La Bosnia ha finalmente una nuova legge sull'emittenza radiotelevisiva, come richiesto dall'UE, ma i bosniaci di nazionalità croata sono scontenti. Nostra traduzione di un articolo di TOL

17/10/2005 -  Anonymous User

Di Mirna Skrbic, per Transitions Online, 12 ottobre 2005 (titolo originale: "Bosnia: Triple Threat").
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta

Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina - Dopo anni di dispute e di incertezza i legislatori bosniaci hanno superato un importante ostacolo al processo di riforma, approvando una legge che regola il sistema pubblico radiotelevisivo.

La legge, adottata il 5 ottobre, è arrivata nella stessa settimana in cui è stata approvata, dietro massicce pressioni internazionali, quella sulla riforma della Polizia, l'altra principale misura di riforma rimasta ancora in sospeso.

Riforme in questi due campi erano state richieste dall'Unione Europea come precondizione perché la Bosnia potesse iniziare i colloqui per un Patto di Stabilizzazione e Associazione (SAA), largamente visto come un primo passo nella direzione di un eventuale ingresso come Stato membro.

La legge sull'emittenza radiotelevisiva è stata approvata contro le obiezioni dei parlamentari di nazionalità croata, secondo cui essa violava il loro interesse nazionale.

La riforma del sistema pubblico radiotelevisivo

La nuova legislazione conserva la struttura tripartita dell'attuale sistema pubblico radiotelevisivo, in cui sia la Federazione, a predominanza bosgnacca e croata, sia la Republika Srpska, a maggioranza serba, possiedono ciascuna i propri servizi pubblici radiotelevisivi, in aggiunta a un servizio centrale che ha sede a Sarajevo. Ora, i tre servizi diventeranno parte di un'unica corporazione, con uffici direttivi a Sarajevo, Mostar, e Banja Luka, le città-chiave per ciascun gruppo etnico.

I governi e i parlamenti delle entità dovranno ora approvare la legislazione che regolamenterà i tre servizi.

Il principale intoppo è stata la richiesta dei membri croati della Casa dei Popoli, la camera alta del parlamento nazionale, di avere un proprio servizio.

I politici croati hanno sostenuto che né il servizio radiotelevisivo della Federazione, né quello nazionale fornivano abbastanza programmi in lingua croata, e si sono appellati ad una clausola della Costituzione che permette ad ogni gruppo etnico di bloccare una normativa, se esso ritiene che vada contro al "vitale interesse nazionale". In luglio, i deputati croati chiesero alla Corte Costituzionale di decidere se la bozza di legge sul sistema pubblico radiotelevisivo fosse lesiva del vitale interesse nazionale dei cittadini croati, solo per riceverne una risposta negativa. Quando la legge fu messa ai voti, i parlamentari rappresentanti degli altri due gruppi etnici costituenti misero in minoranza i croati ed approvarono la riforma.

In un primo tentativo di approvare la legge alla Casa dei Popoli, uno dei cinque deputati croati scelse di non unirsi alla protesta dei suoi colleghi, secondo i quali la legge danneggiava il loro interesse nazionale. In ogni caso il deputato, Tomislav Limov, del principale partito di opposizione, il Partito Socialdemocratico (SDP), votò contro la legge il 5 ottobre insieme agli altri croati - anche se non per le stesse ragioni.

Limov ha dichiarato a TOL che un sistema pubblico radiotelevisivo formato da tre servizi, in cui otto ore al giorno sul canale nazionale dovrebbero essere dedicate a ciascuna delle tre lingue ufficiali - Croato, Serbo, e Bosniaco - avrebbe approfondito le divisioni etniche, ed era inaccettabile per la SDP.

Le tre lingue ufficiali della Bosnia sono varianti minori della lingua un tempo nota come Serbo-Croato. Quale variante parlino gli individui è spesso determinato più dalla regione di provenienza che dalla loro appartenenza etnica.

Limov ha detto anche che la legge non è riuscita a garantire un'uguaglianza per tutte le etnie della Bosnia e che, benché la legge sia passata democraticamente, non si dovrebbe trascurare che uno dei gruppi etnici costituenti ha votato contro di essa.

Dopo la guerra del 1992-1995, la Bosnia aveva due emittenti pubbliche, a livello di entità, cui si aggiunse in seguito un servizio a diffusione nazionale, criticato da alcune voci interne e dalla comunità internazionale perché non riusciva a servire il pubblico interesse.

Pagare o non pagare?

Questo non era il primo tentativo di riformare il sistema pubblico radiotelevisivo. Una precedente legge iniziò la decentralizzazione delle reti e stabilì un canone di abbonamento di 3 euro al mese, che gli spettatori dovrebbero pagare insieme alle bollette telefoniche, anche se molta gente non lo fa.

La nuova legge mira a decentrare ulteriormente il sistema e a fornire una migliore rappresentatività per tutte le parti della società bosniaca, stando a quanto sostiene Martin Ney, collaboratore dell'Alto Rappresentante della comunità internazionale Paddy Ashdown. L'ufficio dell'Alto Rappresentante ha esercitato notevoli pressioni perché la legge passasse. In una dichiarazione, egli ha anche sottolineato l'importanza di finanziare adeguatamente il servizio pubblico radiotelevisivo attraverso un'efficiente riscossione dei canoni di abbonamento.

Dietro alla questione del reperimento dei fondi c'è qualcosa di più di singoli cittadini che si rifiutano di pagare il canone. Il Segretario generale dell'Unione indipendente dei Giornalisti professionisti, Borka Rudic, ha dichiarato a TOL che "un grande numero di politici sta incoraggiando gli elettori a non pagare l'abbonamento al servizio radiotelevisivo... Ogni volta che un politico decide che la sua etnìa non è rappresentata nei programmi di uno qualsiasi dei tre canali, tira fuori la minaccia che non si paghi più l'abbonamento".

La Rudic ritiene che la riforma del sistema radiotelevisivo non potrà andare avanti finché i politici non "smetteranno di usare la televisione per la manipolazione politica". Ma la nuova struttura ha un difetto di fondo, perché potrebbe creare una situazione in cui le tre etnie si contendono le posizioni migliori all'interno del sistema radiotelevisivo. La nuova legge, ha detto la Rudic, riduce il sitema radiotelevisivo a tre religioni, tre culture e tre lingue, senza curarsi dell'interesse di tutti i cittadini.

"C'è solo una clausola nella legge che stabilisce che sarebbe auspicabile rispettare anche i diritti delle minoranze per quanto concerne il diritto all'informazione. Ciò è inammisibile. Si è gettata via un'intera categoria di cittadini bosniaci, sotto l'influenza della comunità internazionale e dei tre partiti nazionali al potere, per adottare una legge che riflette i bisogni dei soli tre gruppi etnici dominanti".

La Rudic ha definito la legge: "una pessima soluzione".

La legge non obbliga il sistema radiotelevisivo a mostrare programmi per la comunità ebraica né per altre religioni minoritarie, ha detto. "In conseguenza di simili scelte politiche, abbiamo una situazione in cui l'unica stazione TV che trasmette un programma sulle minoranze è la televisione della Republika Srpska".

Emir Habul è direttore dei programmi di informazione del canale radiofonico nazionale BH1 e membro del Consiglio della Stampa bosniaco. Egli ritiene che l'approvazione della legge non rappresenti la conclusione della vicenda, e che i politici continueranno a invitare i loro elettori a non pagare il canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo.

Ma anche Habul è scontento della legge e non vede come possano essere messe in pratica le otto ore di programmi in ciascuna delle tre lingue.

"Io credo che sia un'idea insostenibile da un punto di vista tecnologico, concettuale e redazionale... Secondo me, il concetto di equità non dovrebbe essere implementato attraverso un ammontare fisso di ore ma attraverso altri strumenti, attraverso standard linguistici e via dicendo", ha dichiarato a TOL.

La Rudic è d'accordo con il timore di Habul, che produrre trasmissioni in tre lingue sarebbe dispendioso ed eccessivamente complicato.

"Qui stiamo partendo da premesse sbagliate", ha detto a TOL. "Anch'io credo che non ci sia abbastanza lingua croata nel servizio pubblico radiotelevisivo e che il problema dei Croati che vivono in Bosnia come etnia costituente non sia approcciato né trattato nel modo migliore, ma un altro canale o otto ore di programmi non sono la soluzione".

La vera questione, secondo lei, è che: "tutti credono che per essere un buon giornalista bisogna essere un Serbo o un Bosgnacco o un Croato, secondo i criteri dei partiti al governo. Distinguere secondo le lingue che i giornalisti parlano non dovrebbe essere l'approccio, perché il problema sta nelle politiche redazionali non professionali, che non riconoscono il gran numero di spettatori croati nella loro audience di riferimento".

Battaglia sugli interessi

Anche se la legge è ora passata al parlamento, la battaglia non è finita per i politici croati, specialmente per i membri dell'Unione Democratica Croata (HDZ), partito di governo.

Ilija Filipovic, una dei rappresentanti croati nella Casa dei Popoli, ha detto a TOL che una volta che la legge sarà stata ufficialmente pubblicata, verrà avanzata un'altra richiesta alla Corte Costituzionale perché decida se la legge sia costituzionale, e che i Croati daranno fondo a tutti i mezzi legali a loro disposizione per invalidare la legge - incluso, se sarà necessario, arrivare fino alla Corte Europea per i Diritti Umani.

"Questo è stato un altro caso in cui i Croati sono stati messi in minoranza", ha detto. "Il servizio pubblico radiotelevisivo è un tema di vitale importanza per i Croati, perché il linguaggio nei media pubblici è un interesse vitale, ed è troppo importante perché un'etnia costituente non lo prenda sul serio".

Ha aggiunto: "Ancora una volta il Parlamento è diventato uno dei posti dove i diritti umani basilari del popolo croato... sono stati violati. Io non voglio entrare nel merito della decisione della Corte Costituzionale, ma essa ha ritenuto in sostanza sufficiente che i Croati fossero stati messi in minoranza alla votazione alla Casa dei Popoli, perché questa legge venisse adottata".

Ha detto che la proposta di legge è stata approvata in gran fretta, affinché la Bosnia iniziasse i colloqui per il SAA.

Sono recentemente cresciute di tono le dichiarazioni dei leader poltici croati a favore della creazione di una terza entità in Bosnia per i loro concittadini. Anche se è da molto tempo che i Croati avanzano questa richiesta, la maggior parte degli analisti ritiene che essa sarebbe difficile da realizzare, finanziariamente ad anche dal punto di vista logistico. Inoltre, essa richiederebbe una modifica della Costituzione, che era stata redatta come parte integrante dei negoziati di Dayton che portarono alla pace in Bosnia quasi 10 anni fa (il decennale cadrà questo novembre).

Dato che l'idea di una nuova entità rimane un'utopia, la questione dell'emittenza pubblica ne diventerà un simulacro, e non solo per i Croati. Anche certi analisti di parte nazionalista bosgnacca sostengono che la televisione non tratta equamente le etnie costituenti. Alcuni dicono che una "croatizzazione" della lingua bosniaca sta avvenendo quotidianamente attraverso i media.

Altri analisti ritengono che il posto giusto per indirizzare gli standard linguistici sia tramite i programmi della radio e televisione pubblica, anziché nell'arena politica. Essi dicono che i partiti nazionalisti spesso parlano linguaggi differenti, nonostante le variazioni davvero minime tra le lingue parlate dalle tre pricipali comunità, per creare divisioni ed esasperare le tensioni.

Limov, dei Socialdemocratici, dice che l'interesse dei cittadini della Bosnia, di soddisfare le condizioni dell'UE per i colloqui per il SAA, dovrebbe essere il fattore preponderante in qualsiasi decisione sul futuro del sistema pubblico radiotelevisivo. Con le elezioni nazionali da tenersi entro un anno potrebbe però essere poco realistico aspettarsi che i partiti nazionalisti al potere pongano l'interesse di tutti i Bosniaci al di sopra degli interessi, interpretati particolaristicamente, dei loro diretti elettori.

Mirna Skrbic è corrispondente di TOL da Sarajevo.


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