Il vento dei cambiamenti che si è fatto sentire in Serbia ha reso possibile l'arresto di Karadžić. Le reazioni nel Paese e la nuova prospettiva europea per Belgrado. Nostro commento

22/07/2008 -  Luka Zanoni

"Hanno arrestato Karadžić", "Uhapšen Karadžić". Il telefono sembra impazzito, poco dopo le 23.30 arrivano sms ad oltranza. Fino a ieri sera, la frase "hanno arrestato Karadžić (o Mladić)" era una sorta di scherzo che ci si faceva tra colleghi. Non era raro che una telefonata di un collega, per esempio di domenica mattina o in tarda serata, iniziasse proprio con la frase "hanno arrestato Karadžić". Ma la sorpresa durava poco.

Questa volta, invece, la sorpresa c'è stata. Sembrava che oramai ci si fosse in qualche modo arresi al fatto che i due superlatitanti, Radovan Karadžić e Ratko Mladić, l'avrebbero passata liscia. L'atteggiamento degli stessi paesi dell'UE, Olanda e Belgio esclusi, lasciava pensare che la Serbia avrebbe avuto una via più facile verso l'Unione, a prescindere dalla cattura degli ultimi latitanti (dopo Karadžić mancano ancora Ratko Mladić e Goran Hadžić). Certo nessuno esplicitamente ha mai detto "non ci interessano Karadžić e Mladić", tuttavia tutto portava a credere che la cosiddetta condizionalità dell'Unione rispetto alla Serbia, declinata nella piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja, si fosse ormai allentata. Lo stesso Olli Rehn, commissario per l'Allargamento, aveva di recente fatto esplicito riferimento alla necessità di una piena collaborazione della Serbia, ma solo nei termini in cui Belgrado avrebbe dovuto dimostrare che i latitanti non sono in Serbia e garantire un più facile accesso agli archivi di stato.

La Serbia ha di recente firmato un accordo preliminare di Associazione e Stabilizzazione con l'UE, accordo che è in attesa di ratifica sia da parte del parlamento serbo che presso i parlamenti degli stati membri dell'UE. Il veto di Olanda e Belgio all'ipotesi di aprire alla Serbia senza una chiara dimostrazione di Belgrado di voler collaborare pienamente con il TPI dell'Aja aveva di fatto messo temporaneamente in stand-by l'Accordo, in attesa di risultati concreti.

Ora si aspetta che Serge Brammertz, nuovo capo procuratore del TPI, che all'inizio dell'anno ha preso il posto di Carla del Ponte, si pronunci domani a Belgrado. Il rapporto che presenterà Brammertz, secondo molti analisti, non potrà che essere positivo. Lo stesso Havier Solana confida nella assoluta positività del rapporto della procura dell'Aja. Tradotto: un passo in più verso l'UE.

Il vento dei cambiamenti a Belgrado si è fatto sentire. Dopo le presidenziali vinte da Boris Tadić, le politiche vinte dalla coalizione di partiti filo europei guidata da Tadić, e non da ultimo la formazione del governo serbo con l'alleanza con il Partito socialista serbo, partito che fu di Milošević, ora guidato da Ivica Dačić, attuale ministro dell'Interno, è giunta anche la notizia dell'arresto di Karadžić.

La Serbia sembra aver ritrovato lo spirito riformista che fu di Ðinđić, e che gli costò la vita nel marzo 2003. Il paese allora non era pronto per fare i passi che sta facendo in questi ultimi mesi. Allora, invece, le forze oscure della Serbia, quell'intreccio di politica, criminalità e servizi segreti, non resero possibile il cambiamento epocale che aveva in mente Ðinđić.

Da notare che altri cambiamenti importanti sono avvenuti lontano dai riflettori internazionali e proprio nei giorni scorsi. Innanzitutto la sostituzione, il 17 luglio scorso, del direttore dell'intelligence serba, la BIA (Agenzia di informazione e sicurezza), con l'attuale Saša Vukadinović al posto del noto Rade Bulatović, piuttosto inviso a Carla del Ponte. E poi la modifica della squadra preposta alla collaborazione con il Tribunale dell'Aja, alla localizzazione dei latitanti e al loro arresto, la cui prima seduta è stata proprio ieri.

Certo, che qualcosa si stesse muovendo era già chiaro con l'arresto di un altro latitante, Stojan Župljanin, avvenuto meno di un mese fa. Tuttavia le dichiarazioni di Rasim Ljajic, presidente del Consiglio nazionale per la collaborazione con il Tribunale dell'Aja, rilasciate domenica 20 luglio all'agenzia Tanjug, lasciavano pensare che le cose non si sarebbero mosse così velocemente. Ljajic aveva ribadito che i latitanti non sono in Serbia e che il paese non cerca nessun alibi, e che fino ad ora ha consegnato 43 accusati al Tribunale dell'Aja. Nonostante ciò aveva dichiarato anche che la squadra per la collaborazione con il Tribunale dell'Aja, con l'ingresso dei due nuovi membri, Ivica Dačić, neo ministro dell'Interno, e Saša Vukadinović, continuerà a lavorare, e "forse con altre responsabilità e competenze".

E nonostante il ministero dell'Interno abbia prontamente dichiarato di non aver preso parte all'azione di cattura, è evidente che non lo ha nemmeno impedito. Già in passato si era arrivati vicini all'arresto di un latitante (nella fattispecie Goran Hadžić) ma poi qualcuno lo aveva avvisato assicurandogli la fuga. E i socialisti del nuovo corso non sono ancora del tutto convinti che si debbano estradare i cittadini serbi al Tribunale dell'Aja. Ma la politica fa il suo corso e a quanto pare un meccanismo di protezione che è durato 13 lunghi anni si è definitivamente incrinato.

Il timore che la piazza di Belgrado potesse insorgere per la cattura di uno degli "eroi" serbi sembra essere lontano. Ieri sera solo un gruppetto di ragazzi, con magliette del movimento di estrema destra "Obraz", avevano protestato in piazza della Repubblica e di fronte al palazzo del tribunale. Ma delle masse pronte a difendere i presunti "eroi serbi" non se ne è vista l'ombra.


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