenzione sull'impedimento e sulla mancata punizione del crimine di genocidio.

Sakib Softic e Radoslav Stojanovic

I team legali di entrambe le parti, dopo la sentenza, hanno cercato di mettere in primo piano i propri meriti per la sentenza, attribuendo in modo aggressivo a se stessi "il successo" nel rappresentare l'accusa, o la difesa. Le loro prime dichiarazioni sono politicamente più contenute e più bilanciate rispetto alle dichiarazioni di alcuni funzionari statali e politici. Gli avvocati della Serbia festeggiano dimostrando di aver vinto, invece il team legale della BiH afferma di "non essere del tutto insoddisfatto". Contemporaneamente la foto dove i capi dei team legali di entrambe le parti, Radoslav Stojanovic e Sakib Softic, si stringono cordialmente la mano con dei grandi sorrisi dopo la sentenza ha fatto il giro di tutto il mondo!

Riguardo l'accusa, da tutte le parti ci sono infinite dichiarazioni varie e differenti. Negli esiti di queste dichiarazioni, in alcuni casi persino anche molto bizzarre e al di fuori del contesto dell'intera storia, ci sono alcuni denominatori comuni. Questi denominatori comuni sono:

Il caso dell'accusa è finito con un'evidente "saggezza" che le istituzioni della comunità internazionale dimostrano sin dall'inizio della guerra sui territori della ex Jugoslavia. Questa "saggezza" è che la conclusione deve essere sempre la seguente: non c'è un colpevole esclusivo né una vittima esclusiva delle "parti in guerra". La soluzione politico-legale deve essere in armonia con un detto popolare: "Salvare capra e cavoli". La guerra in BiH è terminata in armonia con questa posizione, l'Accordo di Dayton è stato scritto in armonia con questa posizione, lo stato della BiH è organizzato in armonia con questa posizione ed era illusorio aspettarsi che l'ultima decisione riguardo l'intera vicenda sarebbe stata diversa.

A qualsiasi osservatore esterno un po' serio è del tutto chiaro che l'Unione europea desidera assicurare alla decisione dell'Aja lo status di "chiusura della pagina bellica sui Balcani". La prima reazione di Havier Solana riguardo a ciò è più che chiara. Egli dice che la "sentenza contribuirà alla chiusura del dibattito sulla drammatica storia che è stata dolorosa e dannosa per molti..." E aggiunge ancora più precisamente che "la più alta corte al mondo, alla fine, ha chiuso questa pagina".

Personalmente, dubito che sia la fine e che la pagina sia chiusa.

Per i cittadini della BiH che un tempo furono gli assoluti sostenitori della proclamazione d'esistenza di una giustizia mondiale, questa giustizia internazionale non esiste più già da tempo. Inoltre gli è più che chiaro che la giustizia e la politica non hanno alcun legame reciproco. L'interesse che si chiama politica, è più forte di tutto il resto. Persino anche di quello che hanno vissuto loro stessi. La decisione della Corte dell'Aja sarebbe stata la creazione di nuova norma legale nei rapporti internazionali. Quale persona intelligente avrebbe potuto credere che nel caso della Bosnia si sarebbe creata una norma legale che un domani avrebbe riguardato i grandi e i potenti? Che stupidità! Ci si poteva aspettare che la comunità internazionale, del tutto presa dalla situazione in Serbia e in particolare dalla questione del Kosovo, avrebbe preso una decisione che avrebbe ulteriormente destabilizzato la situazione che c'è là? Che stupidità!

Un fatto molto importante nell'intera storia è la pace relativa che caratterizza entrambe le parti il giorno seguente alla lettura della sentenza. La gente non è uscita per le strade, e questo non sarebbe stato strano per ambo le parti. I motivi, naturalmente, sarebbero stati del tutto opposti, gli uni per festeggiare, gli altri per protestare. La storia, con una significativa enfasi, però è come se rimanesse all'interno del dominio di ragionevoli reazioni e analisi. Qualsiasi altra cosa sarebbe stata dannosa.

Dalla parte bosniaca solo adesso esce piano in superficie la domanda: cosa abbiamo ottenuto e cosa abbiamo perso con tutto ciò? È sintomatico ed è amaro il commento del professore di Sarajevo che dice: "E' cinico che proprio la BiH con la sua accusa abbia affrancato la Serbia dall'accusa di genocidio. Non sarebbe stata tolta questa ipoteca se la BiH avesse valutato in modo più saggio che nel mondo in cui viviamo la decisione non sarebbe potuta nemmeno essere diversa".

Infine, i motivi per festeggiare in Serbia? Appena si saranno ripresi si vedrà che non ce ne sono. Nella molto ufficiale "Politika", la caporedattrice nel primo commento il giorno dopo la sentenza ha scritto: "Comunque con la sentenza della più rispettabile Corte internazionale siamo diventati parte di una qualche storia ufficiale e sentenziata di genocidio. Con ciò nemmeno la nostra innocenza davanti alla giustizia internazionale è del tutto completa..."

Dal punto di vista sul cosa fare dopo, suddetto commento è ancora più provocatorio: "... La sentenza dell'Aja ha risolto anche la natura del crimine di Srebrenica. Per il resto del mondo questo sarà per sempre un genocidio. Il crimine di Srebrenica è stato commesso dai serbi, da individui, dell'altra parte della Drina, e la Serbia in questo, dice la corte, non ha preso parte. Né aiutato, né istigato. Ma per il destino collettivo serbo in questi territori comunque non può essere insignificante che i vicini della Bosnia useranno a proprio vantaggio questa sentenza come un'ottima base per la radicale delegittimazione dell'esistenza della Republika Srpska..."

Il senso delle conseguenze, insieme al disaccordo sulle sfumature riguardo l'interpretazione della storia dell'Aja, in questa citazione è diagnosticato in modo esatto e logico. Non è stato risolto ancora niente, e nemmeno si è giunti al termine.


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