In Bosnia Erzegovina, a seguito della guerra e degli accordi di pace, vi sono ben 11 diversi modelli di governo locale. Questo, a livello di politiche di decentramento e inclusione sociale, non può che rendere le cose estremamente complesse. A partire dal monitoraggio di chi fa cosa

01/03/2012 -  Gian Matteo Apuzzo

In Bosnia Erzegovina i diversi livelli di autonomia e decentramento istituzionale non sono in alcun modo garanti né di una migliore e maggiore qualità sociale e partecipazione democratica, né di una eguale fruibilità dei diritti e accessibilità ai servizi sociali.

A seguito degli Accordi di Dayton, che nel 1995 posero fine al conflitto, la Bosnia Erzegovina ha emanato una Costituzione (l'Allegato IV dello stesso Accordo di pace) che prevede un'architettura istituzionale molto complessa. Negli anni, quest'ultima, ha dimostrato tutte le sue fragilità.

Ancora oggi, a diciassette anni dagli Accordi di pace, la situazione appare “bloccata”, tanto che anche il Progress Report 2011 dell’UE sull'integrazione europea del Paese afferma che “il complicato processo decisionale ha contribuito a ritardare le riforme strutturali e pochi passi credibili sono stati intrapresi per migliorare l'adozione di legislazione chiave per il processo di integrazione europea e per l’armonizzazione tra il livello dello Stato e le Entità”.

Decentramento? No, frammentazione

La debole armonizzazione delle varie componenti istituzionali del Paese è uno degli elementi che ne determinano la frammentazione ed emerge con evidenza una mancanza di “statualità” nel garantire eguali diritti civili e sociali.

La Bosnia Erzegovina è costituita da due distinte Entità, la Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH) e la Republika Srpska (RS), più il Distretto di Brčko. Nel Paese sono presenti due livelli differenziati di decentramento: il primo livello assegna quasi tutte le competenze dallo Stato alle due singole Entità, mentre il secondo livello, interno alle due Entità, presenta notevoli differenze.

Nella Federazione questo secondo livello di decentramento si articola a sua volta su più piani: dall’Entità in favore dei Cantoni e dai Cantoni in favore delle municipalità. In RS invece vi è soltanto un livello di decentramento, dall'Entità alle singole municipalità.

La stessa Federazione presenta poi al suo interno una notevole differenziazione, essendo a sua volta composta da dieci unità sub-nazionali (Cantoni – Kantoni o Županije se a maggioranza croata) dotate di una propria costituzione, di proprie legislazioni e di propri governatori. I Cantoni sono a loro volta suddivisi in un totale di 79 municipalità (Opštine/Općine).

La RS ha invece una struttura amministrativa centralizzata, con un ministero del Governo Locale che regola le relazioni con le 63 municipalità (esiste anche una suddivisione in 7 “regioni” che però viene utilizzata unicamente a fini statistici e non amministrativi).

11 sistemi di governo locale

Nella Federazione nel corso degli anni i Cantoni hanno emanato numerose leggi sull’autogoverno locale, come loro garantito dalla Costituzione. In base a questa caotica composizione, la realtà attuale della Bosnia Erzegovina presenta undici sistemi di governo locale, dieci dei quali nella sola Federazione. Si tratta quindi di un assetto istituzionale molto complesso, nel quale non sempre sono simili le competenze e che non facilita né l’adozione né l’implementazione di legislazioni e politiche adeguate.

In questo quadro, quando si va dunque ad analizzare il sistema di welfare e inclusione sociale, a complessità si aggiunge complessità, essendo molti gli attori in gioco e i settori di riferimento.

La stessa Social Inclusion Strategy, adottata nel 2010 dal governo centrale bosniaco, si pone come obiettivo una migliore mappatura degli attori, per poi individuare percorsi di miglioramento del loro coinvolgimento.

Solo prendendo in considerazione soggetti pubblici e collettivi, il numero delle istituzioni e organizzazioni coinvolte è enorme: Stato, Entità, Cantoni, ministeri in materia di salute, lavoro, protezione sociale, tutela dei veterani di guerra e le persone con disabilità, degli sfollati e dei rifugiati, impiego e sviluppo, integrazione europea, famiglia, gioventù e sport, istruzione, diritti umani, affari civili, finanze, statistiche.

Più altri enti pubblici, istituti, fondi pubblici (fondi di assicurazione degli enti di previdenza, istituti di sanità pubblica, del lavoro e occupazione e agenzie nazionali), organismi pubblici di governance (ad es. Consiglio dei Rom, Consiglio dei disabili, Tavolo di coordinamento per le questioni giovanili, e altri simili) e le rappresentanze della società civile (rappresentanze di ONG e associazioni, parti sociali, centri sociali del lavoro, associazioni dei comuni e delle città).

Quale la situazione attuale?

In questo quadro è evidente esistano difficoltà anche solo nel definire la reale situazione del Paese. In Bosnia Erzegovina i dati sull’esclusione sociale continuano ad essere infatti poco quantificabili. Risulta difficile una misurazione attendibile sugli indicatori qualitativi di esclusione sociale, in quanto i determinanti che influiscono su quest’ultimo aspetto sono anche di natura “culturale” (di appartenenza nazionale), fortemente interdipendenti ma appunto difficilmente misurabili.

Uno dei pochi dati “ufficiali” disponibili in questo senso è il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2007 di UNDP, che aveva una sezione proprio dedicata all'inclusione sociale in Bosnia Erzegovina, analizzata attraverso un indice che tiene in considerazione i diversi aspetti che possono causare esclusione, e tra questi le condizioni abitative, lo stato di salute, l’accesso alle istituzioni e ai servizi, la partecipazione alla vita sociale, oltre, appunto, ad altri aspetti quali quelli culturali e di appartenenza etnica/nazionale.

Il cosiddetto “General (Human) Social Exclusion Index (HSEI)” monitora anche le interdipendenze tra questi aspetti, e, relativamente appunto al 2007, mostrava che il 50.32% della popolazione della BiH era socialmente esclusa in almeno uno degli aspetti studiati.

Il Progress report dell'Ue

I ritardi nelle riforme e le inefficienze istituzionali vengono pagati anche nel settore sociale, come sottolineato in maniera evidente nel Progress Report 2011 dell’Unione europea (già citato all’inizio dell’articolo) che, coprendo nell’analisi il periodo che va da ottobre 2010 a settembre 2011, comprende tutta la lunga fase di vacanza di un governo nazionale a seguito delle elezioni politiche del 3 ottobre 2010.

Molto chiaramente il Report afferma che non vi è stato alcun progresso nelle politiche sociali: il diritto del lavoro esistente nelle Entità non è ancora allineato con l'acquis UE, non si segnalano progressi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non si evidenziano progressi nel dialogo sociale e la legge statale sulla rappresentatività delle parti sociali deve ancora essere adottata (il dialogo sociale continua ad essere ostacolato proprio dal complesso sistema di governo e la frammentazione della legislazione), poco è stato fatto nel campo della protezione sociale e infine minimi progressi possono essere riportati in materia di inclusione sociale, compresa la lotta alla discriminazione.

Buoni progressi ma non omogenei si vedono nella politica di sanità pubblica, anche se armonizzazione e coordinamento delle attività di riforma tra le Entità devono essere migliorate.

Ritorni e minoranze

Un elemento specifico in Bosnia Erzegovina è quello dei rimpatri e dei ritorni, che presenta forme di esclusione anche molto radicate e che investono molti settori, come quello abitativo, del lavoro e dell’educazione. Anche in questo caso il rapporto dell’UE sottolinea come gli accordi che esistono non hanno registrato progressi nella loro attuazione. In particolare il Comitato di Helsinki per i Diritti Umani rileva la discriminazione frequente contro i rimpatriati e il ritardo nei programmi del cosiddetto “ritorno sostenibile” (la mancanza di posti di lavoro, che porta alla disgregazione maggiore delle famiglie e a tassi di povertà più elevati rispetto al resto della popolazione).

La partecipazione delle organizzazioni della società civile rimane un altro punto critico, anche se, in questo settore, la situazione presenta caratteristiche opposte e complementari: da un lato va migliorata la partecipazione attiva nelle politiche nazionali e regionali/locali, dall’altro esiste un grande protagonismo delle Ong che sono capaci di beneficiare di fondi europei e internazionali.

Da un punto di vista numerico, nel 2008 in Bosnia Erzegovina erano registrate 12.189 organizzazioni (una ONG per 311 cittadini, più che in altri Paesi: sono ad esempio una ogni 426 persone nel Regno Unito) anche se solo la metà sono considerate attive. In ogni caso finora è considerato ampiamente sottovalutato il loro ruolo, dalla definizione delle politiche alla fornitura di servizi.

In un sistema che continua ad essere fortemente dipendente da donors internazionali, rivestono un ruolo cruciale le ONG che riescono ad ottenere i loro finanziamenti, risultando tra gli attori più attivi e più efficaci, anche se spesso con modalità di lavoro autonoma e spesso slegata da una strategia integrata sul territorio o da partnership più ampie.

In questo senso le pubbliche amministrazioni e gli enti locali stentano ancora ad accedere con efficacia ai finanziamenti europei e a creare partnership durature basate su di essi. Nonostante i fondi comunitari siano attualmente una fondamentale fonte di finanziamento, la capacità di assorbirli e gestirli in modo adeguato, è allo stato attuale molto limitata.

Appare dunque fondamentale migliorare e rafforzare il dialogo e il partenariato tra il settore pubblico e privato nel campo della protezione e dell’inclusione sociale, promuovere maggiormente partenariati orizzontali tra gli attori locali e rafforzare il ruolo delle ONG nel quadro del dialogo a tutti i livelli di governo.


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