Un'immagine tratta da ''Snijeg'' di Aida Begic

Si è concluso il Festival di Cannes nel segno della Francia e dell'Italia. Ma non mancano i premi per il cinema balcanico e del sudest europeo. Ad ogni festival nuovi autori emergono o nomi noti si confermano

26/05/2008 -  Nicola Falcinella Cannes

Ci sono sempre premi per il cinema balcanico e del sudest europeo. Ad ogni festival nuovi autori emergono o nomi noti si confermano. Il 61° Festival di Cannes che si è chiuso nel segno della Francia e dell'Italia (gli ottimi "Entre les murs" di Laurent Cantet e "Gomorra" di Matteo Garrone) non ha fatto eccezione.

La palma come miglior regista ha confermato una punta del cinema d'autore europeo, un altro della generazione dei quarantenni che ha faticato a svettare, il turco Nuri Bilge Ceylan per "Tre scimmie". Un film sulla solitudine, sul marcio della politica, sui silenzi e non detti in una famiglia. Forse è inferiore ai precedenti "Lontano" e "Il piacere e l'amore", premiati sempre a Cannes nel 2004 e 2006, ma ha ancora grandi qualità tecniche e umane.

Un'importante componente balcanica è nel toccante "Il silenzio di Lorna" di Jean-Pierre e Luc Dardenne, premiato per la sceneggiatura. I fratelli belgi sono abbonati ai premi: in quattro partecipazioni consecutive hanno ottenuto cinque palme fra le quali due d'oro. Hanno raccontato di una giovane albanese, la Lorna del titolo, che ha a che fare con un trafficante di uomini. Ottiene la cittadinanza belga grazie a un matrimonio finto e cerca poi di guadagnare soldi (per aprire un bar con il fidanzato, un connazionale che lavora in una centrale nucleare) risposandosi con un russo. Valore aggiunto del film l'interpretazione di Arta Dobroshi e la partecipazione di Alban Ukaj, entrambi kosovari di Pristina. L'attrice è stata una delle rivelazioni del festival, capace di rendere il mistero e le contraddizioni di una giovane pronta a molto per trovare il suo posto nella società ma anche a rendersi conto degli errori.

Ha vinto meritatamente la Semaine de la critique "Snijeg - Neve", opera prima della sarajevese Aida Begic, già vincitrice a Cannes con i suoi cortometraggi. "First Death Experience - Prima esperienza di morte" (2001) e "North Went Mad" (2004).

Siamo a Slavno, piccolo villaggio nei pressi di Zvornik. È il 1997, nel piccolo gruppo di case sono rimaste quattro donne, due anziane, quattro ragazzine, un vecchio (Emir Hadziafizbegovic, l'unico attore noto nel cast affiatato) e un bambino muto. Gli uomini sono morti o dispersi in guerra, ma le mogli o le figlie sperano che ritornino.

La vita procede stancamente tra la raccolta di prugne (la confettura è l'unica possibilità di guadagno per le famiglie), la tessitura e gli animali. Su tutto alita l'assenza degli scomparsi, come se il villaggio non avesse più speranze senza i mariti e padri. Solo la ventenne Alma (l'unica con il capo sempre velato) non si rassegna: suo marito non c'è ma lei resta fedele alla convinzione che con i prodotti di Slavno si possa "dar da mangiare a mezza Bosnia". L'incontro casuale con un giovane camionista molto intraprendente e propositivo sembra dare uno spiraglio di luce al villaggio. Ma l'indomani si presenta un serbo intermediario per una società straniera che vorrebbe acquistare tutti i campi. La riflessione sul futuro si impone e, se il finale resta aperto, resta una sensazione positiva. Nella pellicola, scritta dalla Begic con Elma Tataragic e prodotta con i sostegni tedeschi e francesi, si fanno apprezzare momenti solo in superficie secondari come i giochi o le filastrocche delle ragazze. Il film dovrebbe aprire il 15 agosto il 14° Sarajevo Film Festival.

Last but not least il concorso cortometraggi, la fucina di nuovi talenti. Come sta accadendo da un paio d'anni nei maggiori festival, ha vinto un giovane rumeno, Marian Crisan per "Megatron". Un corto sloveno-triestino, "Ogni giorno è un giorno diverso" di Martin Turk, è stato invece applaudito nella Quinzaine des realisateurs, sezione non competitiva che ha messo in luce il lungo rumeno "Boogie" di Radu Muntean.


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