Anche la vasta diaspora bosniaca ha diritto al voto alle prossime elezioni amministrative. Pochi però lo eserciteranno. Le trasformazioni delle comunità dei bosniaci all'estero, il loro contributo all'economia della BiH e la distanza crescente tra chi è partito e chi è rimasto

29/09/2008 -  Azra Nuhefendić

Sono tra il milione e mezzo e i due milioni i bosniaci sparsi per il mondo che formano la diaspora bosniaco-erzegovese. Tra di loro, solo 35.000 si sono registrati per votare alle prossime elezioni amministrative.

"E' triste che così pochi vogliano usufruire dell'opportunità di cambiare la situazione in Bosnia Erzegovina (BiH) al meglio", commenta la presidentessa dell'Associazione mondiale delle società della diaspora bosniaco erzegovese, Senada Softić-Telalović.

La diaspora bosniaco-erzegovese è giovane, costituita negli anni novanta quando in molti, prima di tutto bosgnacchi, furono costretti a lasciare le proprie case. I rapporti tra le varie istituzioni e i diversi gruppi della diaspora sono pochi, spesso costruiti grazie alle iniziative individuali, con poco aiuto e scarsa considerazione delle istituzioni in patria. Non di rado si tratta di amore non ricambiato.

Le ragioni sono diverse. I bosniaci che vivono all'estero, ogni volta devono registrarsi per votare. Non esiste un meccanismo automatico, e per molti questa è solo una perdita di tempo e di soldi. La procedura di votazione è complicata, il seggio per molti è lontano da casa e non possono permettersi di prendere un giorno libero o intraprendere un viaggio solo per votare.

Le rappresentanze ufficiali della BiH riproducono la situazione in patria: sono divise, rispondono ai propri leader nazionali e non al governo centrale. Quando non si occupano dei propri interessi, i diplomatici cercano di promuovere gli interessi della etnia alla quale appartengono o della propria regione. Solo 290 bosniaci voteranno preso le ambasciate o i consolati.

Un fatto che ostacola un rapporto più solido tra la BiH e i suoi cittadini espatriati è la legge bosniaca che non prevede la doppia cittadinanza. Ogni anno, circa 50.000 bosniaci cessano di essere tali. Prendono la cittadinanza del Paese dove vivono e rinunciano a quella bosniaca. Varie volte si è tentato di cambiare la legge, senza però riuscirci. I rappresentanti serbi in parlamento hanno bloccato l'iniziativa.

Pochi tornano in patria solo per le elezioni. I viaggi si fanno durante il periodo delle vacanze, da metà giugno all'inizio di settembre. Un'indagine condotta dalla camera di commercio della BiH, l'anno scorso, ha mostrato che il 76% delle macchine che durante l'estate entrano in BiH portano in patria bosniaco-erzegovesi, il resto sono veri stranieri.

Alcuni politici in pubblico negano interesse per la diaspora che comunque non vota. Un vero scandalo è scoppiato durante l'ultimo congresso della diaspora tenutosi nella primavera scorsa a Sarajevo. L'accademico Muhamned Filipović, noto professore e politico, ha addirittura negato per i bosniaco-erzegovesi che vivono all'estero la possibilità di potersi considerare diaspora.

"Voi non siete una diaspora. Siete semplicemente emigranti. E sarebbe meglio che smetteste di considerarvi importanti per l'economia della BiH", ha detto Filipović.

Le sue parole hanno suscitato malumore e reazioni negative da parte dei rappresentanti della diaspora arrivati da Australia, America, Nuova Zelanda e vari paesi europei. L'episodio si è chiuso con rabbia da tutte e due le parti, e l'accademico ha lasciato il congresso sbattendo la porta.

Le rimesse dei bosniaco-erzegovesi che vivono all'estero ammonta a circa un miliardo di euro l'anno. Sostengono i propri genitori, i cugini, i figli, gli amici. Il governatore della Banca centrale della BiH, Ljubiša Vladušić, conferma che i soldi che arrivano dalla diaspora sono importantissimi sia a livello individuale (aiutano la gente a sopravvivere), che macro-economico, dato che permettono alla BiH di pagare un terzo del suo debito.

In Bosnia la diaspora non gode di una buona immagine. Si tratta di uno dei tanti risultati assurdi della guerra. Ancora oggi ai membri della diaspora si applica l'immagine, creatasi negli anni sessanta e settanta, degli emigranti economici dell'ex Jugoslavia. All'epoca partivano, di solito, poveri paesani o manovali per andare a lavorare nei paesi dell'Europa occidentale. Tornavano in patria ma erano disprezzati e visti come "primitivi con tanti soldi".

E' assurdo, ma vero, che quelli che se ne sono andati dopo l'ultima guerra perché sono stati costretti a farlo, minacciati e deportati, o trasportati all'estero direttamente dai campi di concentramento (come ad esempio un vasto gruppo di bosniaci che ora vivono a St. Louis, negli Stati Uniti), oggi tornano in patria per le vacanze e trovano il disprezzo dei propri concittadini. "Non esco fuori quando ci sono quelli della diaspora", mi ha confessato un'amica di Sarajevo.

Anche mia sorella per due anni ha fatto parte della diaspora (era scappata in Germania alla fine della guerra). Mi ha detto che "più dei cetnici i nazionalisti serbi, ndr odia la diaspora", senza accorgersi che anch'io faccio parte del gruppo che sostiene di odiare.

Certo questa percezione generale si rispecchia anche nel pensiero dei politici. Alcuni hanno detto in pubblico che la diaspora non gli interessa, "tanto non votano".

I bosniaco-erzegovesi che vivono all'estero, in paesi più o meno democratici, sono di solito più critici verso i politici in patria, e meno disposti ad accettare le loro bugie, le promesse non mantenute, e non sono disposti ad assolvere la corruzione che sta divorando quello che è rimasto della BiH. La diaspora è meno pronta a perdonare e accettare che le cose vanno avanti tra fatalità e indolenza, come magari fa chi non ha mai lasciato la propria casa.

Su questo ha puntato il regista Danis Tanović (premio Oscar per "No man's land"). Dopo dieci anni di vita nella diaspora, è tornato a Sarajevo. Ha pubblicato una sorta di manifesto-sfida, invitando la gente a reagire come cittadini e non come popoli.

"Abbiamo visto con i nostri occhi che, dopo diciassette anni di potere dei nazionalisti, di totale e perfido controllo da parte loro di tutta la cultura e della vita pubblica, questi hanno distrutto ogni mentalità critica, la morale, e hanno fatto sparire addirittura quello che, prima della guerra, si considerava lo standard minimo della buona educazione", ha scritto Tanović.

Con un gruppo di persone come lui, che sono tornati in patria, ha formato un nuovo partito, "Naša stranka" (il nostro partito), con l'intenzione di scuotere la coscienza della gente e sparigliare le carte dei partiti nazionalisti che si rivolgono esclusivamente ai "propri" serbi, ai "propri" croati, ai "propri" bosgnacchi.

Sulla stessa linea è l'invito che ha lanciato ai connazionali Edo Maajka, (Edin Osmić, il più famoso rapper e cantautore della ex Jugoslavia, di origine bosniaca e che vive a Zagabria).

"Votate come cittadini e non come una diaspora", ha detto Edo Maajka, alludendo al fatto che i popoli costituzionali della BiH, in effetti, si comportano come fossero la diaspora della Serbia, della Croazia e della Turchia.

"I vostri diritti li potete realizzare qui, in Bosnia. Questo è il vostro Paese, non altrove. Perciò votate come cittadini della BiH", ha aggiunto poi Edo Maajka.

Nelle prossime elezioni la partita maggiore si giocherà là, nei luoghi e sulle terre, quasi etnicamente puliti, divisi, intoccabili per gli "altri", quelli che non sono i "nostri". Là si concentra l'attenzione dei politici, maghi della manipolazione.

Loro sollecitano o creano la paura degli altri, dei diversi. I politici, letteralmente, vivono di questo. Fare il politico, il parlamentare, è "il business" più redditizio nella BiH di oggi. L'unica cosa sulla quale tutti i membri del parlamento federale (serbi, croati e bosgnacchi) hanno raggiunto un accordo sono appunto i salari dei parlamentari, vergognosamente alti per uno dei paesi più poveri in Europa.

I politici si rivolgono a chi senza lavoro, con pensioni misere, guadagni da elemosina e senza un degno sistema di protezione sanitaria o di educazione, è facilmente manipolabile. E che si è rassegnato in anticipo.


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