Relazione di Muhidin Hamamdzic, sindaco di Sarajevo - Padova 5 maggio 2001

03/11/2001 -  Anonymous User

Sento questo incontro come la riunione degli amici della libertà, della democrazia e della gioia di vivere in generale. Come sindaco di Sarajevo, la città che è sopravvissuta all'assedio militare più lungo della storia moderna, ho forte questa sensazione, e voi che siete presenti qui siete la conferma delle mie speranze e aspettative di quelle difficili 1.000 notti, senza sonno e senza cibo, sotto il fuoco dell'artiglieria, quando continuavo a dire a me stesso e agli altri: "Prima o poi, l'Europa riconoscerà i valori che si difendono a Sarajevo e in Bosnia Erzegovina".

Il tema suggerito per il mio discorso è "Sarajevo e l'instabilità della Bosnia-Erzegovina"; se mi permettete, vorrei allargare un po' e intitolarlo "Sarajevo, Bosnia e l'instabilità dell'Europa".

Questo perché, se Sarajevo avesse ceduto fra il 1992 e il 1995, se fosse stata conquistata dall'esercito che attaccava la città sotto la bandiera dell'odio nazionale di un qualsiasi Slobodan Milosevic, sono sicuro che questa sarebbe stata la più disastrosa sconfitta dell'Europa democratica.

A Sarajevo si è lottato per, e si è difesa, l'idea di un'Europa senza confini, di un'Europa di cittadini eguali, di un'Europa delle autorità statali e locali responsabili e al servizio dei cittadini, di un'Europa in cui si viva bene e felicemente.

Vorrei cogliere l'occasione per rilevare che i grandi principi della civilizzazione occidentale devono vigere anche per i piccoli popoli e per i paesi confusi nella transizione, che sembrano essere, per usare le parole dei media, in situazione di 'adolescenza prolungata'. L'attenzione materna dell'Europa democratica è necessaria e noi in Bosnia Erzegovina comprendiamo quest'attenzione come una supervisione opportuna e bene accetta, fino a quando le cose non cambieranno, assumendo un corso normale, logico, maturo e quotidiano. I conflitti e l'incomprensione con la comunità internazionale, e sto parlando della parte democratica della politica e dell'opinione pubblica della Bosnia, sono il risultato della nostra impazienza e del nostro desiderio di accelerare il processo che condurrà la Bosnia al luogo a cui essa da sempre appartiene: l'Europa. Spero che le ambizioni nostalgiche e imperiali di certi personaggi, che vedevano la Bosnia come una colonia africana del XIX secolo, e se stessi nel ruolo di missionari, siano definitivamente tramontate.

Poiché rischio di allontanarmi definitivamente dal tema, e questa è una specialità balcanica, cercherò di spiegare la correlazione fra Sarajevo e la Bosnia e fra la Bosnia e l'Europa. Un bravo matematico potrebbe esprimerla con una formula matematica. E dove c'è la matematica, non c'è spazio per le emozioni e la soggettività.

Quanto più Sarajevo è instabile, quanto più sono negativi o in deterioramento i processi politici ed economici nella città, tanto più c'è instabilità nell'intera Bosnia Erzegovina. Parallelamente a quanto accade a Sarajevo, le cose peggiorano molto più intensamente nelle province. E viceversa, ogni progresso, ogni evoluzione a Sarajevo significa il rilassarsi delle tensioni e delle passioni nelle aree della provincia. E questa idea, l'idea di offrire alla gente il senso della prospettiva e della visione del futuro, è ciò che ha condotto Sarajevo a candidarsi per ospitare le Olimpiadi invernali del 2010. Sarajevo potrebbe essere l'unità di misura della situazione politica dell'intera Bosnia Erzegovina.

Senza una Sarajevo stabile, non può esistere una Bosnia Erzegovina stabile.

E questo è il primo assunto.

Andiamo avanti. L'assenza di una Bosnia stabile, pacifica, multireligiosa e multiculturale mette in questione questi stessi valori nell'Europa occidentale. Erigere confini interni alla Bosnia, insistere su divisioni e barriere, sulla pulizia etnica etc. è, di fatto, un modo per gettare le basi per l'estensione della piaga nazionalista anche a questa parte, speriamo sana, dell'Europa. Ciò che è avvenuto in Bosnia Erzegovina è stato infatti il revival dell'idea, e ancor più della pratica, del fascismo e del totalitarismo, organizzato sulle rovine di un altro totalitarismo. Durante la disgraziata guerra in Bosnia Erzegovina, tutte, ma proprio tutte, le organizzazioni e i movimenti terroristici, separatisti e fascisti in Europa hanno acquisito "esperienza" attraverso l'azione dei loro simili bosniaci. Sarajevo ebbe la forza di resistere, all'inizio dolorosamente sola, al neofascismo di tipo mafioso, che avrebbe dovuto portare al vertice della piramide sociale ed economica numerose famiglie delle cosiddette élite nazionali. Sebbene questo piano non sia riuscito a Sarajevo durante la guerra, esiste il reale pericolo che tale idea possa essere realizzata in tempo di pace, attraverso la conquista economica dell'area. Quello che non è stato possibile realizzare con le armi e con il genocidio, adesso, nelle nuove circostanze, sta avvenendo attraverso le banche e una generale corruzione. Il miglior esempio di questa affermazione sono i recenti avvenimenti a Mostar, ossia le attività di un partito politico sulle tipiche posizioni di "Cosa Nostra" in cui un capo della polizia organizza un attacco ad una banca etc., etc.

E adesso l'equazione, con due elementi noti, è risolta.

La pratica dell'apertura assoluta di Sarajevo verso tutta la Bosnia Erzegovina dovrebbe essere di ispirazione anche per l'Europa. Noi stiamo cancellando i confini interni alla Bosnia. Ma, dopo la caduta del muro di Berlino, l'Europa sta costruendo nuovi muri verso l'Est! I paesi in transizione sono letteralmente "tagliati fuori" dall'Occidente. L'Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot, un "corridoio sanitario" tra se stessa e i paesi in transizione, e, oso dire, in particolare verso la Bosnia.

Il visto Schengen è un nuovo male e un nuovo Muro di Berlino. In Europa ci sono due categorie di cittadini: quelli che hanno passaporti di valore e gli altri, che perdono ore e giorni aspettando in coda davanti ai consolati dei paesi dell'Unione Europea, per ottenere visti umilianti che scadono di lì a tre o cinque, al massimo venti, giorni.

I grandi principi cadono sulle piccole cose.

La città di Sarajevo e il mio intero paese sono immensamente riconoscenti alla Comunità Internazionale per avere fermato la guerra in Bosnia. Ma, saremmo molto più felici se poteste impedire altri potenziali conflitti che rappresentano un effettivo pericolo, prima di tutto, per il nostro buon Vecchio Continente. L'Europa, con il sistema di Schengen, si comporta come una brava donna di casa che cerca di nascondere le immondizie sotto il tappeto, ma senza risolvere nulla. La differenza tra poveri e ricchi è sempre più grande e sempre più profonda.

Ai confini di Schengen c'è un nuovo esercito di gente amareggiata, delusa e discriminata. Sarajevo e la Bosnia Erzegovina non stanno commettendo quest'errore. Vi prego di tenerlo a mente.

Vi saluto e vi ringrazio per l'attenzione.


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