Tre ragazzi seduti lungo il Danubio a Pancevo, Serbia

Pacevo, Serbia © BalkansCat/Shutterstock

Processo di allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali, coinvolgimento della società civile, disillusione e potenzialità delle nuove generazioni. Di questo si è parlato in un recente seminario. Un resoconto

22/11/2021 -  Fiorella Bredariol

Come possono contribuire i Balcani alla “Conferenza sul futuro dell’Europa”? È stato il tema affrontato da vari analisti politici e attivisti in un seminario promosso lo scorso 18 ottobre da EWB, European Western Balkans, portale che si concentra sui paesi dei Balcani occidentali e monitora lo sviluppo della politica di allargamento dell’UE.

Il workshop ha funto da collettore  di diversi momenti di incontro che si sono tenuti nei Balcani occidentali negli scorsi mesi a Skopje, Sarajevo, Pristina, Kruševo e Belgrado.

Tra i partecipanti, anche Srđan Cvijić, analista politico presso l'European Policy Institute della Open Society Foundation. Quest’ultimo ha iniziato il suo intervento guardando al processo di adesione della Grecia all’UE, durato circa cinque anni, dal 1976 al 1981. “Immaginate che uno stato membro dell’UE si fosse opposto al suo ingresso per questioni bilaterali, come la Grecia ha poi fatto con la Macedonia del Nord, e immaginate che tutto questo vi tenga bloccati per 18 anni (la Macedonia del Nord è candidato per l’adesione all’UE dal 2004): saremmo nel 1994 e la Grecia sarebbe ancora in fila per entrare nell’UE, e insieme a lei anche Spagna, Portogallo, Malta, Cipro e gli ex stati comunisti. È difficile da immaginare? Non lo so, ma questa è la nostra storia, la storia dei Balcani occidentali.”  

Srđan Cvijić ha poi rivolto il suo sguardo verso il futuro. Dopo aver posto l’accento sulla necessità evidente di modificare la procedura di adesione, proposta che sta portando avanti con il politologo Zoran Nechev, si è focalizzato su quali possano essere le strategie che gli stati candidati possono attuare per migliorare le loro possibilità di diventare membri, allo stato attuale dell’arte.

In primo luogo, secondo Cvijić, dovrebbero prendere con serietà le riforme richieste; seppur a suo avviso quanto accaduto in Macedonia del Nord e in Albania ci mostra come questo spesso non basti. Uno strumento che può fare una grande differenza è quindi quello di possibili campagne pro-allargamento, da parte dei paesi candidati, all’interno dei paesi membri dell’UE: una ricerca fatta in Francia ha mostrato che tutti i cittadini con esperienza sull’Unione e sul suo allargamento, e che siano venuti a contatto con cittadini dei Balcani o abbiano viaggiato in quell’area, sono fortemente favorevoli all’adesione dei Balcani occidentali all’UE. Anche la Croazia, entrata nell’Unione nel 2013, aveva speso milioni per una sua campagna pro-allargamento, ottenendo così più risultati che con qualsiasi altro strumento nel tentativo di normalizzare l’immagine del paese agli occhi degli stati membri, ancora influenzati da pregiudizi sulla guerra degli anni ‘90.  

“I paesi dei Balcani occidentali oggi non sono troppo poveri per impostare tali campagne, ma non prendono decisioni serie a riguardo. Prendiamo ad esempio la Serbia, che nel 2019 ha pagato 1,2 milioni la sua lobby a Washington, ma non ha mai speso una cifra simile per una campagna all’interno di uno stato membro dell’UE”.

Secondo Cvijić quindi esistono delle modalità con cui gli stati candidati possono favorire la loro adesione all’UE, migliorando la propria immagine all’interno degli stati membri che possono influenzare il processo di allargamento. 

Zoran Nechev, Direttore del Centro per l’integrazione dell’UE, anche lui presente al workshop, ha poi esposto più approfonditamente la proposta di modifica alla procedura di adesione da lui portata avanti insieme al collega: primo punto fondamentale è quello del passaggio dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata in tutti i passaggi intermedi del processo, così che il lavoro del Consiglio europeo non venga bloccato da un singolo stato membro. 

Secondo punto della proposta: aumentare la capacità di assorbimento dell’UE diversificando i canali di comunicazione e contatto per quegli stati che vogliono aderire all’Unione, di modo da poter rispondere loro più velocemente. 

Terza proposta è che l’UE integri i paesi dei Balcani occidentali quanto prima in meccanismi già esistenti: “Esistono già dei meccanismi, non bisogna crearne di nuovi appositi per i paesi dei Balcani che vogliono aderire. Magari all’inizio l’utilizzo di tali meccanismi mostrerà prestazioni inferiori da parte di questi stati, non lo sappiamo, ma almeno saremo tutti nella stessa partita con gli stati membri dell’UE e sapremo esattamente cosa dobbiamo fare per vincerla” 

Donika Emini (Direttrice esecutiva della Civikos Platform a Pristina), ha sottolineato invece come per anni si è posto l’accento su cosa i Balcani stiano guadagnando dall’UE, e come ora sia il caso di capovolgere la domanda: cosa l’UE può guadagnare dai Balcani? In primo luogo la volontà di collaborare: “Abbiamo dimostrato come siamo perseveranti in questo, mettendoci ad organizzare eventi per portare avanti discussioni che non sappiamo con certezza se verranno ascoltate. Poi i Balcani occidentali sono un fornitore di sicurezza anche senza far parte dell’Unione, se si guardano ad esempio alle missioni nell’ambito della sicurezza e difesa comune dell’UE (PSDC) a cui hanno partecipato. “Guardando alla Brexit, ad esempio, abbiamo visto come le persone si dimentichino quanto sia importante essere dentro all’UE e quanto sia importante tutto questo progetto: noi siamo gli ultimi che stanno affrontando tutto questo e sappiamo quanto sia difficile andare avanti con le riforme e comprendiamo l’importanza delle riforme della trasformazione democratica. I cittadini nei Balcani occidentali, soprattutto durante gli eventi che abbiamo organizzato, hanno dimostrato di vedere l’UE come un’unione di valore, come una forza di democratizzazione e una fonte di solidarietà e uguaglianza. Siamo gli ultimi che stanno attraversando questo processo e possiamo davvero portare un nuovo approccio all’interno dell’Unione.” 

Selma Prodanović, la “start-up Grand Dame”, imprenditrice originaria di Sarajevo che vive a Vienna, concentrata su investimenti in tecnologie avanzate e imprenditorialità femminile, ha rimarcato quanto i Balcani occidentali possano contribuire a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. A suo avviso infatti ci sono tante start-up che stanno lavorando a soluzioni per la sostenibilità nella regione: “Mi auguro che si investirà su queste start-up, sulle realtà che hanno il potenziale reale di trovare delle soluzioni.”

Daliborka Uljarević, direttrice del Centro per l’educazione civica di Podgorica, ha ricordato la ricerca Ipsos svolta nel 2020 in sei paesi dei Balcani, che ha mostrato che una percentuale superiore all’80% sostiene l’idea dell’appartenenza della regione all’Unione europea. “Di sicuro la popolazione della regione vede la strada verso l’UE come un cambiamento necessario per una migliore qualità della vita e governance”; allo stesso tempo - sottolinea - i dati mostrano che i cittadini sono insoddisfatti dei progressi dei loro paesi verso il processo di adesione.

“Personalmente credo che sia molto importante che l’UE dia maggiore attenzione ad altri attori in questi paesi: ovviamente i negoziati devono essere fatti con le istituzioni, ma la società civile rimane molto importante. “Credo inoltre - ha sottolineato la politologa - che l’UE dovrebbe porre attenzione sul sottolineare l’importanza della tolleranza zero nei confronti di azioni di incitamento all’odio contro gli attivisti della società civile e delle campagne che stanno facendo. Infine, l’UE dovrebbe fornire alla società civile sostegno sia finanziario che politico”. Recentemente - ha ricordato - c’è stata una visita della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nella regione, ma non vi sono stati incontri con i rappresentanti della società civile. “Incontrarli può essere utile ad incoraggiare la società nel suo insieme a essere più impegnata e non solo aspettare che siano gli altri attori a cambiare le cose.”

“Penso che la nostra sfida sia quella di articolare correttamente e in modo intelligente i nostri bisogni e la nostra posizione in questo processo”, ha affermato Dafina Peci, segretaria generale del Congresso Nazionale della Gioventù dell’Albania, che ricorda alcuni passaggi di un incontro organizzato per la Conferenza sull’Europa ponendo l’accento sulla questione giovanile: “È stato detto che oggi nella regione c’è una maggiore sensibilità delle organizzazioni della società civile per una cooperazione regionale costruttiva, ma allo stesso tempo le giovani generazioni sono in qualche modo distaccate da tutti questi processi per mancanza di fiducia e di strumenti, partecipazione e volontà. Effettivamente la nostra regione subisce una perdita di 2,46 miliardi di euro dovuta alla migrazione giovanile e il tasso di disoccupazione giovanile si aggira attorno al 35%. Questo non può essere trascurato quando si parla di questi processi perché dobbiamo sapere che la parte più rivitalizzante di una società, nella mia prospettiva, è la generazione giovane: loro nella piramide sociale occupano la posizione più difficile, portando sulle spalle il peso del futuro delle vecchie generazioni e la responsabilità di creare le nuove generazioni.”


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